Garanzie poste a tutela del contribuente: inapplicabilità nel caso di indagini a tavolino

in caso di verifica tributaria che non prevede controlli sostanziali, cioè accessi presso le sedi dell’impresa, le attività istruttorie del fisco possono avvenire senza contraddittorio col contribuente

Aspetti generali

Lo Statuto del contribuente– L. 27.7.2000, n. 12 – contiene disposizioni, cui è stato spesso riconosciuto un particolare rango «superprimario» (quali principi generali dell’ordinamento tributario) a garanzia della posizione di tutti i contribuenti in relazione alle attività che li pongono «a confronto» con il fisco, sia in quanto esecutori di adempimenti e obblighi strumentali, sia come destinatari dell’attività di controllo.

In particolare, l’art. 12 dello Statuto racchiude specifiche disposizioni che tutelano i soggetti destinatari di controlli tributari da parte degli uffici dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza.

Una recente sentenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione – Cass. 26.9.2012, n. 16354 – ha chiarito che i diritti e le garanzie contenuti nel predetto art. 12 assistono il contribuente solamente in caso di verifiche caratterizzate da controlli sostanziali, ovvero da accessi presso le sedi dell’impresa.

Dette garanzie non trovano invece applicazione nei controlli c.d. «a tavolino», ossia nella attività istruttorie che traggono origine da segnalazioni, ovvero da scambi di informazioni con autorità tributarie estere, ma non comportano l’intervento diretto («fisico») nel luogo in cui è esercitata l’attività economica (né, evidentemente, nel domicilio del contribuente in caso di accessi domiciliari autorizzati dall’A.G.).

 

Quali sono i diritti del contribuente sottoposto a verifica?

La tutela del contribuente raggiunto da un controllo tributario trova nell’art. 12 della L. 27.7.2000, n. 212 (Statuto del contribuente) le previsioni normative poste a garanzia del corretto operato dei verificatori, che fissa altresì in maniera precisa e puntuale i diritti dei soggetti sottoposti a controllo:

  • diritto di essere informato delle ragioni e dell’oggetto della verifica fiscale, e della possibilità di farsi assistere da un professionista abilitato dinanzi agli organi di giustizia tributaria (art.12, secondo comma);

  • diritto di richiedere che l’esame della documentazione possa avvenire presso gli uffici finanziari o presso il professionista che lo assiste (art.12, terzo comma);

  • diritto ( anche del professionista che eventualmente lo assiste ) di far verbalizzare nel processo verbale di constatazione osservazioni in ordine ai rilievi effettuati dai verbalizzanti (art.12, quarto comma);

  • la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non può superare i 30 giorni, salvo comprovati motivi, nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio, in cui la verifica può protrarsi per ulteriori 30 giorni (art.12, quinto comma);

  • diritto di rivolgersi al garante del contribuente, nei casi in cui ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge (art.12, sesto comma);

  • diritto di comunicare, entro 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione degli organi di verifica, osservazioni e richieste che saranno valutate dagli uffici impositori (art.12, settimo comma);

  • l’avviso di accertamento eseguito sulla base di un processo verbale di constatazione (pvc) non potrà essere emanato se non dopo i 60 giorni previsti per le osservazioni, salvo casi di particolare e motivata urgenza (art.12, settimo comma).

 

L’accertamento anticipato

Il dialogo tra cittadini e amministrazione è stato posto al centro delle riforme dell’attività amministrativa varate a partire dagli anni novanta del secolo scorso, e in ambito fiscale si realizza mediante l’adozione del principio del contraddittorio.

Questo (recepito tra l’altro nelle norme sull’accertamento con adesione e nello Statuto del contribuente) rappresenta un istituto di «civiltà fiscale» cui fanno da contraltare gli obblighi di informazione e di fair play degli uffici (in attuazione di principi che discendono quelli costituzionali di legalità e buon andamento dell’attività amministrativa).

In tale prospettiva, anche in considerazione dell’interesse della P.A. a rimuovere da subito gli effetti di un’attività viziata o infondata, improduttiva o «temeraria» (e quindi facilmente generatrice di contenzioso), è stata accordata ai contribuenti la facoltà di produrre delle osservazioni in relazione ai rilievi e alle modalità attuative del controllo, dopo la consegna del pvc.

Dopo la chiusura della verifica, si apre pertanto una fase subprocedimentale della durata di 60 giorni, la cui finalità è di valutare la legittimità dell’operato dei verificatori. In tale periodo, la sospensione dell’attività di accertamento sta a significare che l’ufficio ha l’obbligo di effettuare un esame critico del verbale prima di procedere alla notifica dell’avviso di accertamento, non potendosi limitare a recepire acriticamente il verbale stesso senza tener conto delle osservazioni, delle valutazioni e delle interpretazioni dissenzienti effettuate dal contribuente.

