Il disconoscimento del documento processuale

il disconoscimento della fattura da parte dell’emittente comporta l’automatica decadenza del diritto alla detrazione IVA del contribuente–acquirente? Analizziamo la complessa fattispecie del disconoscimento dei documenti processuali prodotti

Principio

Il disconoscimento della fattura da parte dell’emittente non è di per sé sufficiente a far cadere il diritto alla detrazione IVA del contribuente.

La dichiarazione di disconoscimento della sottoscrizione resa dal fornitore nel corso della verifica fiscale non determina automaticamente il venir meno della fattura quale documento giustificativo della detrazione IVA operata dal cliente, ma deve semplicemente considerarsi uno tra gli elementi indiziari, liberamente valutabili dal giudice, su cui il Fisco ha basato la pretesa.

Quando si controverta sul diritto del contribuente di portare in detrazione l’IVA , sull’assunto dell’Ufficio che la sottoscrizione apposta sulla fattura è stata “contestata” dalla ditta emittente (soggetto terzo estraneo al giudizio tributario), se da un lato non può ravvisarsi un onere di disconoscimento della sottoscrizione apposta dal terzo sulla fattura, ex articolo 214 cod. proc. civ., a carico dell’A.F. (l’onere del disconoscimento della scrittura privata grava, infatti, esclusivamente sul soggetto che appare essere autore della sottoscrizione, e non già sul soggetto – nella specie la P.A. – che contesta l’opponibilità del documento, sul presupposto della sottoscrizione apocrifa apposta da un terzo), dall’altro non può neppure configurarsi alcun onere gravante sul contribuente di richiedere, ai sensi dell’articolo 216 c.p.c., la verifica dell’autenticità della fattura sottoscritta dall’emittente, in quanto quando il contenuto della scrittura privata inter alios venga contestato, il documento non viene in rilievo come prova legale e la verità o meno del suo contenuto, dimostrabile con ogni mezzo di prova, è affidata al libero apprezzamento del giudice. Tale interessante principio è stato precisato dalla Corte di Cass. civ. Sez. V, con la sentenza del 15-10-2013, n. 23317

Disconoscimento della fattura ex articolo 214 c.p.c. e verificazione ex articolo 216 c.p.c.

La privazione della efficacia probatoria di una scrittura privata mediante disconoscimento, presuppone che la stessa sia prodotta nel processo per essere utilizzata come mezzo di prova “contro colui al quale la scrittura è attribuita” (il quale assume, pertanto, la posizione di contraddittore necessario), ovvero contro gli eredi od aventi causa dell’autore, non trovando applicazione le indicate norme processuali al di fuori del giudizio: ne segue che, sia nell’ambito di un procedimento di verifica fiscale, che nei rapporti tra soggetti (contribuente ed Amministrazione finanziaria) rispetto ai quali l’apparente autore della scrittura è terzo, il “disconoscimento” della sottoscrizione, compiuto in via extraprocessuale da quest’ultimo, si risolve in una mera allegazione negativa di un fatto (e cioè nella negazione del fatto estrinseco della provenienza dello scritto dal soggetto che lo ha sottoscritto e che, apparentemente, figura come autore), allegazione che potrà assumere diversa rilevanza probatoria nell’eventuale giudizio tra contribuente ed Amministrazione (nel quale l’autore dello scritto non sia stato evocato come parte convenuta), secondo la valutazione che verrà compiuta dal Giudice di merito in ordine alla efficacia dimostrativa dei fatti principali e secondari attribuita al complesso dei mezzi istruttori sperimentati nel giudizio, ma alla quale non possono in nessun caso essere ricondotti gli effetti propri dell’art. 214 c.p.c., e art. 216 c.p.c., comma 1, non essendo attribuiti effetti di prova legale al “disconoscimento della scrittura privata” compiuto al di fuori del processo (vedi, con riguardo agli effetti endoprocessuali del “disconoscimento-verifica” della scrittura privata, Corte Cass. 3′ sez. 17.05.2007 n. 11460, in cui si puntualizza che “il riconoscimento tacito della scrittura privata, secondo il modello previsto dall’art. 215 c.p.c., opera esclusivamente nel processo in cui essa viene a realizzarsi, esaurendo i suoi effetti nell’ammissione della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la parte interessata, qualora il documento sia prodotto in altro giudizio per farne derivare effetti diversi, può legittimamente disconoscerlo, non operando al riguardo alcuna preclusione” -salvo il giudicato formatosi sulla autenticità della scrittura, in conseguenza di riconoscimento espresso od accertamento all’esito della verificazione).

