Documenti non esibiti in sede di verifica fiscale: conseguenze e possibili risvolti operativi

Ampia ed estesa analisi delle problematiche a cui va incontro il contribuente che, in sede di verifica fiscale, non riesce o si rifiuta di esibire i documenti contabili richiesti dal Fisco ai fini della verifica.
Il presente contributo intende anche stimolare un’utile riflessione in merito.

Documentazione non esibita in sede di verifica: quali conseguenze?

documentaizone non prodotta dal contribuente in sede amministrativaLa mancata esibizione di documenti contabili, a fronte di richiesta dei verificatori, in sede di controllo fiscale, è comportamento censurabile e certamente da evitare.

Resta tuttavia il fatto che l’omissione in esame può assumere una serie di “vesti” diverse, al ricorrere delle quali, emergono diverse conseguenze in capo al contribuente che se ne è reso autore. Il presente contributo intende soffermarsi sulle indicazioni offerte da alcune pronunce giurisprudenziali sul tema, con l’intento di stimolare un’utile riflessione in merito.

L’amministrazione finanziaria, nel corso della propria attività di accertamento, esegue richieste di dati, documenti ed informazioni, che possono avvenire nel corso di accessi diretti presso la sede delle attività sottoposte a controllo, o presso i locali dove sono conservate le scritture contabili, o, ancora, nel contesto di richieste di informazioni e documenti, operate per mezzo dell’ invio di questionari, o di inviti al contraddittorio.

E’ in tali contesti che, non di rado, capita di rilevare il mancato soddisfacimento delle richieste (in verità non sempre adeguatamente specificate, formalizzate e verbalizzate…) eseguite dai Funzionari incaricati delle operazioni.

Quanto precede non è sempre frutto di volontaria sottrazione di documenti e prove, ad opera del contribuente, ma può essere causata, a mero titolo esemplificativo, da carenze organizzative e di archiviazione, da momentanei trasferimenti presso terzi soggetti della documentazione stessa, per ragioni plausibili, o ancora, da eventi fortuiti che ne hanno generato la distruzione, nonché dallo smarrimento delle stesse scritture contabili.

Come si avrà modo di illustrare, nel corso del tempo, la giurisprudenza ha avuto occasione di fornire una gamma di possibili risposte, ai legittimi interrogativi inerenti le conseguenze che possano scaturire dai comportamenti richiamati poc’anzi, giungendo a soluzioni che sarà interessante esaminare, onde ipotizzare possibili soluzioni operative in merito.

 

Riferimenti normativi relativi alla mancata presentazione dei documenti in sede di verifica

I principali riferimenti normativi possono riassumersi nelle norme seguenti :

  • il 5° comma dell’articolo 52 del d.p.r. n. 633/72, denominato “Accessi, ispezioni e verifiche” ;
  • il 3° ed il 4° comma dell’articolo 32 del d.p.r. n. 600/73, denominato “Poteri degli uffici” ;
  • il 2° comma dell’articolo 39 del d.p.r. n. 600/73, denominato “Redditi determinati in base alle scritture contabili.”

 

Cominciando l’analisi dalla prima delle disposizioni citate, essa recita testualmente :

“I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa.”

 

La medesima norma prosegue poi specificando quali comportamenti del contribuente sottoposto ad accertamento vadano inclusi nel “rifiuto” in esame:

“Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione.”

 

Veniamo ora ad illustrare quanto contemplato dal terzo comma dell’articolo 32 del decreto sull’accertamento:

“Le notizie ed i dati non addotti, e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.”

 

E sin qui la norma ricalca quella già descritta; infine aggiunge un onere informativo a carico dei verificatori, laddove asserisce che

“Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente, contestualmente alla richiesta.”

 

Il 4° comma dell’articolo 32 del decreto sull’accertamento, sembra invece “tendere una mano” ai contribuenti che incolpevolmente siano venuti meno all’obbligo di esibizione, laddove afferma che

“Le cause di inutizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.”

 

Sarebbe molto interessante riuscire a comprendere se, ed eventualmente in quali casi, possa essere “giustificabile” la mancata esibizione di documentazione la cui conservazione è obbligatoria ai sensi delle vigenti normative : come avremo modo di illustrare in seguito, anche su questo specifico tema non si è mai pervenuti ad una soluzione definitiva ed univoca.

Sarà comunque possibile seguire i percorsi tracciati dalle pronunce giurisprudenziali nel corso del tempo, per poter fornire indicazioni ragionevolmente attendibili agli operatori che potrebbero malauguratamente trovarsi in situazioni del tipo indicato.

