L’accertamento presuntivo riferito a dati statistici: non può trattarsi di automatismi accertativi, bensì di elementi tra altri elementi…

i dati ISTAT possono essere impiegati, oltre che a scopo statistico, anche quale elemento presuntivo per l’accertamento, in concorso con altri elementi idonei a giustificare la rettifica della dichiarazione

Aspetti generali

Molti sono gli elementi a disposizione del fisco, soprattutto in un contesto di tecnologia avanzata come quello attuale, caratterizzato dalla presenza di numerosissime attività e operazioni «tracciate» dall’inizio alla fine, in grado di evidenziare le scelte e le operazioni quotidianamente compiute da milioni di persone.

Le attività di accertamento, tuttavia, devono necessariamente orientarsi alla conoscenza della situazione specifica del contribuente, senza troppo affidarsi all’elaborazione di dati generali (di tipo statistico), se non, con le necessarie cautele e modalità procedurali, in ipotesi particolari come quelle costituite dagli studi di settore, ovvero dai valori congrui assunti nell’ambito degli accertamenti di tipo «redditometrico».

Nell’ambito degli accertamenti di tipo analitico-induttivo, che consentono agli uffici di operare attraverso ragionamenti presuntivi, è stata ammessa la legittimità dei dati provenienti dalle indagini ISTAT.

Della questione si è occupata la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4502 del 22.02.2013, di seguito ripresa e commentata, affermando che i dati ISTAT possono essere impiegati, oltre che a scopo statistico, anche quale elemento presuntivo per l’accertamento, in concorso con altri elementi idonei a giustificare la rettifica della dichiarazione.

 

L’accertamento analitico-induttivo

Le disposizioni fiscali di riferimento per l’accertamento, sia nel settore delle imposte dirette che dell’IVA e delle imposte indirette (registro), stabiliscono o consentono un ampio ricorso al ragionamento inferenziale (presuntivo) da parte dei «controllori».

Le presunzioni quindi accompagnano la fase del controllo in loco e quella dell’accertamento, e possono certamente venire contraddette o temperate attraverso il confronto con i contribuenti, in attuazione di un principio del contraddittorio che (ancorché non contenuto in specifiche disposizioni normative) fa ormai parte della prassi operativa corrente.

Il codice civile distingue tra presunzioni semplici (liberamente apprezzabili dal giudice purché gravi, precise e concordanti) e presunzioni legali, queste ultime ulteriormente divise in assolute (iuris et de iure, non suscettibili di prova contraria) e relative (iuris tantum, con possibilità di prova contraria).

L’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 600/1973, dispone che «se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi alla impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti». Tale tipologia di accertamento è definita «analitico-induttiva».

La rettifica su base presuntiva è pure possibile nell’ambito dei controlli sulle dichiarazioni IVA, per quanto disposto dagli artt. 54 e 55 del D.P.R. n. 633/1972, in termini sostanzialmente analoghi a quanto è previsto per le imposte sui redditi.

La possibilità di procedere secondo tale modus operandi, che individua il campo del c.d. accertamento analitico-induttivo, sorge a seguito del riscontro di inesattezze contabili gravi (in verità abbastanza difficili nel contesto attuale, soprattutto per le imprese più strutturate), ovvero da altre verifiche o dal rilevamento di situazioni di «infedeltà» in fatture, atti, documenti, etc., nonché da dati e notizie raccolti dall’ufficio fiscale.

In generale, emergono quali elementi rilevanti ai fini della rettifica le situazioni di:

  • incompletezza (chiaramente imputabile sia a comportamenti consapevoli e «premeditati», sia a semplici omissioni causate da dimenticanze, imperizia…);

  • inesattezza (per la quale valgono le stesse considerazioni fatte sopra);

  • falsità (che presuppone l’intenzione del dichiarante di fornire una rappresentazione non vera della propria situazione reddituale, e che potrebbe anche, nel contesto dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10.3.2000, n. 74, al superamento delle prescritte soglie minime, comportare conseguenze penali sotto il profilo della «infedeltà» o della vera e propria frode).

L’incompletezza, la falsità o l’inesattezza, fatte salve le regole particolari stabilite, per la rettifica dei redditi d’impresa, nel predetto art. 39, possono essere riscontrate:

  • attraverso l’esame della dichiarazione, ovviamente più approfondito, ed eventualmente suffragato da altri elementi acquisiti, rispetto ai semplici controlli formali e «cartolari» (artt. 36–bis e 36–ter, D.P.R. n. 600/1973).