Ne segue che nel giudizio tributario in cui si controverta in merito al diritto del contribuente di portare in detrazione l’IVA, sull’assunto dell’Ufficio finanziario che la sottoscrizione apposta sulla fattura è stata “contestata” dalla ditta emittente (soggetto terzo estraneo al giudizio), se da un lato non può neppure ravvisarsi un onere di disconoscimento della sottoscrizione apposta dal terzo sulla fattura, exart. 214 c.p.c., a carico della Amministrazione finanziaria (l’onere del disconoscimento della scrittura privata grava, infatti, esclusivamente sul soggetto che appare essere autore della sottoscrizione, e non già sul soggetto, nella specie la P.A., che contesta l’opponibilità del documento, sul presupposto della apocrifa sottoscrizione apposta da un terzo),dall’altro non può neppure, corrispondentemente, configurarsi alcun onere gravante sul contribuente di richiedere, ai sensi dell’art. 216 c.p.c., la verifica della autenticità della fattura sottoscritta dall’emittente, in quanto “quando il contenuto della scrittura privata inter alios venga contestato, il documento non viene in rilievo come prova legale e la verità o meno del suo contenuto, dimostrabile con ogni mezzo di prova, è affidata al libero apprezzamento del giudice“.

Pertanto la dichiarazione di disconoscimento della sottoscrizione resa dall’emittente la fattura ai verbalizzanti nel corso della verifica fiscale, non determina ex se il venir meno della fattura quale documento giustificativo della detrazione IVA operata dall’ A. (non essendo questi onerato della proposizione della istanza di verificazione exart. 216 c.p.c.), ma deve considerarsi semplicemente alla stregua di uno tra gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio a sostegno della pretesa tributaria e sottoposti alla valutazione probatoria del Giudice di merito.

DISCONOSCIMENTO

Costituisce jus receptum il principio secondo cui, in forza del rinvio alle norme del codice di procedura civile operato dall’art. 1, c. 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel processo tributario trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private exartt. 214 c.p.c. e ss. (Cass. civ. Sez. V, 06-02-2006, n. 2403). Trova applicazione l’istituto del disconoscimentoper la fattispecie relativa al disconoscimento delle sottoscrizioni di fatture da parte di un contribuente, che assume di non averle emesse (Cass. civ. Sez. V, 06-02-2006, n. 2483).

Trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma (nella specie, di un assegno bancario), il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione, e a tale accertamento procede ove ricorrano le medesime condizioni che il codice di rito prescrive per l’esperibilità della procedura di verificazione nonché, in caso positivo, con l’esercizio dei poteri istruttori e nei limiti delle disposizioni speciali dettate per il processo tributario. (Sentenza n. 2361 del 31 gennaio 2013 della Cassazione Civile, Sez. V –Cass. civ. Sez. V, 31-03-2011, n. 7355).