 

La distruzione accidentale dei documenti contabili

Anzi tutto, con riferimento al tema della distruzione di documenti, occorre rilevare come nella prassi operativa possano configurarsi due distinte casistiche, che potremmo definire come:

  • distruzione accidentale o da eventi fortuiti ;
  • distruzione od occultamento volontario.

Premesso che nel presente paragrafo si esamineranno effetti e possibili soluzioni relativamente alla sola distruzione accidentale, ritengo in merito sia di notevole interesse il caso che ha costituito oggetto della sentenza n. 587 della Corte di Cassazione, emessa in data 15 gennaio 2010.

I giudici di seconde cure, la cui sentenza è stata opposta in Cassazione, avevano confermato quanto stabilito nel primo grado, ravvisando l’illegittimità dell’avviso di accertamento, emesso a seguito di indagini bancarie, eseguite nei confronti di una persona fisica, titolare di impresa individuale. Quest’ultimo aveva affermato di non potersi opporre in alcun modo ai rilievi mossi, e risultanti nell’atto impositivo, stante l’indisponibilità della documentazione contabile 1, che in maniera del tutto accidentale, era andata distrutta in un incendio.

La commissione regionale ha quindi ritenuto che quanto assunto dai verificatori, in base all’indagine bancaria posta in essere, fosse frutto del recepimento acritico delle risultanze derivanti dai conti correnti esaminati, senza che i dati così emersi potessero rappresentare presunzioni precise e concordanti.

In aggiunta a quanto precede, gli stessi giudici del gravame avevano stabilito che l’ufficio non avrebbe potuto utilizzare quanto emergente dalla predetta indagine, come fondamento per un accertamento induttivo nei confronti del contribuente: il tutto, considerata la mancanza di colpa di quest’ultimo, che aveva subito la distruzione della documentazione obbligatoria in un evento accidentale come, appunto, l’incendio di cui trattasi.

 

La Suprema Corte era stata chiamata in causa dall’Agenzia delle Entrate che, in particolare, poneva la questione circa la legittimità del comportamento del contribuente che, a seguito delle indagini finanziarie avviate nei suoi confronti, in mancanza della documentazione obbligatoria, si limitava a denunciarne la distruzione, contestando la ricostruzione reddituale effettuata dall’ufficio: quanto precede, senza procurarsi di fornire elementi di prova diversi, come previsto espressamente dall’articolo 2724 del codice civile, laddove afferma che

“La prova per testimoni è ammessa in ogni caso: … 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”.

Ebbene è ormai noto che, in materia di indagini finanziarie, svolte ai sensi degli articoli 32 del d.p.r. n. 600/73 e 51 del d.p.r. n. 633/72, i verificatori godono di una presunzione legale capace di consentire loro l’assimilazione a ricavi non dichiarati dei prelevamenti e versamenti eseguiti dal contribuente sui propri conti correnti bancari, ove dallo stesso non debitamente giustificati.

La predetta presunzione, pur non menzionata espressamente dalle disposizioni normative di riferimento, è pienamente riconosciuta sia dalla prassi, che dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità 2.

 

Conseguentemente, l’Amministrazione è dispensata dal fornire qualsiasi prova a sostegno della propria pretesa, scaricando sul contribuente tutto il “peso” della produzione di oneri probatori a sua discolpa: quest’ultimo infatti può opporsi efficacemente soltanto dimostrando, con riferimento alle operazioni effettuate sui propri conti correnti, di averne

“… tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che non hanno rilevanza allo stesso fine”,

e ancora, di averle debitamente rappresentate nella contabilità, individuandone i beneficiari, con specifico riferimento ai prelevamenti.

 

sentenza corte di cassazioneLa Cassazione, nella sentenza in esame, ribadito il sussistere della presunzione legale di cui sopra, favorevole all’Amministrazione, ha richiamato un orientamento giurisprudenziale consolidato 3 secondo cui, in caso di incolpevole impossibilità di esibire la documentazione contabile, a causa di furto o incendio, il contribuente non è affatto esonerato dall’onere della prova.

La sentenza in commento prosegue, chiarendo che, nelle ipotesi in esame, non è sostenibile lo spostamento dei medesimi oneri probatori in capo all’ufficio che procede alla verifica: va invece, di converso, ammesso il ricorso, da parte del contribuente, alla prova per testimoni o presunzioni, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 2724, n.3, e 2729 del codice civile.

In questo caso la Cassazione ha quindi riconosciuto un’eccezione a quanto disposto dall’articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 546/92, il quale, in materia di contenzioso tributario, lapidariamente statuisce che “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale.”

