Registrazione di un contratto: contano gli effetti e non la forma

Per la corretta tassazione di un contratto registrato l’ufficio deve valutare l’intrinseca natura e il risultato giuridico prodotto, non il titolo, la forma o la struttura apparente data dalle parti a meri fini fiscali.

Con sentenza n. 1405 del 22 gennaio 2013 (ud. 12 novembre 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile l’abuso del diritto in qualsiasi ipotesi contrattuale, indipendentemente dalla forma utilizzata, così che l’indebito risparmio d’imposta generato dalla causa reale del contratto legittima la rettifica dell’ufficio.

 

Il processo

Con avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate contestava alla società F.G. di aver ingiustificatamente annotato e contabilizzato nel registro degli acquisti la fattura “45” emessa dalla Società gestione per il realizzo – SGR il 3 giugno 1998 per la vendita in pari data di un terreno suscettibile di attività edificatoria.

Rilevava che detta compravendita riguardava un unitario compendio immobiliare della superficie totale di 103 ettari, di cui due terzi erano occupati dall’azienda agricola ceduta per circa 2,1 miliardi di lire, scontando la corrispondente imposta di registro, e il resto comprendeva la confinante e annessa area fabbricabile ceduta per circa 22,2 miliardi di lire, scontando l’IVA di circa 4,4 miliardi di lire.

Sosteneva che l’intero comprensorio costituiva un unico ramo d’azienda la cui cessione era per legge soggetta per intero a imposta di registro e che tale conclusione era avvalorata da convergenti indicatori, quali:

  1. l’adiacenza dei suoli edificatori rispetto a quelli dell’azienda agricola,

  2. il censimento catastale di tutti i terreni come agricoli e nella stessa partita;

  3. l’indicazione in fattura dell’appartenenza dei terreni edificabili all’azienda agricola;

  4. la conduzione agricola di tutti i terreni da parte della cessionaria società F.G. fino al 2001;

  5. lo scorporo nel 2001 dell’intero comprensorio ed il suo conferimento nella nuova società A.I.P. con l’indicazione che era “… trasferito il ramo d’azienda costituito da compendio dei terreni edificabili, agricoli e fabbricati posseduti”.

Il ricorso della cessionaria società F.G., che sosteneva la confluenza nel medesimo rogito di autonome cessioni di suoli edificatori e di terreni costituenti l’azienda agricola, era accolto in prime cure, con pronunzia riformata in appello.

 

 

La decisione della Corte

Per la Corte, in materia di imposta di registro, l’art. 20 TUR (“l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”) intende privilegiare, nella contrapposizione fra “la intrinseca natura e gli effetti giuridici” e “il titolo o la forma apparente” di essi, il primo termine, unitariamente considerato, implica, assumendo un rilievo di fondo, che gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria.

“Ciò comporta che, ancorchè non si prescinda dall’interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nell’individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare.

Ne consegue la tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola. Sicchè l’autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale) restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, perchè altrimenti finirebbero per sovvertire i detti criteri impositivi (C. 10273/07; cfr. C. 11457/05 e 14900/01)”.

Secondo la Suprema Corte,

“l’art.20 costituisce indubbio indice rivelatore di criteri di qualificazione autonomi rispetto alle ordinarie ipostasi interpretative civilistiche, attesa la preminenza del principio generale antiabuso (SU 30005/08; C. 12042/09) e della regolamentazione reale degli interessi (C. 9162/10, 11769/08) oggettivizzata, come osserva la dottrina, nell’indagine sulle possibili conseguenze giuridiche di atti e negozi.

Ne deriva che non è addebitabile alla sentenza impugnata la violazione delle norme di ermenuetica contrattuale, circa la mera sussidiarietà del ricorso a elementi estranei al contratto e desumibili ‘aliunde’ riguardo a dati comportamentali, atteso che questa prospettiva si rivela inficiata da n’opzione interpretativa abrogatrice delle modalità impositive richiamate”.

 

 

La registrazione di un contratto – Brevi note

Come è noto, con l’ordinanza n. 14494 del 14 agosto 2012 (ud. 4 luglio 2012) la Cassazione ha confermato che

“in materia tributaria, ildivieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggifiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcunaspecifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenereun’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragionieconomicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dallamera aspettativa di quei benefici.

Tale principio trova fondamento, in temadi tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principicostituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione,e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosinell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensìnel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al soloscopo di eludere l’applicazione di norme fiscali.

Esso comportal’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogniprofilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di fardiscendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipicieventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusiveentrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione, comenella specie, (Cfr. anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 30055 del 23/12/2008; Sent. n. 12237 del 2008), ancorchè la disciplina specifica control’elusione già era stata ancor prima espressamente prevista nell’ordinamentonazionale con la L. n. 408 del 1990, art. 10”.

 

Il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale nega al contribuente la possibilità di conseguire vantaggi fiscali mediante l’uso distorto (pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione), di strumenti giuridici idonei al risparmio d’imposta, salvo che sottostante vi siano valide ragioni economiche.

Di conseguenza non possono essere opposti all’Amministrazione finanziaria tutti quei negozi che presentano tali caratteristiche, e ciò è rilevabile d’ufficio dal giudice.

L’ordinamento giuridico, quindi, pur accordando al privato l’autonomia e la tutela degli atti posti in essere per il perseguimento di interessi meritevoli, disconosce validità all’esercizio di poteri, diritti ed interessi in violazione del principio di buona fede oggettiva.

È quindi devoluto al giudice il compito di esaminare il regolamento negoziale posto liberamente in essere fra le parti al fine di verificare la rispondenza del contegno dei contraenti con il principio della buona fede oggettiva (Cass. sentenza n. 20106 del 18 settembre 2009, ud. dell’8 giugno 2009).

L’abuso del diritto, quindi, non presuppone una violazione in senso formale, ma delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede.

Nell’interpretazione dell’art. 20 del D.P.R. 131/1986, deve darsi preminenza alla causa reale sull’assetto cartolare, in modo da stabilire se l’autonomia privata sia stata orientata verso un lecito risparmio d’imposta, oppure se sia stato perseguito lo scopo di evasione di imposta e, nella fattispecie risulta chiara e sufficientemente dimostrata la reale volontà dei contribuenti.

 

7 febbraio 2013

Roberta De Marchi