La parte contro la quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuta a negare formalmente, pur senza l’uso di formule sacramentali la propria scrittura o la propria sottoscrizione; infatti, il disconoscimento, che è equiparabile ad una ordinaria eccezione sostanziale, è un onere della parte contro la quale la scrittura privata è prodotta in giudizio. La copia fotostatica di una scrittura privata, della quale non sia stata disconosciuta la conformità all’originale, ha la stessa efficacia probatoria del titolo originale ovvero la copia fotostatica non autenticata si deve ritenere valida, sia nella sua conformità all’originale che nella scrittura e sottoscrizione, se l’altra parte non la disconosce. In caso di disconoscimento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione è inutilizzabile il documento fotostatico come mezzo di prova, con salvezza della produzione dell’originale da parte di chi intenda avvalersene;peraltro, ai sensi dell’articolo 2719 c.c., in caso di disconoscimento della conformità della copia all’originale il giudice può accertare tale conformità anche a mezzo di presunzioni. Il disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata senz’altro ammissibile pur se prodotta in copia fotostatica da un lato comporta che se la parte intende avvalersene deve produrre l’originale necessario per la procedura di verificazione; dall’altro detto disconoscimento nel privare d’efficacia probatoria la copia fotostatica implica anche la contestazione dell’esistenza dell’originale. Ai fini del disconoscimento di una scrittura privata, ai sensi dell’articolo 214 c.p.c. pur non occorrendo alcuna formula sacramentale o speciale, è necessaria un’impugnazione chiara e univoca anche in ordine all’oggetto della sottoscrizione di cui si nega l’autenticità, specificazione che è indispensabile nell’ipotesi in cui, essendo stata prodotta una pluralità di atti sottoscritti, soltanto alcuni di questi siano disconosciuti. Il disconoscimento di un documento, ai sensi dell’art. 2719 (o dell’art. 2712) c.c. che provenga dalla stessa parte, o dal suo dante causa, o dalla stessa controparte nel giudizio, deve essere specifico, ossia riferito ad una copia di esso concretamente individuata, e successivo, effettuato, di regola, dopo la produzione in giudizio della copia documentale; è generico e preventivo il disconoscimento effettuato dalla Amministrazione finanziaria, in una controversia avente ad oggetto il rimborso di tributi indebitamente versati, in quanto privo d’alcun riferimento a documenti determinati e individuati nel loro contenuto e nei loro dati identificativi e anticipato rispetto alla loro produzione in giudizio in fotocopia.

Secondo una precisa ricostruzione l’ufficio, a pena di decadenza, deve effettuare il disconoscimento di documenti, depositati dal ricorrente a corredo del ricorso introduttivo (si pensi alle fotocopie dei versamenti di tributi eseguiti dal contribuente), nelle controdeduzioni in sede di costituzione in giudizio entro 60 giorni dal giorno in cui è stato notificato il ricorso introduttivo; il contribuente, a sua volta, a pena di decadenza, già in sede di ricorso introduttivo deve proporre l’eccezione sostanziale di disconoscimento (es. contribuente che avendo impugnato la iscrizione a ruolo per maggiori imposte dovute a seguito d’avviso d’accertamento non opposto e per sanzioni, conseguenti a rettifica della dichiarazione operata con la presentazione del mod. 740, affermi di nulla dovere per non aver mai presentato tale dichiarazione deve necessariamente (essendo tenuto per legge a proporre dinanzi al giudice tributario competente il ricorso contro l’iscrizione a ruolo) disconoscere in tale sede la sottoscrizione apposta in calce alla suddetta dichiarazione, in forza del rinvio operato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 546/92.

Non è, quindi, operante(1), attesa la peculiarità del processo tributario (rectius: dell’impianto delineato dal D.lg. 546/92), la disciplina processualcivilistica secondo cui il disconoscimento deve avvenire entro la prima udienza ovvero entro la prima risposta successiva alla produzione del documento da disconoscere (Cassazione sez. 3 sentenza n. 09159 del 24 giugno 2002; Cassazione sentenza n. 1525 del 28 gennaio 2004). La tardività del disconoscimento di una scrittura privata da parte del contribuente o dell’ufficio non è rilevabile d’ufficio dalla CT (Cassazione sez. 3 sentenza n. 01300 del 1o febbraio 2002) ma deve essere eccepita dalla parte che tale scrittura abbia prodotto; la parte (contribuente o ufficio) deve eccepire la tardività del disconoscimento entro 10 giorni liberi prima della data di trattazione e nel caso di trattazione della controversia in camera di consiglio entro 5 giorni liberi prima della camera di consiglio. Anche nel processo tributario il disconoscimento è previsto solo per le scritture provenienti dalla parte; quindi, le scritture provenienti da terzi non devono essere disconosciute (Corte di Cass. civ. Sez. V, con la sentenza del 15-10-2013, n. 23317; Cassazione sez. 3 sentenza n. 12598 del 16 ottobre 2001).