A ben guardare, viene da argomentare che l’apertura della Corte all’utilizzo della prova per testimoni o presunzioni appare “forzata” dalle circostanze: quanto precede nel senso che, attenendosi al tenore letterale della norma richiamata, ci si rimetterebbe completamente al libero arbitrio del contribuente. Quest’ultimo, infatti, perdute le scritture contabili nell’incendio (o in un furto), avrebbe potuto far valere le proprie ragioni, a prescindere dal contenuto della stessa contabilità, proprio “grazie” all’evento accidentale intervenuto! Secondo quanto affermato in precedenza dalla stessa Cassazione, al contrario, soltanto la mancata richiesta di avvalersi di ulteriori mezzi istruttori, comporta il mancato assolvimento degli oneri probatori, ed il rigetto del ricorso 4.

In altre parole, non è sufficiente al contribuente sostenere la perdita o la distruzione della documentazione per causa a lui non imputabile : tali eventi non lo “sollevano” dall’onere della prova, obbligandolo comunque a fornire elementi diversi da quelli rappresentati dalla documentazione indisponibile, a sostegno delle sue tesi difensive, o a contestazione di quelle avanzate dagli uffici.

 

Sul tema della perdita a seguito di furto, o distruzione accidentale, dei documenti contabili, manca nel nostro ordinamento una specifica disposizione normativa che ne statuisca e determini le conseguenze: unico riferimento è quello fornito dal secondo comma dell’articolo 39, del d.p.r. n. 600/73, il quale afferma la possibilità, per gli uffici dell’amministrazione finanziaria, di determinare il reddito induttivamente

”… sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o comunque venuti a sua conoscenza…”,

e di avvalersi anche di presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza,

“… quando dal verbale di ispezione … risulta che il contribuente non ha tenuto, o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art.14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per cause di forza maggiore”.

 

La “causa di forza maggiore” citata dalla norma è quella che si verifica nonostante il contribuente abbia adottato le ordinarie precauzioni ed un comportamento diligente : si tratta quindi, evidentemente, delle ipotesi di distruzione involontaria di cui stiamo discutendo.

Se quindi da un lato è pacifico che gli uffici, al ricorrere di queste fattispecie, possano innescare l’accertamento induttivo, come si è già affermato in precedenza è d’altro canto consolidato il filone giurisprudenziale secondo cui il contribuente, una volta persa la possibilità di esibire le scritture contabili, debba comunque adoperarsi per ricostruire i dati a suo tempo inseriti nelle stesse.

Come procedere pertanto in tali malaugurate ipotesi?

Anzi tutto, occorrerà procedere a denunciare il fatto (incendio, furto…) alle competenti autorità di pubblica sicurezza, onde provare l’effettiva indisponibilità dei documenti presso il contribuente (o il depositario delle scritture dallo stesso indicato).

Successivamente si dovranno chiedere copia dei documenti (ad esempio, fatture emesse e ricevute) ai propri clienti e fornitori, e quindi ristampare i registri, se tenuti con modalità informatiche.

Infine, occorrerà ricostruire le operazioni effettuate con specifico riferimento ai flussi finanziari: ad esempio, si pensi alla ricostruzione del registro dei corrispettivi, per mezzo della prima nota di cassa, ovvero ai saldi di fornitura e agli incassi ricostruibili dalle risultanze bancarie.

Infine, ove risultasse impossibile il riscontro presso taluni clienti (o fornitori), si potrà ricorrere alla prova per testimoni o presunzioni, utile a confermare quanto risultante dalla ristampa delle operazioni effettuate, oggi ordinariamente riproducibile, stante la conservazione delle scritture in formato digitale.

Va precisato che, per “prova testimoniale” va intesa una dichiarazione scritta rilasciata da terzi, che entra nel procedimento processuale quale supporto documentale, utile a formare il convincimento del giudice tributario.
 

Tali dichiarazioni fanno fede, fino a querela di falso, della autenticità della dichiarazione e dell’identificazione del dichiarante, ma non anche della veridicità del contenuto: è per tale motivo che sono utili soltanto a confermare quanto altrimenti riprodotto dal contribuente (ad esempio con una stampa delle risultanze conservate nelle memorie del computer utilizzato per la tenuta della contabilità).

Ed è per lo stesso motivo che occorre, prima di tutto, ricorrere ai soggetti con i quali si è interagito nel corso della propria attività (tipicamente, appunto, clienti fornitori), e solo in ultima istanza ricorrere a tali ulteriori mezzi di prova.