  • attraverso il confronto con le dichiarazioni relative ai precedenti periodi d’imposta (che, in ipotesi, potrebbe evidenziare incongruenze come la «scomparsa» di redditi o la «apparizione» di detrazioni o deduzioni);

  • attraverso i dati e le notizie acquisiti a norma del sopra commentato art. 37 del D.P.R. n. 600/1973.

 

I requisiti delle presunzioni

Le presunzioni in generale, che devono possedere i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., si qualificano come «… le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato» (art. 2727 c.c.).

I tre requisiti civilistici sono stati esplicati dalla giurisprudenza di legittimità; in particolare, può soccorrere ai fini della presente analisi la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 22.3.2001, n. 4168, nella quale è stato affermato che «in tema di presunzioni, il requisito della gravità si riferisce al grado di convincimento che le presunzioni sono idonee a produrre e a tal fine è sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; il requisito della precisione impone che i fatti noti, da cui muove il ragionamento probabilistico, ed il percorso che essi seguono non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; con il requisito della concordanza si prescrive che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto; la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito e sottratti al controllo di legittimità in presenza di adeguata motivazione; diversamente, l’esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, facendo parte della struttura normativa della presunzione, è sindacabile in cassazione».

Può pertanto affermarsi che l’accertamento «presuntivo» può avere quale proprio fondamento motivazionale un ragionamento inferenziale con caratteri di:

  • gravità (ovvero «ragionevole certezza, anche probabilistica»);

  • precisione (ovvero fondatezza e determinatezza dei fatti noti posti a base del ragionamento);

  • concordanza (ovvero «convergenza» di più fatti noti verso la dimostrazione del fatto ignoto).

 

La questione esaminata dalla Corte

La sentenza qui commentata trae origine da un contenzioso di merito nel quale in grado di appello la CTR aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo corretto il metodo presuntivo in base al quale erano stati accertati maggiori ricavi (con le relative conseguenze ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP) in capo a una società cooperativa.

Quest’ultima aveva prodotto ricorso per cassazione sulla base dei seguenti motivi:

  1. violazione dell’art. 2909 c.c. (la CTR non aveva statuito sul giudicato esterno esistente circa la natura mutualistica della contribuente e la infondatezza dei maggiori ricavi);

  2. omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (l’eccezione relativa «agli intervenuti giudicati» non era stata esaminata dai giudici di merito);

  3. violazione e falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, del D.P.R. n. 600/1973 (l’inattendibilità delle scritture, ravvisata dalla G.d.F. che aveva effettuato la verifica fiscale, avrebbe dovuto obbligare l’ufficio finanziario a condurre l’accertamento sulla scorta del più severo metodo induttivo ex art. 39, secondo comma, del medesimo D.P.R. n. 600, e, quindi, a un accertamento presuntivo non fondato su fatti gravi, precisi e concordanti);

  4. violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.Lgs. 6.9.1989, n. 322: secondo la parte ricorrente per cassazione, le statistiche sulle quali l’amministrazione aveva fondato la presunzione di maggiori ricavi erano prive di gravità, precisione e concordanza. L’illustrazione del motivo si concludeva con il quesito: «è legittimo l’accertamento di maggiori ricavi operato unicamente ed esclusivamente sulle rilevanze di dati contenuti nelle schede statistiche laddove anche l’art. 9 del D.Lgs. n. 322/89 prescrive la loro non rilevanza esterna?»;

  5. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, riguardanti la ritenuta gravità precisione e concordanza dei fatti sui quali era stata fondata la presunzione della esistenza dei maggiori ricavi.

Relativamente ai motivi di ricorso di cui ai punti 1) e 2), la Corte ha deciso per l’inammissibilità, giacché la mancata statuizione della CTR circa un giudicato esterno «ritualmente invocato e documentato» andava qualificata come error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c., da farsi valere ex art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c., e perché non erano stati precisati dalla parte quali fossero stati i fatti oggetto di giudicato, «che, per esser tali, debbono corrispondere ai requisiti di invarianza, identità di tributo, ecc. individuati da costante giurisprudenza».