Per le scritture proveniente da terzi (come nel caso di un testamento olografo) la contestazione deve essere sollevata nelle forme dell’articolo 221 e seguenti del c.p.c. perché si risolve in un’eccezione di falso (Cassazione sez. 2 sentenza n. 16362 del 30 ottobre 2003) Quando la scrittura è disconosciuta, non ha l’efficacia probatoria di cui all’articolo 2702 c.c. e, pertanto, la parte che ha prodotto la scrittura, se vuole conferire al documento efficacia probatoria ha l’onere di chiedere la verificazione. Il convincimento del giudice di merito tributario circa l’inidoneità di una determinata deduzione difensiva ad integrare gli estremi del disconoscimento della scrittura privata costituisce giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità. La querela di falso, ex articolo 39 del D.lgs. 546/92, e il disconoscimento della scrittura privata sono istituti preordinati a finalità diverse e del tutto indipendenti tra loro(2).

Il disconoscimento investe la provenienza del documento ed è volto ad impedire che all’apparente sottoscrittore di essa sia imputata la dichiarazione sottoscritta; la querela di falso contesta la provenienza delle dichiarazioni contenute nella scrittura. Alla parte nei cui confronti è prodotta una scrittura privata è consentita, oltre alla facoltà di disconoscerla, così facendo carico alla controparte di chiederne la verificazione addossandosi il relativo onere probatorio,— anche la possibilità alternativa di proporre, senza con ciò riconoscere né espressamente né tacitamente la scrittura medesima, querela di falso al fine di contestare la genuinità del documento stesso, atteso che, in difetto di citazioni di legge, non può negarsi a detta parte di optare per uno strumento per lei più gravoso ma rivolto al conseguimento di un risultato più ampio e definitivo, quello cioè della completa rimozione del valore del documento con effetti erga omnes e non nei soli riguardi della controparte (Cassazione sez. 2 sentenza n. 19727 del 23 dicembre 2003).

VERIFICAZIONE

Nel processo tributario, la verificazione non può essere richiesta in via principale ma solo in via incidentale nel corso del processo; la questione sulla verificazione della scrittura disconosciuta deve essere risolta dal giudice tributario in sede di cognizione incidentale e non dal giudice ordinario con pronuncia idonea a passare in giudicato, previa sospensione del processo tributario(3).

E’ preferibile ammettere la verificazione della scrittura privata ad opera della Commissione tributaria, poiché la legge ha espressamente previsto con riferimento alla diversa querela di falso la differente figura della sospensione necessaria del processo. Non si può ignorare che ai sensi del vigente articolo 2, comma ultimo, del D.lgs. 546/92 «il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio». Anche innanzi alle CT la domanda di verificazione di cui all’articolo 216 c.p.c. non richiede l’utilizzo di formule sacramentali.

La verificazione ha luogo nel processo tributario come una fase istruttoria incidentale. Il disconoscimento di una scrittura privata (es. attestazione di versamento ici), ritualmente effettuato, comporta l’onere per la controparte che insista nell’avvalersi della scrittura di chiederne la verificazione; la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. Nel procedimento di verificazione della scrittura privata la CT, ancorché abbia disposto ex articolo 7 del D.lgs. 546/92 una consulenza grafica sull’autografia di una scrittura disconosciuta, ha il potere-dovere di formare il proprio convincimento sulla base d’ogni altro elemento di prova obiettivamente conferente, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria tra le varie fonti d’accertamento della verità. In caso d’esperita verificazione, la CT dispone le cautele opportune per la custodia del documento, stabilisce il termine per il deposito in segreteria delle scritture di comparazione, nomina quando occorre un CTU, può ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura (questo in caso d’assenza di scritture di comparazione) anche alla presenza del consulente tecnico. La custodia si attua togliendo la scrittura dal fascicolo e custodendola separatamente cioè sottraendola sia alla disponibilità delle parti sia al processo. Se la parte invitata a comparire personalmente non si presenta o rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può ritenere riconosciuta (art. 219 c.p.c.).

