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Come è noto, con circolare n. 24/E del 15 giugno 2012 l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti sulle modalità applicate dei beni concessi in godimento a soci o familiari, ai sensi dell’art. 2, cc. da 36-terdecies a 36- duodevicies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
In pratica, il legislatore ha introdotto delle disposizioni volte a contrastare il fenomeno della concessione in godimento di beni relativi all’impresa a soci o familiari dell’imprenditore per fini privati.
L’ipotesi individuata dal legislatore è quella in cui i beni relativi all’impresa vengano concessi in godimento a condizioni più favorevoli rispetto a quelle che caratterizzano il mercato, vale a dire:
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senza corrispettivo;
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con un corrispettivo inferiore a quello che sarebbe ritraibile secondo una libera contrattazione tra parti contrapposte e consapevoli.
In particolare, per la suddetta fattispecie è prevista, per i soggetti che ricevono in godimento beni aziendali, la tassazione di un reddito diverso, determinato confrontando il minor corrispettivo pattuito e il valore di mercato del diritto di godimento e per il soggetto concedente i beni in godimento, l’indeducibilità dei relativi costi sostenuti.
Tale fattispecie si differenzia dall’autoconsumo familiare, dall’assegnazione dei beni a soci, nonché dalla destinazione degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, in quanto, diversamente dai casi sopra richiamati, la disposizione riguarda beni che non fuoriescono dal regime di impresa.
Inoltre, al fine di monitorare tali fattispecie è stato, inoltre, introdotto l’obbligo, per i soggetti interessati, di comunicare i dati relativi ai beni dell’impresa concessi o ricevuti in godimento.
LA CIRCOLARE N.24/2012
Ambito soggettivo
Destinatari delle disposizioni introdotte sono:
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i soggetti che concedono in godimento i beni (concedenti);
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i soggetti che li ricevono (utilizzatori).
In particolare, gli utilizzatori che rientrano nell’ambito applicativo della norma sono i soggetti che beneficiano dei beni relativi all’impresa nella propria sfera privata.
Più precisamente sono interessati dalla disposizione:
a) i soci, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, di società e di enti privati di tipo associativo residenti che svolgono attività commerciale;
b) i familiari, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dell’imprenditore individuale residente nel territorio dello Stato.
Per le Entrate, rientrano nell’ambito di applicazione della disposizione in esame:
c) il soggetto residente e non residente (cfr. articolo 23, comma 1, lettera f) che nella sfera privata utilizza in godimento beni della sua impresa commerciale residente nel territorio dello Stato;
d) i familiari, residenti o non residenti nel territorio dello Stato, dei soggetti di cui alla lettera a).
I familiari dell’imprenditore e dei soci vanno individuati, ai sensi dell’art.5, comma 5, del TUIR, pertanto, sono tali “il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado”.
Devono essere considerati destinatari della disposizione in esame anche i soci o i loro familiari che ricevono in godimento beni da società controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile a quella partecipata dai medesimi soci.
Sono esclusi dall’applicazione della norma i soggetti utilizzatori che per loro natura non possono essere titolari di reddito diverso.
Per quanto concerne i soggetti concedenti, sono da includere nell’ambito applicativo della nuova disposizione, purché residenti:
- l’imprenditore individuale;
- le società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice);
- le società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni);
- le società cooperative;
- le stabili organizzazioni di società non residenti;
- gli enti privati di tipo associativo limitatamente ai beni relativi alla sfera commerciale.
Restano escluse dall’applicazione della norma le “società semplici” concedenti, in quanto soggetti che non svolgono attività d’impresa.
Ambito oggettivo
I beni dell’impresa oggetto della disciplina in esame sono quelli strumentali, i beni-merce e gli immobili-patrimonio.
In particolare, per l’imprenditore individuale, si considerano relativi all’impresa, quelli di cui all’art. 65 del TUIR, vale a dire i beni indicati nell’inventario.