La questione della possibilità di non osservare, a determinate condizioni, il periodo di 60 giorni prima dell’emanazione/notificazione dell’avviso di accertamento, è stata oggetto dell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 244 del 2009 (giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale – camera di Consiglio dell’8.7.2009, decisione del 16.7.2009, deposito del 24.7.2009).

La manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale discende, secondo la Corte, dal mancato esperimento, da parte del giudice a quo, della via dell’interpretazione «secondo Costituzione» della normativa controversa: in particolare, la Commissione avrebbe dovuto verificare la possibile invalidità dell’atto impositivo anticipato, nel caso in cui questo fosse stato sia privo di un’adeguata motivazione sulla sua «particolare urgenza».

In tale prospettiva, l’atto anticipato potrebbe intendersi suscettibile di una sorta di «sanatoria» (e quindi non automaticamente invalido) in presenza di:

  • un’«urgenza particolare», ossia effettiva e fondata, non potendosi ritenere sufficiente la semplice prossimità del termine decadenziale dell’attività di accertamento (sintomo, semmai, di un malfunzionamento dell’ufficio);

  • un’adeguata motivazione relativa a tale circostanza, cioè un valido e corretto impianto logico-argomentativo dell’accertamento, in grado di superare i possibili dubbi sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale.

Il giudice rimettente avrebbe potuto valorizzare, in particolare, l’art. 7, primo comma, della L. n. 212/2000 e gli artt. 3 e 21-septies della L. 27.7.1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), considerando che l’obbligo di motivare l’atto anche sotto il profilo della particolare urgenza discende dal generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi, sanzionato a pena di nullità (l’invalidità è prevista, per gli atti impositivi in materia di imposte sui redditi e di IVA, dagli artt. 42, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, e 56, quinto comma, del D.P.R. n. 633/1972).

Su tali basi, la Consulta ha ritenuto inconferente il richiamo alle disposizioni costituzionali degli artt. 24 e 111, stante la loro rilevanza quali parametri di costituzionalità in sede processuale e non amministrativa.

Ciò nonostante, essa ha indicato un importante principio «mediano», affermando che l’accertamento anticipato non è perciò stesso colpito da invalidità, ma deve essere assistito dalla «particolare urgenza» e da un’idonea motivazione, la cui dimostrazione è a carico dell’ufficio accertatore.

L’Agenzia delle Entrate, con un proprio «indirizzo» interno che è stato richiamato e commentato sugli organi di stampa (nota n. 142734 del 14.10.2009), ha preso atto delle indicazioni della Consulta richiamando l’attenzione degli uffici sul rischio che la mancata motivazione, specialmente in ordine all’urgenza dell’accertamento, possa essere sanzionata in sede processuale, con la conseguente declaratoria di invalidità.

L’urgenza «particolare» deve dunque essere evidenziata e rappresentata nelle motivazioni dell’atto, con riferimento alle circostanze di fatto che ne impediscono l’emanazione prima del decorso dei 60 giorni.

Tale urgenza non può ridursi a considerazioni di carattere generale e la sua «peculiarità» deve pertanto essere verificata con riferimento al caso specifico.

A titolo esemplificativo, la particolare urgenza può ricorrere in presenza di:

  • pericoli di perdita del credito erariale;

  • accertamenti connessi alla consumazione di reati tributari;

  • processi verbali consegnati nell’imminenza dello spirare dei termini decadenziali dell’azione accertatrice.

Con ordinanza n. 7318 dell’11.5.2012, in presenza di orientamenti contrastanti sul punto, la Corte di Cassazione ha rimesso all’attenzione del Primo Presidente la questione circa gli effetti dell’inosservanza, ad opera della parte pubblica, del disposto di cui all’art. 12, settimo comma, della L. n. 212/2000, per l’eventuale trasmissione della causa alle Sezioni Unite (rispetto del decorso di 60 giorni prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento).

Si rammenta che a tale riguardo in seno alla Corte si sono formati i seguenti orientamenti:

  1. l’accertamento anticipato rimane valido anche in caso di mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni, giacché la tutela del contribuente è garantita sia mediante l’autotutela ordinaria sia all’interno della fase contenziosa (Cass. 19875/2008 e 3988/2011);

  2. la nullità dell’accertamento può essere dichiarata in quanto la violazione della norma impedisce al contribuente di far valere le proprie ragioni nei confronti della parte pubblica, evitando l’emanazione dell’atto di accertamento (Cass. 6088/2011);

  3. la nullità può essere dichiarata solamente se l’Ufficio, nelle motivazioni dell’accertamento, non ha specificato le ragioni di particolare e motivata urgenza che hanno dato origine all’emanazione dell’atto in via anticipata, secondo le predette indicazioni della Corte Costituzionale (Cass. 22320/2010 e 10381/2011).