Il giudice tributario una volta che sia stato effettuato il disconoscimento procede all’esame delle scritture di comparazione che si rinvengono negli atti (es. la sottoscrizione della procura alle liti) e nei documenti prodotti ; può disporre l’eventuale esperimento della scrittura sotto dettatura e se indispensabile la nomina di un consulente tecnico d’ufficio per l’esame calligrafico. La CT provvede alla custodia del documento contestato ed alla nomina, se del caso, di un consulente grafico ovvero ad altre prove ritenute rilevanti. Uguali poteri spettano alla Commissione tributaria Regionale nel caso in cui il disconoscimento riguardi un documento prodotto per la prima volta in appello. La verificazione tende a conferire efficacia probatoria ad un documento che n’è sfornito atteso il disconoscimento mentre la querela di falso tende a sottrarre efficacia probatoria legale ad un documento che la possiede ed ha come oggetto la sua falsità materiale ovvero ideologica. La querela di falso non trova applicazione nei casi in cui si contesti l’autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata non riconosciuta; in tal caso, infatti, trova applicazione il procedimento di verificazione previsto dagli articoli 214 e seguenti del c.p.c. Il procedimento di verificazione risulta avere natura sostanzialmente diversa dalla querela di falso, in quanto mira a conferire efficacia probatoria ad un documento che n’è sprovvisto ed è limitato all’accertamento della provenienza della scrittura da chi n’è indicato come suo autore.

Diverso, invece, è il caso della querela di falso tenendo, comunque, in considerazione che tale istituto è preordinato a finalità diverse e del tutto indipendenti rispetto al procedimento di verificazione della scrittura privata. Il disconoscimento investe la provenienza del documento ed è volto ad impedire che all’apparente sottoscrittore di esso, sia imputata la dichiarazione sottoscritta; la querela di falso contesta la provenienza delle dichiarazioni contenute nella scrittura. La differenza strutturale dei due istituti della querela di falso e della verificazione della scrittura privata non autenticata si riverbera anche dal punto di vista processuale in quanto, nel rito tributario, è espressamente previsto che il Giudice, in caso di querela di falso, debba sospendere il processo in attesa che si pronunci il Giudice ordinario. Su questo profilo si è pronunciata la Corte di Cassazione precisando che i presupposti per disporre la sospensione del processo tributario in relazione alla proposizione di querela di falso sono desumibili dall’esegesi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992 e vanno identificati nella presentazione della rituale querela di falso e nell’accertata rilevanza dell’atto impugnato con tale querela ai fini della decisione della controversia che dovrebbe essere poi sospesa. Infatti, la valutazione del Giudice tributario sulla ritualità della presentazione della querela deve essere di tipo estrinseco formale, limitata alla riconoscibilità o meno della querela proposta quale atto di impulso processuale, dovendosi escludere che si possa compiere una valutazione della querela ovvero un giudizio sommario prognostico circa la fondatezza della medesima. Insomma, il giudice dovrà solamente verificare la rilevanza del documento impugnato nel giudizio da sospendere.

Tale pronuncia conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale il tenore dell’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992, che prevede che “Il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio” è assolutamente chiaro e impone di sospendere il giudizio fino a quando non è passata in giudicato la decisione in ordine alla querela di falso presentata (o non si è altrimenti definito il giudizio), posto che si tratta di accertamento pregiudiziale che viene riservato ad altra giurisdizione e di cui il giudice tributario non può conoscere neppure incidenter tantum. La ratio di questo diverso regime processuale è riscontrabile nella differente funzione del procedimento di querela del falso rispetto alla verificazione. Quest’ultimo è volto ad attribuire valore probatorio ad un documento che ne è sfornito così che si affrontano questioni interne al processo ed attinenti alla sua fase istruttoria.

