PERDITE SU CREDITI: la nuova deducibilità automatica dei crediti prescritti in caso di comportamento remissivo degli amministratori

gli amministratori sono tenuti, prima dello spirare del termine della prescrizione, ad esperire ogni tentativo utile per il recupero del credito

Come già commentato su queste colonne, l’art. 33 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 ha apportato sostanziali modifiche all’art. 101 comma 5 del D.P.R. 917/1986 TUIR, rubricato alla deducibilità delle perdite su crediti.

Secondo la riformulata disposizione, gli “elementi certi e precisi” – che legittimano la deducibilità della perdita in capo ai contribuenti titolari di reddito d’impresa – sussistono anche quando il diritto alla riscossione del credito risulti prescritto, a prescindere dall’ammontare (modesto o rilevante del credito) e fuori dai casi di deducibilità “automatica” relativi all’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali ed istituti assimilati.

Sin dall’introduzione delle suddette novità, una delle principali problematiche evidenziate dalla dottrina, era rappresentata dalla circostanza che il termine di prescrizione non è mai il medesimo per tutte le tipologie di credito. Infatti, oltre alla prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.), sono stabiliti termini più brevi in relazione a determinate fattispecie di rapporti aziendali/commerciali: prescrizione fissata in 5 anni per i crediti derivanti da somministrazioni di beni e servizi da cui scaturiscono pagamenti periodici, ovvero per i crediti relativi ad indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro. Termini di prescrizione ancora più brevi (un anno) sono previsti, invece, per il diritto alla provvigione del mediatore e per il pagamento dei premi assicurativi.

Individuato il corretto termine di prescrizione, sarebbe stata cura del redattore del bilancio stabilire il momento a partire dal quale detto termine comincia a decorrere (giorno in cui il diritto del pagamento può essere fatto valore, ovvero è sorto).

Questione ancora più dibattuta riguardava eventuali sospensioni (artt. 2941 e 2942 c.c.) o interruzioni (artt. 2943 – 2945 c.c.) che avrebbero potuto impedire il raggiungimento della prescrizione. Al ricorrere di atti sospensivi o interruttivi si sarebbe posto il problema di provare all’Amministrazione Finanziaria l’effettivo compimento della prescrizione; problema avvalorato dal fatto che le prove di eventuali atti interruttivi della prescrizione (lettera di messa in mora o altre intimazioni idonee a fermare i termini della prescrizione) difficilmente si rilevano dalle scritture contabili e/o in altre fonti, con la conseguente difficoltà di poter provare, a distanza di anni ed in sede di controllo, l’esistenza o meno degli atti interruttivi in parola.

Con la recente C.M. n. 26 del 01.08.2013, l’Agenzia delle Entrate ha fornito taluni chiarimenti in ordine alle novità sulle perdite su crediti, anche con riferimento ai crediti prescritti.

Con riferimento a tali ultime tipologie di crediti viene ribadito, in primo luogo, che la prescrizione del credito costituiva già in passato un elemento certo e preciso cui far conseguire la deduzione della perdita, ma non solo. Viene altresì precisato che i “termini di prescrizione del credito si interrompono per effetto della notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio (…) della domanda proposta nel corso di un giudizio (…), nonché in presenza di ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”.

Sempre in tema di deducibilità di crediti prescritti, l’Agenzia delle Entrate conferma che la perdita di qualsiasi diritto giuridico, economico e patrimoniale sul credito – che si configura con la prescrizione di ogni azione finalizzata a soddisfare la partita creditoria – rappresenta un ipotesi che dà luogo alla deducibilità della perdita in capo al creditore.

Un’importante conferma contenuta nella citata circolare attiene la circostanza secondo cui la deducibilità dei crediti prescritti trova applicazione a prescindere dall’importo degli stessi: la possibilità di dedurre la perdita per i crediti il cui diritto alla riscossione è prescritto opera, dunque, sia con riferimento ai crediti di modesta entità (ossia quelli di importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese) che per quelli diversi da quest’ultimi.

Peraltro, dal mero tenore letterale della disposizione pareva che, una volta decorso il termine della prescrizione, detti crediti potessero essere dedotti fiscalmente, anche in assenza di aggiuntive e rigorose prove documentali: tuttavia, alla luce dei recenti chiarimenti forniti dall’amministrazione finanziaria, così non è. Infatti, è riconosciuto all’ente verificatore il diritto di contestare la deducibilità del credito prescritto: indipendentemente dal periodo d’imposta in cui si prescrive il credito (ante o post 2012), resta salvo il potere dell’Amministrazione di contestare che l’inattività del creditore abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale.

Sul punto, è bene rammentare che, già in diverse occasioni, il comportamento remissivo del creditore (che non si è mai attivato per il recupero del credito) è stato valutato negativamente dall’Amministrazione Finanziaria: lo stralcio di un credito senza alcun preventivo tentativo di recupero dello stesso, oltre a rappresentare un comportamento non economico, potrebbe avvalorare il sospetto dell’esistenza un accomodamento tra creditore e debitore, dopo aver tenuto in debita considerazione il beneficio fiscale conseguente alla deducibilità del costo.

Ne consegue che, gli amministratori sono tenuti, prima dello spirare del termine della prescrizione, ad esperire ogni tentativo utile per il recupero del credito; così facendo, infatti – oltre ad  evitare contestazioni in sede di accertamento – non correrebbero il rischio di dover riprendere a tassazione la perdita dedotta fiscalmente, ancorché relativa ad un credito ormai prescritto a tutti gli effetti di legge.

 

Sandro Cerato

28 agosto 2013