 

La distruzione volontaria e l’occultamento dei documenti contabili

Sino ad ora ci siamo occupati delle ipotesi di distruzione accidentale della documentazione: può invece concretizzarsi l’ipotesi in cui l’occultamento o la distruzione avvengano per volontà del contribuente. In merito si ritiene di richiamare la sentenza n. 38224 del 28 ottobre 2010 della Cassazione, per la chiarezza espositiva che ne l’ha caratterizzata.

Il caso sottoposto ai Giudici di legittimità era quello di una persona fisica, titolare di un’impresa meccanica, che non aveva esibito alcune fatture, irreperibili, sia presso la sede dell’attività d’impresa, che presso l’abitazione, con conseguente impossibilità di ricostruire fedelmente i redditi e il volume d’affari dell’impresa.

Da rilevare che le stesse fatture erano state poi reperite presso terzi, ad opera dei verificatori. Secondo il Tribunale di Udine, che si era pronunciato in sede di udienza preliminare, non era configurabile un’ipotesi di reato, posto che non vi era prova circa il fatto che la documentazione fosse mai stata istituita : nella particolare fattispecie, infatti, era impossibile stabilire se il mancato rinvenimento si riferisse ad un’omissione originaria o ad una successiva attività di eliminazione.

Di qui la declaratoria di improcedibilità.

Avverso la sentenza erano stati proposti ricorsi per cassazione dal Procuratore generale e dal Pubblico ministero, ricorsi che hanno trovato accoglimento ad opera della Suprema Corte, che ha annullato la sentenza, rinviando allo stesso Tribunale per l’ulteriore corso.

 

Reato di distruzione volontaria di scritture contabili

Quanto precede, affermando che commette il reato previsto dall’articolo 10 del decreto legislativo n. 74/2005 il titolare di un’impresa che, al fine di evadere le imposte dirette e l’Iva, occulta o distrugge, in tutto o in parte, le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari dell’impresa stessa.

Il reato sussiste anche se la documentazione, non rinvenuta presso la sede dell’impresa, né presso l’abitazione del titolare, era poi stata acquisita in seguito, presso i clienti della stessa impresa.

La Corte ha proseguito affermando che, perché si configuri il predetto reato, oltre al dolo della condotta evasiva perpetrata, occorre ottenere la prova dell’istituzione dei documenti contabili, e della produzione di volume d’affari e di reddito, in capo al contribuente sottoposto a verifica.

Secondo la sentenza in commento,

“… è ancora valido l’orientamento prevalente di questa Corte 6 … secondo cui l’occultamento delle scritture contabili che integra gli estremi del delitto contestato può realizzarsi con qualsivoglia modalità e, quindi, con il materiale nascondimento nello stesso posto o in altro luogo rispetto a quello ove i documenti devono essere conservati e con il rifiuto a esibirli…”.

 

L’articolo 10 del decreto legislativo n. 74/2000 sanziona penalmente chi viene meno all’obbligo di esibire ai verificatori la documentazione della quale è normativamente prevista la conservazione.

 

La Corte precisa che il reato si configura anche se l’occultamento o la distruzione della documentazione è soltanto parziale, configurando comunque una condotta idonea a

“non consentire” di determinare il risultato economico delle operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta. Prosegue quindi affermando che “… non è … richiesta come essenziale l’impossibilità di ricostruire tutta la gestione economica del contribuente per l’anno d’imposta interessato, ma … un elevato grado di difficoltà di ricostruire il reale volume degli affari o dei redditi…”.

 

Il reato, conseguentemente, non è

“… escluso dalla circostanza che alla determinazione dei redditi si sia potuti pervenire aliunde, senza che assuma alcuna rilevanza la possibilità in concreto di poter pervenire alla ricostruzione, avvalendosi di elementi e dati raccolti all’esterno e in modo indiretto, perchè è sufficiente un’impossibilità relativa…”.

 

Come affermato dai Giudici di legittimità,

“… poiché la norma intende assicurare la trasparenza fiscale del contribuente, è irrilevante che delle operazioni non documentate venga effettuata la ricostruzione ab externo, attraverso riscontri incrociati, presso i soggetti economici cui si riferiscono quelle operazioni…

La norma, infatti, sarebbe sostanzialmente inutiliter data, ove si attribuisse alla solerzia degli accertatori ed alla loro capacità di reperire aliunde elementi di prova, una sorta di efficacia sanante dell’illecita condotta dell’imprenditore…

Essa, per contro, acquista una precisa ragion d’essere anche perché responsabilizza l’imprenditore, allorché si interpreta nel senso che la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari dell’impresa deve poter avvenire con i documenti che il titolare è tenuto a conservare, escluso pertanto qualsiasi riferimento ad una impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione”.