Diverso è il caso della querela di falso il cui procedimento tende a sottrarre efficacia probatoria legale ad un documento che la possiede ed ha come oggetto la sua falsità materiale ovvero ideologica. La Suprema Corte ha precisato che si ha falsità materiale ogni qualvolta sussista una divergenza fra autore apparente ed autore reale del documento o quando il documento sia stato alterato dopo la sua formazione, mentre si ha falsità ideologica quando nell’atto sono contenute attestazioni o dichiarazioni non veritiere. È di palmare evidenza, allora, che, nel caso della querela di falso non si affronta una questione tutta interna al processo e volta esclusivamente a verificare l’attendibilità probatoria dei documenti prodotti. Si tratta di constatare una fattispecie concreta che può realizzare gli estremi di un reato il cui bene giuridico protetto è la fede pubblica così che la relativa trattazione non può restare chiusa negli angusti limiti del processo cui si riferisce. Basti pensare al fatto che nel procedimento relativo alla querela di falso, ex art. 221, u.c. , c.p.c., è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero. Appare, allora, perfettamente coerente ai principi dell’ordinamento giuridico la pronuncia della Corte di Cassazione secondo la quale in tema di querela di falso vi è l’obbligo per il Giudice tributario di procedere, illico et immediate, alla sospensione del processo in attesa dell’esito del procedimento volto a verificare la veridicità dei documenti nonché a rilevare eventuali estremi di reato.

Sulla domanda di verificazione la CT, stante il divieto delle cd. sentenze parziali di cui all’articolo 35, comma 3, del D.lgs. 546/92, pronuncia con la sentenza definitiva finale. La CT nell’ipotesi di consulenza grafica di una scrittura privata disconosciuta è il peritus peritorum e, pertanto, ha il libero apprezzamento delle relazioni predisposte dal consulente tecnico; essa non è vincolata dal parere e dalle conclusioni del consulente tecnico ma è tenuta a dare adeguata motivazione, del proprio dissenso, mediante l’indicazione dei dati e degli elementi di cui si è avvalsa per pervenire alla soluzione adottata.

Note

1) Il disconoscimento della firma deve considerarsi tardivo allorché non intervenga alla prima udienza utile, ovvero alla prima difesa successiva alla produzione in giudizio del documento, in copia, su cui tale firma è stata apposta (Trib. Napoli Sez. III, 28-01-2013). La disposizione dell’art. 215 c.p.c., c. 1, n. 2, secondo cui la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta se la parte comparsa non la disconosce “nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione“, deve intendersi nel senso che la prima risposta è integrata da un atto processualmente rilevante compiuto alla presenza di entrambe le parti, attesa l’esigenza dell’immediatezza della conoscenza del disconoscimento in capo al soggetto che ne è destinatario. Ne consegue che non può intendersi come prima risposta il mero deposito di note difensive autorizzate, proprio perchè effettuato in assenza della controparte (Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-01-2013, n. 2361 ;Cass. n. 6187 del 2009). Le scritture prive della sottoscrizione non possono rientrare nel novero delle scritture private aventi valore giuridico formale e produrre, quindi, effetti sostanziali e probatori, neppure quando non ne sia stata impugnata la provenienza dalla parte cui vengono opposte. Ne consegue che la parte, contro la quale esse siano state prodotte, non ha l’onere di disconoscerne l’autenticità ai sensi dell’art. 215 c.p.c., norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell’art. 2702 cod. civ., il solo elemento grafico in virtù del quale, salvi i casi diversamente regolati (artt. 2705, 2707, 2708 e 2709 c.c.), la scrittura diviene riferibile al soggetto dal quale proviene e può produrre effetti a suo caric. (Cass. civ. Sez. VI – 2 Ordinanza, 14-02-2013, n. 3730).

