Mancato invio: la dichiarazione di inesistenza di redditi in ambito penale

Il mancato invio delle dichiarazioni dei redditi può avere implicazioni penali per il contribuente; le evoluzioni normative in materia di certificazioni e dichiarazioni hanno fatto sorgere una assai severa responsabilità penale del dichiarante.

Omessa o infedele dichiarazione – Aspetti generali

È familiare il concetto di dichiarazione infedele od omessa, che si ricollega alla nozione di evasione fiscale, ovvero dell’inadempimento di un obbligo tributario incardinato nella Costituzione e nelle leggi, che consiste nel fornire all’autorità una rappresentazione non conforme al vero.

Si tratta di un comportamento cui si ricollegano specifiche sanzioni, sia in campo amministrativo tributario, sia in ambito penale (per quanto riguarda quest’ultimo, ci si deve limitare ai settori delle imposte sui redditi e dell’IVA).

Certo occorre tenere ben distinti l’ambito normativo tributario (speciale) da un lato, le cui violazioni vengono contrastate da specifiche sanzioni, e quello generale delle dichiarazioni amministrative, la cui falsità è oggetto delle disposizioni penali qui considerate.

In tale ultimo contesto, le evoluzioni normative in materia di certificazioni e dichiarazioni hanno fatto sorgere una assai severa responsabilità penale del dichiarante, che intenda «raggirare» il sistema (l’autorità) mediante dichiarazioni (autocertificazioni) mendaci: la sentenza della Corte di Cassazione, sezione V penale, n. 33218 del 23.8.2012 è intervenuta proprio su tale materia, facendo propri gli orientamenti più volte già espressi dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle varie forme di autocertificazione.

 

 

Omessa o infedele dichiarazione –  I riferimenti normativi

Le sentenze prese in considerazione nel presente articolo non riguardano direttamente l’ambito specificamente tributario, pur avendo a che fare con la dichiarazione della propria situazione reddituale di fronte ad autorità pubbliche.

Tale «dichiarazione» non corrisponde però a quella che viene presentata – come atto di scienza – al fine della determinazione delle imposte, concretandosi invece nella manifestazione del reddito (ovvero di altri elementi e circostanze) quale presupposto per ottenere benefici, autorizzazioni, etc., nonché per accedere a concorsi, graduatorie e altro.

Occorre a questo riguardo considerare che, a norma dell’art. 483 del c.p. («falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico»), «chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi».

Per far sorgere la fattispecie di reato, quindi, è necessario non solamente che sussista la falsa attestazione, ma anche che l’atto doveva provare la verità dei fatti attestati.

Quanto alle disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa, è necessario il riferimento al D.P.R. 28.12.2000, n. 445, il cui art. 46, trattando delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni, stabilisce che «sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti» (si riportano di seguito tutte le ipotesi inserite nelle varie lettere dell’articolo):

a) la data e il luogo di nascita;

b) la residenza;

c) la cittadinanza;

d) il godimento dei diritti civili e politici;

e) lo stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero;

f) lo stato di famiglia;

g) l’esistenza in vita;

h) la nascita del figlio, decesso del coniuge, dell’ascendente o discendente;

i) l’iscrizione in albi ed elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;

l) l’appartenenza a ordini professionali;

m) il titolo di studio e gli esami sostenuti;

n) la qualifica professionale posseduta, nonché il titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica;

o) la situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;

p) l’assolvimento di specifici obblighi contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto;

q) il possesso e il numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell’archivio dell’anagrafe tributaria;

r) lo stato di disoccupazione;

s) la qualità di pensionato e la categoria di pensione;

t) la qualità di studente;

u) la qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;

v) l’iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo;

z) tutte le situazioni relative all’adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio;

  1. di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;
  2. di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali;
  3. la qualità di vivenza a carico;
  4. tutti i dati a diretta conoscenza dell’interessato contenuti nei registri dello stato civile;
  5. di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato

 

Il successivo art. 47 del D.P.R. n. 445/2000 tratta della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, che può riguardare stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato, anche relativamente ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza.