 

Per configurare il reato in esame, ha ravvisato la Corte nella fattispecie oggetto della presente sentenza, oltre che il dolo specifico, finalizzato all’evasione, e la citata impossibilità di ricostruire, si pure parzialmente, il volume d’affari o il reddito, è necessaria la prova dell’avvenuta istituzione dei documenti contabili.

E’ infatti del tutto evidente che il reato descritto dall’articolo 10 del decreto legislativo n. 74/2000 non può concretizzarsi in mancanza della prova circa l’effettiva istituzione dei documenti occultati o distrutti. In assenza della predetta prova, infatti, il contribuente risponderebbe unicamente dell’omessa tenuta della contabilità, violazione soggetta a sanzione amministrativa disciplinata dall’articolo 9 del decreto legislativo n. 471/97.

Laddove sia dimostrabile che il contribuente ha distrutto od occultato i documenti contabili in precedenza istituiti e conservati, si configura l’ipotesi di reato, che prevede l’irrogazione, tra l’altro, di pene detentive.

 

 

Quando il contribuente a rischio reato può optare per il silenzio

Una volta accertata ed evidenziata la rilevanza penale dell’occultamento o della distruzione volontaria di documenti amministrativi o contabili, la cui conservazione è normativamente statuita, pare interessante un’osservazione suggerita da una recente sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

Il caso  Chambaz contro Svizzera

Si tratta del caso Chambaz contro Svizzera, che ha formato oggetto del ricorso n. 11663/04, con deposito avvenuto in data 05 aprile 20127.

Sostanzialmente la Corte ha affermato che il diritto di non contribuire alla propria incriminazione è applicabile ai procedimenti di carattere amministrativo inerenti obblighi di natura fiscale suscettibili di ripercussioni dal punto di vista penale.

Se una verifica fiscale, nel corso del suo svolgimento, appare suscettibile di assumere rilevanza penale, alla luce dell’entità e qualità dei rilievi e delle contestazioni mosse dai verificatori, il contribuente sottoposto a verifica ha diritto di non presentare i documenti, dati od informazioni richiesti dagli uffici dell’amministrazione, se da tale materiale possano scaturire conseguenze aventi rilevanza penale per lo stesso soggetto sottoposto a controllo.

Una tale conclusione può trarsi dal contenuto dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che, riconoscendo il diritto ad un equo processo, fa trasparire anche se in forma implicita, il diritto del contribuente interessato ad evitare di contribuire alla propria incriminazione.

Alla Corte si era rivolto un cittadino svizzero che aveva ricevuto un atto impositivo dai competenti uffici dell’amministrazione finanziaria cantonale, sulla base di un’evidente sproporzione esistente tra il patrimonio in dotazione ed i redditi dichiarati. Il contribuente si era opposto, ma i giudici tributari aditi gli avevano ordinato l’esibizione di documentazione utile a chiarire quanto contestatogli.

Lo stesso si rifiutava di fornire tali documentazioni e chiarimenti, subendo l’irrogazione di sanzioni.

Aveva quindi impugnato il provvedimento sanzionatorio emesso nei suoi confronti presso il competente tribunale amministrativo, mentre, nel contempo, era stata avviata nei suoi confronti un’indagine per evasione fiscale.

L’interessato si era allora rivolto alla Corte europea per i diritti dell’uomo, la quale aveva affermato che nei procedimenti che si svolgono interessando più profili, come quello in cui una verifica tributaria può assumere conseguenze penali, il soggetto sottoposto a verifica può esimersi dall’aggravare la propria posizione, consegnando la documentazione o fornendo i dati ed informazioni richiesti dai verificatori.

La strategia difensiva del “silenzio” potrebbe quindi apparire ragionevole, laddove vi sia consapevolezza, nei vertici di un’impresa sottoposta a verifica, di essersi resi colpevoli di reati di consistente gravità, nell’ottica di non correre il rischio di aggravare la propria posizione.

Ciò nondimeno, va nuovamente ribadito che l’occultamento, ove appaia come volontariamente posto in essere dal contribuente, è suscettibile di denuncia all’autorità giudiziaria per il reato penale specifico, delineato dall’articolo 10 del decreto legislativo n. 74/2000.

Da rilevare, ulteriormente, che gli effetti preclusivi della prescrizione su tale fattispecie di reato sono difficilmente concretizzabili.

L’occultamento della documentazione contabile è infatti un reato a ad effetti permanenti, dal momento che le sue conseguenze in termini di impedimento ed ostacolo all’attività accertativa si replicano, perpetuandosi nel corso del tempo.