2) La querela di falso ed il disconoscimento della scrittura privata sono istituti preordinati a finalità diverse e del tutto indipendenti fra loro, in quanto il primo postula l’esistenza di una scrittura riconosciuta, della quale si intende eliminare l’efficacia probatoria attribuitale dall’art. 2702 cod. civ., mentre l’altro, investendo la stessa provenienza del documento, mira ad impedire che la scrittura acquisti detta efficacia, e si risolve in un’impugnazione vincolata da forme particolari, volta a negare l’autenticità del documento che si assume contraffatto. La scrittura privata deriva infatti la sua efficacia dal riconoscimento, espresso o tacito, che ne faccia il soggetto contro il quale essa è prodotta; quest’ultimo, pertanto, ove voglia impedire tale riconoscimento e contesti il documento, deve operarne il disconoscimento, che pone a carico della controparte l’onere di dimostrare, in contrario, che la scrittura non è stata contraffatta e proviene invece effettivamente dal suo autore apparente. Nella fattispecie, la S.C., in applicazione del detto principio di diritto, ha accolto il ricorso avverso la sentenza della commissione tributaria, la quale, a fronte del disconoscimento, da parte del contribuente, della sottoscrizione di un contratto di affitto, aveva affermato che sarebbe stato necessario proporre querela di falso, anziché porre a carico dell’Ufficio l’onere di chiedere la verificazione (Cass. civ. Sez. V, 24-01-2007, n. 1572).

3) Nel giudizio tributario, la parte che abbia prodotto una scrittura privata, la cui sottoscrizione sia stata tempestivamente disconosciuta da colui che ne appare l’autore, contro il quale è prodotta, non può avvalersene, come prova della propria pretesa, in mancanza di verificazione a norma dell’art. 216 c.p.c., ammissibile anche nel processo tributario, previa sospensione di questo ai sensi degli artt. 1, c. 2, e 39 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.Sulla base dell’enunciato principio, la S.C. ha quindi cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale (a fronte del disconoscimento da parte del contribuente della sottoscrizione apposta in calce alla domanda di condono fiscale sulla cui base era stata emessa la cartella di pagamento impugnata) aveva ritenuto che detto disconoscimento non fosse sufficiente a rendere inefficace la richiesta di condono, essendo altresì necessaria, a tale scopo, la prova che la presentazione di questa fosse avvenuta contro la volontà dell’apparente firmatario o a sua insaputa (Cass. civ. Sez. V, 20-03-2006, n. 6184).

ALLEGATI

1) ISTANZA DI VERIFICAZIONE

(articolo 216 c.p.c.)

L’ufficio di ________________________, stante il disconoscimento, compiuto ritualmente dal contribuente ________________________________ della sottoscrizione della dichiarazione ici per l’anno ______________, presenta istanza di verificazione giudiziale della sua autenticità, intendendo avvalersi di essa come mezzo di prova a fondamento della pretesa erariale produce o indica la seguente documentazione _____________________________

CHIEDE

che cod. on. consesso nomini un consulente tecnico per gli accertamenti necessari ossia per verificare l’autenticità della firma posta dal contribuente sulla dichiarazione e indica come scrittura di comparazione

l’atto di vendita stipulato in data ________________________ tra il contribuente citato e tizio ed autenticato

a norma dell’articolo 2703 cc.

Il difensore del contribuente si dichiara d’accordo su tale scrittura di comparazione

L’Ufficio di———————-

2) ISTANZA DI VERIFICAZIONE

Commissione Tributaria di __________________________________________________

ISTANZA DI VERIFICAZIONE

(articolo 216 c.p.c.)

Il Difensore di _______________________, stante il disconoscimento della scrittura ________________,

compiuto ritualmente dall’Ufficio di ……. , presenta istanza di verificazione giudiziale della sua autenticità, intendendo avvalersi di essa a fondamento della propria pretesa produce la seguente documentazione ________________

CHIEDE

che cod. on. c