Altresì inammissibile è stato ritenuto il motivo di ricorso n. 3 (asserito obbligo di utilizzare l’accertamento induttivo in luogo di quello analitico-induttivo), in quanto la società cooperativa non aveva «alcun interesse processuale ex art. 100 c.p.c. a chiedere di esser assoggettata ad una tipologia di accertamento fiscale da condursi a mezzo di una prova presuntiva meno rigorosa di quella utilizzata», e, quindi, a una procedura peggiorativa rispetto a quella effettivamente subita.

 

In particolare, sul punto dell’impiego di dati statistici

Il punto centrale della sentenza, che involge questioni sostanziali quanto all’utilizzo di ragionamenti ed elementi presuntivi, è quello riguardante i dati ISTAT impiegati nell’accertamento nel caso di specie.

Con il motivo di ricorso per cassazione di cui al sup. punto 4), la parte ricorrente aveva affermato l’inutilizzabilità di tali dati, stante la carenza di gravità, precisione e concordanza e la loro irrilevanza a fini non statistici.

Secondo la Corte il motivo deve ritenersi infondato, poiché l’art. 9 del D.Lgs. 6.9.1989, n. 322 «è soltanto rivolto a proteggere dalla individuazione esterna i soggetti economici la cui attività è servita ad elaborare le statistiche, cosicché la disposizione non impedisce all’Ufficio di adoperare le ridette statistiche ai fini presuntivi ex art. 39, comma 1, DPR n. 600 del 1973; statistiche che, peraltro, come non ha mancato di evidenziare la CTR, erano accompagnate, ai fini presuntivi, da altri indizi, come, per es., le riscontrate plurime omissioni di scontrini e ricevute fiscali, la circostanza che terzi estranei provvedessero alla vendita del pescato, il pagamento di contributi direttamente da parte degli associati».

Infine, il motivo di ricorso di cui al sup. punto 5) (insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, riguardanti la ritenuta gravità precisione e concordanza dei fatti) è stato dichiarato inammissibile giacché era stata affermata «in uno» anche l’omessa motivazione («i vizi di omessa motivazione sono in insanabile conflitto logico con quelli di contraddittoria e insufficiente motivazione e con la conseguenza che la unitaria loro proposizione deve andare sanzionata mediante inammissibilità», sulla base degli orientamenti pregressi della Corte).

Comunque, secondo la valutazione operata dalla Cassazione, la CTR aveva «lungamente e coerentemente motivato circa il carattere indiziante degli elementi di fatto su cui dall’ufficio è stata fondata la presunzione, sicché la denuncia si risolve, in realtà, in una semplice non condivisione degli esiti della valutazione di merito della CTR, che mai può esser censurata».

 

Considerazioni di sintesi

Come è noto, la possibilità di utilizzare elementi anche molto eterogenei e occasionali nell’ambito degli accertamenti di tipo presuntivo (induttivo e analitico-induttivo) viene ammessa dalla prassi e dalla giurisprudenza in quanto si tratta di ambiti di intervento caratterizzati da una scarsa attendibilità della situazione economica manifestata dai contribuenti.

Si rinuncia quindi all’accertamento di tipo analitico (che per le imprese dovrebbe costituire la norma, alla luce degli stringenti obblighi contabili previsti sia in campo civilistico che in campo fiscale), per «accontentarsi» di riscontri presuntivi. I quali sono però pur sempre, nella generalità delle ipotesi, fondati su una situazione di fatto riscontrata.

Si pensi ad esempio all’utilizzo delle percentuali di ricarico sui beni venduti da un’impresa commerciale, che legittima la ricostruzione dei ricavi prescindendo dall’impianto contabile – fiscale.

Nel caso di specie, esaminato dalla Cassazione, non di dati relativi alla situazione puntuale della cooperativa contribuente si era trattato, bensì di un confronto tra la situazione dichiarata dalla stessa e un dato standard di tipo statistico.

Nulla vieta, secondo la Corte, di utilizzare tale standard. Purché, lo si legge «tra le righe», esso accompagni e sia accompagnato da altri elementi e riscontri, in grado di attribuire fondatezza alla rettifica dei maggiori ricavi. Non può insomma trattarsi di automatismi accertativi, bensì di elementi tra altri elementi. Posti alla base del ragionamento presuntivo, e non – direttamente – della rettifica.

 

24 luglio 2013

Fabio Carrirolo