Appare pertanto improbabile sperare nella prescrizione del reato, stante il fatto che il termine a quo decorre dall’accertamento dello stesso.

 

 

I documenti non esibiti sono sempre inutilizzabili dal contribuente?

Come si è avuto modo di illustrare nel paragrafo di apertura del presente contributo, alla mancata esibizione dei documenti obbligatoriamente soggetti a conservazione si accompagna l’impossibilità per chi se ne è reso responsabile, di utilizzarli come mezzi di prova a proprio favore, in sede amministrativa o contenziosa.

 

Ma questo divieto è davvero esente da eccezioni?

Sui confini relativi all’applicabilità della sanzione indiretta, rappresentata, appunto, dal divieto di cui si è detto poc’anzi, la Cassazione si è ripetutamente espressa, nel senso di confermarne la valenza soltanto ove, nella specifica fattispecie, possa ricontrarsi un atteggiamento intenzionalmente diretto a sottrarre all’ispezione la documentazione richiesta, previo occultamento o distruzione della stessa.

In particolare appare di rilievo la sentenza n. 45 emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione, in data 25 febbraio del 2000: la citata sentenza pone delle “condizioni” all’efficacia della sanzione indiretta comminata a chi non esibisce quanto richiesto dai verificatori . In particolare, citandola in massima,

“… perché la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria) richiestigli in esibizione determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre : la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi, in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento, in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni ; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento…”.

 

 

La negligenza nella custodia dei documenti

La sentenza n. 45 del 25 febbraio del 2000, appena richiamata, prosegue affermando che

“… pertanto non integrano i presupposti applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione”.

 

La sentenza in esame, ribadendo quanto affermato circa il rilievo determinante dell’intenzionalità e del dolo del contribuente che non esibisce la documentazione, pur non facendone espressa menzione, lascia chiaramente trasparire la necessità che il rifiuto segua ad un’esplicita richiesta da parte dei verificatori.

In assenza di tale richiesta specifica, resta inteso che quel documento ,o quella data scrittura, potranno pertanto essere utilizzati a favore del contribuente, anche ove questi non lo abbia precedentemente esposto ai verificatori.

La sentenza, quindi, si spinge più in là, affrontando un ulteriore profilo della questione, assai rilevante nella prassi operativa: l’indisponibilità della documentazione, connessa a negligenza e disorganizzazione caratterizzanti l’archiviazione e conservazione.

Sovente capita che, al momento dell’accesso dei verificatori, si crei uno stato di apprensione, capace di generare confusione e approssimazione anche nelle operazioni che parrebbero a prima vista più ovvie.

Possono, di fatto, crearsi situazioni che rendono difficoltoso il reperimento di documenti realmente esistenti, senza che esista alcuna volontà o intenzione di occultamento da parte del contribuente: si pensi al caso in cui i verificatori, a seguito di un accesso eseguito presso la sede dell’attività del contribuente effettuino nei suoi confronti richieste di esibizione di documenti.

Poniamo che quest’ultimo risponda, esibendo la relativa attestazione, che le scritture contabili sono conservate presso lo studio del proprio consulente, ma questi risulti assente, e non vi siano persone da lui in tal senso delegate all’interno dello studio professionale.

Oppure, ancora, al caso in cui, nella stessa ipotesi di accesso presso la sede operativa del contribuente, le scritture siano effettivamente conservate presso la sede del cliente, ma risultino momentaneamente indisponibili, perché consegnate in precedenza al consulente, onde permettergli l’effettuazione di alcuni riscontri, su esplicita richiesta dello stesso cliente, o per fornire riscontro ad un avviso bonario relativo nel frattempo emesso dalla stessa amministrazione finanziaria.

Ebbene, in questi casi, più che di

“… negligenza e imperizia nella custodia e conservazione”,

si dovrebbe parlare di “ritardi” nell’esibizione, come di seguito specificato.

 

Il “lieve ritardo” nella produzione della documentazione

Sempre su questa “linea” interpretativa, si inquadra il disposto di cui alla sentenza n. 20461 del 06.10.2011 della Cassazione.

Ai Giudici di legittimità era stato posto il caso di una società alla quale l’ufficio aveva notificato un invito contenente un questionario, emesso ai sensi dell’articolo 32, comma 1, numeri 3 e 4, del d.p.r. n. 600/73.

Tali inviti, ai sensi della stessa disposizione appena richiamata, devono essere ritualmente notificati al contribuente e prevedere un termine per l’adempimento che

“… non può essere inferiore a 15 giorni…”.