In attesa dell’intervento delle SS.UU. sui punti sopra indicati, si segnala il recente orientamento assunto dalla Corte, che per la prima volta ha ritenuto sussistere la «particolare e motivata urgenza» in caso di imminenza del decorso dei termini decadenziali per l’accertamento (Cass. n. 11944 del 13.7.2012).

 

Il caso esaminato dalla Corte

Il contenzioso di merito che ha condotto alla sentenza qui commentata dalla rettifica compiuta dall’Agenzia delle Entrate mediante avviso di accertamento impugnato dalla società contribuente avanti le giurisdizioni di merito: sia la CTP che la CTR avevano però confermato l’atto impositivo dell’ufficio tributario, e conseguentemente la società aveva impugnato per cassazione la sentenza della CTR della Lombardia.

In particolare, con riferimento alla problematica che qui interessa, occorre rilevare che i giudici di merito avevano affermato la legittimità dell’utilizzo da parte dell’ufficio finanziario, ai fini dell’accertamento, di documentazione reperita presso terzi, in assenza di contraddittorio del contribuente, ritenendo irrilevante che tale documentazione fosse stata acquisita a seguito di un pvc ovvero di una mera segnalazione e che nel corso della fase istruttoria non fossero state osservate le prescrizioni dell’art. 12 dello Statuto.

La società aveva quindi impugnato la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, avendo ritenuto la CTR non sanzionabile con la nullità dell’avviso di accertamento l’inosservanza delle garanzie di difesa del contribuente (avvertimento prima dell’inizio della verifica della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato; presentazione di osservazioni nel corso della verifica e nel termine di sessanta giorni dalla conclusione della stessa).

Nell’esposizione dei motivi la società ricorrente:

  1. aveva implicitamente assunto che fossero state effettuate delle operazioni di verifica presso i locali della società;

  2. aveva affermato che l’avviso di accertamento motivava in relazione a un «asserito» PVC redatto in violazione delle predette garanzie dell’art. 12 dello Statuto;

  3. aveva affermato che »la contestuale emissione del processo verbale di constatazione e dell’avviso di accertamento» aveva causato la violazione del termine dilatorio di 60 giorni previsto dal settimo comma dell’art. 12.

In realtà, come precisato dalla CTR, nei confronti della società non era stato redatto alcun PVC, ma solamente una segnalazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di Lecco alla Direzione Regionale della Lombardia.

Ciò evidenziato, afferma la Corte che «le garanzie di cui all’art. 12 (della) legge n. 212/2000 si riferiscono espressamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti “nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali industriali, agricole, artistiche o professionali” che debbono appunto essere giustificati da “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” (…), con la conseguenza che tali garanzie operano esclusivamente nella predetta ipotesi, e nella specie non è stato chiarito se e quali prove poste a fondamento della pretesa tributaria siano state acquisite presso i locali della società».

Nel caso di specie, le garanzie erano state apprestate «esclusivamente a favore del contribuente verificato (in loco) e non anche del terzo a carico del quale possano emergere dalla detta verifica dati, informazioni od elementi utili per la emissione di un avviso di accertamento nei suoi confronti».

Osserva la Cassazione a questo riguardo che la rettifica – ex art. 54, terzo comma, del decreto IVA – può sicuramente derivare dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio, senza che si richieda un’autonoma attività istruttoria, «il cui svolgimento contrasterebbe con i principi di economicità ed efficienza dell’attività amministrativa, nonché con le norme specifiche che, in materia tributaria, disciplinano l’istruttoria e la motivazione degli atti impositivi – artt. 12 della legge n. 212 del 2000 – e consentono all’Amministrazione di avvalersi dell’attività di altri organi – artt. 51 e 52 del DPR n. 633 – (cfr. Corte cass. V sez. 11.6.2009 n. 13486)».

Le garanzia dell’art. 12 dello Statuto, in tale prospettiva, risultano applicabili solamente a fronte di un’attività istruttoria esterna («fotografata» dal pvc), e non anche quando l’attività di rettifica e sanzionatoria consegua a un «impulso» dato da segnalazioni, controlli su terzi, dall’esame delle dichiarazioni, nonché da relazioni / rapporti provenienti da altri Organismi, nell’ambito dei rapporti di cooperazione, ovvero direttamente dalla P.G. che ha operato nell’ambito di indagini penali, ovvero nel caso di accertamento effettuato dagli uffici finanziari in base a documenti ed elementi acquisiti a seguito di richieste, questionari od inviti.

In tutte queste ipotesi, gli elementi posti a fondamento della pretesa tributaria risultano acquisiti senza effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso i locali di esercizio dell’attività economica.

 

6 marzo 2013

Fabio Carrirolo