La continua violazione dello Statuto del contribuente durante le verifiche tributarie

lo Statuto del Contribuente sembra una legge sempre più bistrattata dallo stesso Stato che l’ha emanata: dopo 17 anni non è stato ancora attuato l’articolo che prevede un codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie, che sarebbe invece estremamente opportuno per definire in modo corretto i rapporti tra Fisco e contribuente

In molte relazioni dei Garanti del contribuente viene (criticamente) evidenziata la persistente mancata attuazione dell’art. 15 della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente).

L’Articolo 15 della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente), intitolato “Codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie”, dispone infatti che

“Il Ministro delle finanze, sentiti i direttori generali del Ministero delle finanze ed il Comandante generale della Guardia di finanza, emana un codice di comportamento che regoli le attivita’ del personale addetto alle verifiche tributarie, aggiornandolo eventualmente anche in base alle segnalazioni delle disfunzioni operate annualmente dal Garante del contribuente”.

E ad oggi tale codice non è stato emanato dal Ministro.

Non sembra a tal proposito, del resto, che si possa ritenere, di fatto, adempiuto il disposto normativo grazie al fatto che sono state nel frattempo approvate le specifiche metodologie di controllo in sede di verifica e il Codice di comportamento del personale, da parte dell’Agenzia delle Entrate, e le istruzioni operative per i propri militari, da parte della Guardia di Finanza.

Senza l’approvazione di un apposito codice di comportamento da parte del Ministro (presumibilmente con decreto ministeriale), non sembra infatti possa dirsi comunque avvenuta l’attuazione del citato articolo 15.

A parte il dato letterale (in realtà anche sostanziale) della norma, in base al quale, come visto, il Codice di comportamento viene emanato dal Ministro, “sentiti” i Direttori generali del Ministero delle Finanze e il Comandante della GdF, il che è cosa ben diversa da un codice di comportamento emanato direttamente dai soggetti solo da “sentire” (con, evidentemente, mera competenza consultiva, certamente non vincolante per il Ministro, titolare invece del potere di emanazione), si ricorda che i provvedimenti emanati dal Ministro (che assumono di solito la forma del DM) sono fonti del diritto, mentre gli atti di prassi (Circolare Agenzia e istruzioni GdF) non lo sono.

A tal proposito anche la Cassazione, con la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, sul tema della valenza dei documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria, ha peraltro affermato che le circolari non sono atti normativi e, pertanto, sono prive del potere di innovare l’ordinamento giuridico.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23031 del 02.11.2007, avevano del resto già chiarito che

“la cosiddetta interpretazione ministeriale (proveniente di solito da uffici centrali), sia essa contenuta in Circolari o risoluzioni, non vincola né i contribuenti, né i giudici, né costituisce fonte di diritto”.

Ammettere del resto che la Circolare sia vincolante per l’Amministrazione medesima o per i giudici, equivarrebbe a riconoscerle un potere normativo in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione.

Senza poter entrare in questa sede in una complessa analisi della differenza tra atti normativi non regolamentari, atti amministrativi generali e atti di prassi, comunque, equiparare un provvedimento di competenza di un Ministro alle istruzioni dei suoi Direttori generali, seppur di vertice, non sembra dunque possibile.

E questo anche considerato che la previsione della emanazione del citato decreto è inserita all’interno dello Statuto del Contribuente come norma di garanzia del Contribuente proprio “avverso” quei soggetti alle cui “istruzioni” si dovrebbe fare rinvio.

Per tale motivo, del resto, probabilmente, l’emanazione del codice di comportamento era stata imputata ad atto del Ministro, garante di terzietà (almeno sotto un certo punto di vista) rispetto alle Amministrazioni, invece sicuramente coinvolte nelle attività di verifica oggetto della regolamentazione.

E’ bene inoltre ricordare che, con la sentenza del 12 febbraio 2002, n. 17576, la Corte ha evidenziato la “superiorità assiologica” dei principi dello Statuto, che assumono quindi una valenza ermeneutica vincolante per l’interprete.

La massima efficacia dello Statuto si concretizza del resto proprio con quelle disposizioni che sanciscono garanzie specifiche per il contribuente, tra cui anche quelle di cui all’art. 15 cit.

Pensare di affermare dunque che tali garanzie possano essere attuate, nonostante (e contro) il disposto normativo (di valenza paracostituzionale), con semplici atti di prassi non sembra in effetti né legittimo, né opportuno.

Per dare completa attuazione alle previsioni dell’art. 15, del resto, si dovrebbe peraltro richiedere alle Amministrazioni citate, in occasione delle revisioni ed aggiornamenti periodici ai predetti documenti, di dar conto di eventuali segnalazioni di rilievo operate dal Garante del contribuente, qualora rivestano interesse diffuso e carattere di ripetitività.

Ma, a parte il fatto che l’aggiornamento di tali previsioni di prassi non avviene necessariamente in modo periodico (le istruzioni della GdF sono del 2008), non sembrerebbe neppure opportuno lasciare alle suddette Amministrazioni la valutazione della “rilevanza” delle segnalazioni del Garante, organo terzo rispetto alle Amministrazioni, sul cui operato anzi dovrebbe vigilare in funzione di “difesa” dei contribuenti.

Né, in tal modo, sarebbe assicurata tutela processuale.

Contro le Circolari, infatti, non è possibile presentare ricorso, sussistendo un difetto assoluto di giurisdizione (sia del giudice amministrativo che del giudice civile).

Una Circolare, nel dettare le regole operative a cui i verificatori devono ottemperare nella propria attività istruttoria, per esigenze operative diverse da quelle meramente giuridiche e “astratte” a cui deve guardare il legislatore, potrebbe del resto, di fatto, incidere anche sulla sfera dei diritti del contribuente (basti pensare alle garanzie del diritto di difesa, della privacy etc).

Di fatto, intervenendo a monte nella fase istruttoria della contestazione della pretesa impositiva, si finirebbe così con l’incidere sulla medesima obbligazione tributaria finale, consentendo magari conseguenze non previste dal legislatore.

Visto poi il fondamentale principio di separazione dei poteri che impedisce al giudice di intervenire in merito alla legittimità della Circolare, che dunque anche laddove, in teoria, contraria a norme di legge non sarà soggetta a vaglio giurisdizionale (vedi infatti il già detto difetto assoluto di giurisdizione), l’Amministrazione potrà anche, in teoria, emettere Circolari che esulino dalle indicazioni normative.

 

E questo, soprattutto quando si parla di garanzie del Contribuente, non è ammissibile.

24 maggio 2017

Giovambattista Palumbo