In particolare il terzo comma dell’articolo dispone che, fatte salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, nei rapporti con la P.A. e con i concessionari di servizi pubblici, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’art. 46 (oggetto di autocertificazione) sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Le dichiarazioni sostitutive hanno la stessa validità temporale degli atti che sostituiscono (art. 48, primo comma), e possono essere redatte dagli interessati su moduli predisposti dalle varie amministrazioni: in tali moduli deve essere inserito il richiamo alle sanzioni penali previste dall’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate. I moduli devono altresì contenere l’informativa di cui all’art. 10 della L. 31.12.1996, n. 6751.

Si rammenta di seguito quanto è previsto dal citato art. 76 relativamente alle norme penali in materia di documentazione amministrativa:

  • chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal T.U. n. 445/2000 è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali;

  • l’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso;

  • le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli artt. 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell’art. 4, secondo comma (dichiarazioni «nell’interesse di chi si trovi in una situazione di impedimento temporaneo, per ragioni connesse allo stato di salute», che vengono sostituite dalla dichiarazione, contenenti espressa indicazione dell’esistenza di un impedimento, resa dal coniuge o, in sua assenza, dai figli o, in mancanza di questi, da altro parente in linea retta o collaterale fino al terzo grado, al pubblico ufficiale, previo accertamento dell’identità del dichiarante.), sono considerate come fatte a pubblico ufficiale;

  • se i reati sopra indicati sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l’autorizzazione all’esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dall’arte o professione.

 

 

 

Omessa o infedele dichiarazione –  La giurisprudenza recente

La questione della falsità delle dichiarazioni rese alle autorità incontra un differente trattamento se trattasi di adempimenti previsti da leggi speciali, come è il caso delle falsità od omissioni nelle dichiarazioni o nelle comunicazioni per l’attestazione delle condizioni di reddito in vista dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che fa sorgere la fattispecie di reato di cui all’art. 95 del D.P.R. n. 115/2002.

Detto reato, che riveste un carattere speciale rispetto alla fattispecie generale prevista dall’art. 483, c.p., è ravvisabile quando nelle dichiarazioni l’istante affermi, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dal legislatore come soglia di ammissibilità, ovvero neghi o nasconda mutamenti significativi del reddito dell’anno precedente, tali cioè da determinare il superamento di detta soglia (Cass. pen., sez. V, 19.2.2008, n. 12019).

Sulla stessa linea, Cass. pen., sez. V, 20.5.2010, n. 26182, ha osservato che «in tema di falsità documentali, integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) la falsa dichiarazione del privato – in sede di atto sostitutivo di notorietà – in ordine ai propri redditi preordinata ad ottenere la percezione degli assegni familiari; né è necessario, a tal fine, che l’autore del documento sia indicato mediante la sottoscrizione, essendo sufficiente, come nella specie, l’apposizione di una sigla e, comunque, che egli sia individuabile in virtù di elementi contenuti nel documento o da esso richiamati».

In sede di merito, è stato però affermato che «la mendacità dei dati reddituali inseriti nella domanda di partecipazione ad un bando per l’assegnazione di un contributo statale, ove ascrivibile ad un errore del professionista incaricato a redigere la dichiarazione dei redditi, non è una circostanza idonea ad integrare il reato di cui all’art. 483 c.p.» (Trib. Bari, sez. II, 3.6.2010).

La più recente Cass. pen., sez. V, 22.2.2012, n. 15047, si è pronunciata in materia di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), con riferimento a chi, intendendo arruolarsi nell’esercito italiano, aveva reso false dichiarazioni in ordine al giudizio conseguito in sede di diploma di scuola media secondaria, considerato che, avuto riguardo alla ratio dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000, si trattava di una procedura amministrativa nella quale non solo il titolo di studio ma anche l’esito degli esami sostenuti assume rilievo nella valutazione comparativa dei richiedenti.