 

Nel caso specifico la società aveva ricevuto la notifica in data 24.11.2003, fornendo i riscontri richiesti in data 05.01.2004.

L’articolo 39, comma 2, del d.p.r. n. 600/73, prevede espressamente che

“… l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, in quanto esistenti, e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti8 di cui alla lettera d del precedente comma: … c) quando dal verbale di ispezione…risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’articolo 14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per cause di forza maggiore; … d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici, ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto…”. 

 

Evidentemente, quindi, la mancata risposta ai suddetti inviti è sostanzialmente assimilata all’omessa esibizione della documentazione contabile : per tale ragione l’ufficio ha proceduto ad un accertamento di tipo induttivo nei confronti della società.

La vicenda ha poi affrontato le fasi di merito, pervenendo infine dinanzi ai Giudici di legittimità che, pur tenendo in debita considerazione il contenuto letterale del disposto esaminato poc’anzi, ha inteso interpretarlo in maniera meno rigida,

“… mettendo il solo totale inadempimento sullo stesso piano delle altre ipotesi previste dall’articolo 39, 2° comma, del d.p.r. n. 600/73, le quali tutte …legittimano il ricorso al metodo induttivo in quanto, proprio nella loro gravità e specificità, sono caratterizzate dal fatto di impedire all’amministrazione di eseguire un accertamento analitico”.

 

Prosegue quindi la sentenza in esame, affermando che

“Ne consegue che il mero leggero ritardo da parte del contribuente nell’eseguire quanto richiestogli dall’ufficio con la concessione del termine minimo (come nel caso in esame nel quale l’invito alla produzione è stato notificato il 24.11.2003, e la relativa esecuzione è del 05.01.2004), non può essere equiparata alle più gravi ipotesi previste e disciplinate dal legislatore nel secondo comma dell’art.39 d.p.r. 600/73…”.

Come logica conclusione, parrebbe pertanto potersi concludere che, malgrado l’estrema rigidità manifestata in merito dagli Uffici nella gran maggioranza dei casi, pare ragionevole poter giustificare un “lieve ritardo” nell’adempiere anche a richieste documentali degli stessi in sede di accesso presso la sede, o presso il depositario delle scritture contabili.

Quanto precede facendo la massima attenzione a far sì che tale ritardo non

“… fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio”.

In sostanza, volendo esemplificare, capita che in sede di accesso presso la sede del contribuente, a seguito di richiesta della distinta analitica delle giacenze di magazzino, lo stesso risponda che la documentazione si trova presso il consulente, e che non di rado i verificatori controbattano intimando la consegna immediata, se non al più tardi, “in giornata”.

Pare comprensibile come, anche alla luce di quanto illustrato nel presente paragrafo, la consegna a distanza di un paio di giorni, (non aspettando certo il primo grado di giudizio!) non possa essere tacciata di inammissibilità, come costantemente minacciato dagli stessi uffici.

Sarebbe infatti auspicabile, anche nel rispetto dello spirito di collaborazione tanto declamato, che la collaborazione non fosse richiesta unilateralmente ai contribuenti.

 

La “riserva” di produrre i documenti non esibiti: attenzione alle dichiarazioni verbali

Una recentissima sentenza della Cassazione, per la precisione la n. 8109 depositata il 23 maggio 2012, viene a sancire un pericoloso precedente, che deve fungere da monito ai contribuenti, con particolare riguardo alle dichiarazioni verbali che, spesso con leggerezza, rilasciano ai verificatori.

La Suprema Corte si è pronunciata in merito alla preclusione probatoria relativa al rifiuto di esibizione di documenti nel corso di una verifica fiscale. Nella fattispecie specifica, a seguito di specifica richiesta documentale da parte dei funzionari incaricati, il contribuente ha dichiarato di esserne sprovvisto, riservandosi tuttavia di presentare i documenti stessi successivamente (con particolare riferimento alla fase contenziosa che si sarebbe avviata…).

I Giudici di legittimità hanno ritenuto che tale atteggiamento potesse “integrare” il profilo del “rifiuto di esibizione”, con la conseguente impossibilità di utilizzo della documentazione in sede amministrativa e contenziosa, come stabilito dagli articoli 32 del d.p.r. n. 600/73 e 51 del d.p.r. n. 633/72.

 

La Cassazione si è espressa affermando che la normativa

“ …non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perché, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l’effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente”.

Orbene, una tale impostazione parrebbe tornare verso una sorta di automatismo, dal rigore di stampo teutonico, che contraddice il buon senso e lo spirito collaborativo che dovrebbe improntare le relazioni tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, anche alla luce del tanto vituperato “Statuto dei diritti del contribuente”.