Conformi con tale pronuncia giurisprudenziale sono: Cass. pen. sez. V, 12.1.2012, n. 5962; Cass. pen. sez. V, 1.12.2011, n. 12149; Cass. pen. sez. V, 15.12.2010, n. 7108; Cass. pen. sez. V, 15.12.2010, n. 11792; Cass. pen. sez. V, 14.12.2010, n. 3681; Cass. pen. sez. V, 1.12.2010, n. 3377; Cass. pen. Sez. V, 12.10.2010, n. 42665. Difforme, Cass. pen. sez. V, 16.9.2010, n. 42871, di seguito ripresa e brevemente commentata.

Secondo la sentenza da ultima citata,

«non integra il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico la dichiarazione relativa al conseguimento di un diploma scolastico contenente la falsa indicazione del giudizio finale riportato, perché il reato si configura soltanto se una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati, collegando l’efficacia probatoria al dovere del dichiarante di affermare il vero».

Nella motivazione, la S.C. ha richiamato il disposto dell’art. 46, primo comma, lett. m.) del D.P.R. n. 445/2000, che prevede come fatti soggetti ad autocertificazione il titolo di studio e gli esami sostenuti, ma non anche il giudizio o il voto riportato.

Occorre poi considerare che

«la coscienza del disvalore penale del delitto di falso ex art. 483 c.p. deve ritenersi ravvisabile anche in una persona di non elevato livello scolastico, in quanto nei delitti di falso in atto pubblico l’elemento psicologico consiste nel dolo generico e, dunque, nella coscienza e volontà di immutare il vero, indipendentemente da qualsiasi fine di profitto o di danno, dolo generico che non è affatto incompatibile con un atteggiamento di leggerezza dell’autore del reato» (Trib. Padova, 31.3.2012).

 

Si consideri che, ove l’ipotesi di reato concorresse con fattispecie delittuose tributarie, queste ultime potrebbero prevalere in quanto speciali giacché prevedono il dolo specifico di evasione.

La nazionalità straniera dell’imputato, qualora questo abbia una scarsa conoscenza della lingua italiana, può far venir meno, secondo le corti di merito, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 483 c.p. (Trib. Perugia, 24.4.2012; Trib. Trento, 26.4.2012).

Integra invece la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 483 c.p.

«la condotta del legale rappresentante di una società che, al fine di partecipare ad una gara d’appalto indetta da una Pubblica Amministrazione, dichiari, quale requisito imprescindibile ai fini dell’ammissione alla procedura, la regolarità degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse, nonostante la pendenza, a carico della società, di cartelle di pagamento relative ad imposte, per le quali non risultino presentate istante di rateazione» (Trib. Monza, 22.5.2012).

In contrasto con la sopra richiamata sentenza n. 42871/2010 della Cassazione penale, la Corte d’Appello di Lecce ha affermato, nella sentenza del 16.5.2012, che

«la falsa attestazione, nella domanda di arruolamento, del voto del diploma di maturità integra la fattispecie di cui all’articolo 483 del codice penale (falsità ideologica del privato in atto pubblico) e non quella di cui all’articolo 495 dello stesso codice (false attestazioni a pubblico ufficiale), dal momento che la domanda di arruolamento deve ritenersi un atto pubblico e non già una dichiarazione rivolta ad un pubblico ufficiale».

 

Non da’ luogo invece alla fattispecie incriminatrice ex art. 483 c.p. la condotta di chi dichiari al notaio, pubblico ufficiale incaricato della stipula di un contratto di compravendita immobiliare, un valore dell’immobile difforme rispetto a quello reale.

Tale reato è infatti configurabile

«solo qualora il privato attesti falsamente al pubblico ufficiale fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, e dunque qualora una specifica norma giuridica extrapenale attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, circostanza questa non rinvenibile nella descritta ipotesi, in quanto il contratto di compravendita immobiliare ha la funzione tipica di trasferire un bene da un soggetto ad un altro, previa corresponsione del prezzo, ma non anche quella di attestare la verità delle dichiarazioni dei contraenti» (Trib. Bologna, 23.5.2012).

 

Punendo il privato che attesta falsamente al pubblico ufficiale in atto pubblico fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, la disposizione normativa di cui all’art. 483 c.p. si riferisce a quei fatti, attestati dal privato, che abbiano una rilevanza probatoria inerente all’essenza funzionale dell’atto, sempre che il privato abbia però il dovere giuridico di attestazione veridica dei fatti stessi, ossia se l’obbligo a carico del privato è stabilito in modo inequivocabile dalla legge.