Se, infatti, è indiscutibile che la richiesta di esibire documentazione rientri nei poteri legittimamente esercitati dai Funzionari addetti alle verifiche, è pur vero che dovrebbe essere concesso un ragionevole lasso di tempo per provvedere all’esibizione, specie laddove la mancanza di uno o più documenti trovi spiegazioni o in cause di forza maggiore, o fortuite, ovvero in argomentazioni giustificate da situazioni di fatto, documentabili dal contribuente stesso.

Quello che le disposizioni vigenti e la giurisprudenza dominante intende punire è infatti il dolo, la intenzione di sottrarre la documentazione e di ostacolare l’attività di verifica.

Ove il lieve ritardo, o la negligenza nella conservazione, possano essere “scusabili”, alla luce di deduzioni fattuali documentabili, si ritiene che gli uffici debbano concedere un termine, magari anche più breve di quello di quindici giorni, statuito per ottemperare ai questionari ed agli inviti di cui si è discusso in precedenza: in caso contrario, si verrebbero a punire con rigore davvero esagerato circostanze di fatto che, per logico buon senso, paiono ampiamente sostenibili, come recepito, almeno in parte, anche dalla giurisprudenza che abbiamo illustrato in precedenza. In conclusione si vuole richiamare l’attenzione dei contribuenti sul contenuto delle dichiarazioni verbali rilasciate ai verificatori, nel corso di accessi e controlli fiscali : va evidenziato che tali dichiarazioni costituiscono

9 confessione stragiudiziale e, pertanto, … una prova diretta e non indiziaria del maggior imponibile accertato nei suoi confronti, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri.”

 

Una tale affermazione, deve far riflettere anche con riferimento al tema della mancata esibizione documentale, oggetto del presente contributo. Un esempio chiarificatore proviene dalla diretta esperienza professionale: un contribuente, esercente attività commerciale al dettaglio, si trovava in un periodo di straordinaria difficoltà, connesso al dover conciliare l’attività lavorativa con le cure da prestare personalmente ad un congiunto convivente, deceduto neanche un mese più tardi, rispetto alla chiusura delle operazioni di verifica, nel frattempo avviate nei suoi confronti.

Lo stesso contribuente archiviava in uno scantinato sottostante i locali dell’esercizio commerciale la documentazione relativa ad annualità pregresse, tuttora accertabili, periodicamente restituitagli dal consulente amministrativo.

Nel corso dell’accesso presso i locali dell’esercizio commerciale, i verificatori chiedevano il dettaglio della valorizzazione delle giacenze di magazzino, e lo stesso, dopo una frettolosa e sommaria ricerca nel locale citato, riferiva di esserne sprovvisto. I verificatori verbalizzando il tutto, si opponevano alla successiva presentazione, sostenendone l’inutizzabilità e deducendo, dalla mancata esibizione del documento all’atto della richiesta, il “rifiuto” previsto dalle disposizioni più volte richiamate.

E’ pertanto evidente come, anche in condizioni di difficoltà oggettive nel reperire la documentazione, prive di intenti evasivi e di dolo di alcun genere, da parte del contribuente, quest’ultimo debba prestare la massima attenzione a quanto intenda affermare verbalmente ai verificatori.

Quanto precede onde evitare di ingenerare dubbi circa la genuinità di quanto effettivamente istituito e predisposto, ma irreperibile nel contesto della verifica stessa.

 

A cura di Giuseppe Pagani

 

NOTE

1 Volendo offrire un riferimento normativo, ci si riferisce alla documentazione prevista dagli articoli 22 del d.p.r. n. 600/73 e 39 del d.p.r. n. 633/72.

2 Ex multis, si veda, a mero titolo esemplificativo, Cassazione, sentenza n. 18339 del 17.08.2009

3 Cassazione, sentenze nn. 13605/2003, 21233/2006, 9610/2008.

4 Cassazione, sentenza n. 21233/2006.

5 Ci si riferisce al resto di “Occultamento o distruzione di documenti contabili”.

6 Cassazione, sentenze nn. 10873/2001, 20876/2002.

7 Marina Castellaneta, “Diritto al silenzio per il contribuente a rischio-reato”, in Il sole 24 Ore del 07.04.2012

8 Le presunzioni utilizzabili per attivare l’accertamento di tipo analitico-induttivo, di cui al comma 1, lettera d dell’articolo 39 del d.p.r. n. 600/73 devono essere gravi, precise e concordanti.

9 Cassazione, sentenza n°303 dell’11 gennaio 2006.

 

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