Il reato di falso ideologico può pertanto essere ritenuto sussistente nell’ipotesi in cui vengano rese, in una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, false attestazioni su fatti dei quali l’atto medesimo è destinato a provare la verità (Trib. Napoli, sez. I, 6.6.2012).

 

 

 

La sentenza in commento

L’ultima sentenza in ordine cronologico sul tema, che qui viene illustrata e commentata, è la pronuncia della sezione V penale della Corte di Cassazione n. 33218, depositata il 23.8.2012 (udienza del 31.5.2012).

Il contenzioso di merito riguardava l’autrice di false dichiarazioni sul reddito, che erano state rese in dichiarazione sostitutiva di certificazione, che era stato condannato dal Tribunale con sentenza confermata in grado d’appello.

Il ricorso per cassazione è stato ritenuto dalla Corte non meritevole di accoglimento, sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • il dolo integratore del delitto di falsità ideologica, di cui all’art. 433 c.p., è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero2;

  • è escluso il dolo del delitto di falso tutte le volte in cui la falsità risulti essere semplicemente dovuta a leggerezza o a negligenza, non essendo prevista nel vigente sistema la figura del falso documentale colposo3.

 

 Nel caso di specie, non ricorreva una situazione «colposa», dal momento che, secondo la condivisibile affermazione della Corte, l’imputata conosceva bene la propria situazione reddituale, sicuramente non pari allo zero.

Inoltre, sulla base della pregressa giurisprudenza della Corte4, hanno affermato i giudici di legittimità che

«l’art. 483 c.p. ha (…) natura di norma in bianco che, quindi, richiede, per la definizione del suo contenuto precettivo, il collegamento con una diversa norma, eventualmente di carattere extrapenale, che conferisca attitudine probatoria all’atto in cui confluisce la dichiarazione non veritiera, così dando luogo all’obbligo per il dichiarante di attenersi alla verità».

 

Secondo la S.C., l’autocertificazione prevista dal D.P.R. n. 445/2000

«svolge, proprio, la funzione di norma integratrice del precetto penale attribuendo efficacia probatoria ai fini amministrativi alla dichiarazione del privato di provare i fatti attestati, evitando l’onere di provarli con la produzione nella specie, della dichiarazione dei redditi e così collegando l’efficacia probatoria dell’atto al dovere dell’istante di dichiarare il vero».

In definitiva: la finalità dell’autocertificazione, di fornire la prova dei fatti attestati ai fini amministrativi, rende applicabile la sanzione prevista dal codice penale, con l’interposizione dell’art 76 del D.P.R. n. 445/2000.

 

28 novembre 2012

Fabio Carrirolo

 

NOTE

1 L. 31.12.1996, n. 675 – Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.

Art. 10 – Informazioni rese al momento della raccolta.

(In vigore dal 1.3.2002 – modificato dal D.Lgs. n. 467 del 28.12.2001 – art. 4.

1. L’interessato o la persona presso la quale sono raccolti i dati personali devono essere previamente informati oralmente o per iscritto circa:

a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati;

b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati;

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e) i diritti di cui all’articolo 13;

f) il nome, la denominazione o la ragione sociale e il domicilio, la residenza o la sede del titolare, del suo rappresentante nel territorio dello Stato e di almeno un responsabile, da indicare nel soggetto eventualmente designato ai fini di cui all’articolo 13, indicando il sito della rete di comunicazione o le modalità attraverso le quali e’ altrimenti conoscibile in modo agevole l’elenco aggiornato dei responsabili.

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2 La S.C. richiama a tale riguardo Cass. Sez. II, 28.10.2003 n. 47867.

3 Cfr. Cass. Sez. VI, 24.3.2009, n. 15485.

4 Cass. SS.UU. 13.2.1999, n. 6 nonché 15.12.1999, n. 28; Cass. sez. V, 13.2.2006, n. 19361; sez. V, 4.12.2007, n. 5365.