Per le società, sia di persone che di capitali, tutti i beni ad esse appartenenti.
Per le società di fatto assumono, invece, rilevanza i beni-merce e i beni strumentali, compresi quelli iscritti in pubblici registri a nome dei soci ed utilizzati esclusivamente come strumentali per l’esercizio dell’impresa.
Si tratta di tutti i beni di cui l’impresa ha conseguito la disponibilità, posseduti in proprietà o in base ad un diritto reale ovvero detenuti in locazione, anche finanziaria, noleggiati o ricevuti in comodato.
Sono esclusi dalla disciplina tutti i beni rientranti nella categoria “altro” del tracciato record contenuto nell’allegato tecnico al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 novembre 2011 che hanno un valore non superiore a tremila euro al netto dell’imposta sul valore aggiunto applicata.
Sono, inoltre, esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione i beni di società e di enti privati di tipo associativo che svolgono attività commerciale, residenti o non residenti, concessi in godimento a enti non commerciali soci che utilizzano gli stessi beni per fini esclusivamente istituzionali.
Si considerano, altresì, esclusi dalla norma gli alloggi delle società cooperative edilizie di abitazione a proprietà indivisa concessi ai propri soci, atteso che lo scopo mutualistico di tali cooperative consiste proprio nell’assegnare in godimento ai soci le abitazioni a condizioni migliori di quelle del libero mercato.
Determinazione del reddito diverso
Come anticipato, il legislatore ha previsto la tassazione, in capo ai soggetti utilizzatori sopra individuati, di un reddito costituito dalla differenza tra il valore di mercato del diritto di godimento e il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene.
Per “valore di mercato” del diritto di godimento deve intendersi il valore normale determinato ai sensi del comma 3 dell’art. 9 del TUIR, secondo il quale occorre far riferimento al “… prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.”
Lo stesso comma 3 del citato articolo 9 chiarisce, inoltre, che “per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”.
In sostanza, per individuare il valore normale del diritto di godimento di un bene dell’impresa dato in uso, da confrontare con il corrispettivo pattuito per il godimento dello stesso, occorre far riferimento a criteri oggettivi rappresentati:
- da specifici provvedimenti, per i beni i cui prezzi sono soggetti ad una disciplina legale;
- dal prezzo normalmente praticato dal fornitore o, in mancanza, da quello desunto dai tariffari redatti da organismi istituzionali oppure dalle mercuriali contenenti valori modali determinati da Enti di Ricerca, Società Immobiliari di grandi dimensioni, Istituti Bancari, ecc., sulla base di esperienze di mercato di cui sono in possesso per l’attività che loro stessi svolgono, per i beni forniti in condizioni di libero mercato.
Per i beni per i quali non sia possibile utilizzare i suddetti criteri, il valore di mercato da confrontare con il corrispettivo pattuito possa risultare da apposita perizia che descriva in maniera esaustiva il bene oggetto del diritto di godimento motivando il valore attribuito al diritto stesso.
Al fine di verificare gli accordi previsti dalle parti per la concessione in godimento del bene relativo all’impresa, le Entrate ritengono che il corrispettivo annuo e le altre condizioni contrattuali debbano risultare da apposita certificazione scritta di data certa, antecedente alla data di inizio dell’utilizzazione del bene.
La norma si applica:
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sia nel caso in cui il bene venga concesso in godimento per l’intero anno;
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sia quando venga concesso in godimento solo per una frazione dell’anno.
Nella prima ipotesi, il reddito diverso da assoggettare a tassazione sarà pari alla differenza tra il valore di mercato del diritto di godimento e il corrispettivo annuo pattuito o pagato.
Nella seconda ipotesi, invece, coinciderà con quello calcolato rapportando il valore di mercato annuo del diritto di godimento al corrispettivo pattuito o pagato per il periodo di godimento.
La formula: Valore mercato annuo : 365gg = X (Valore di mercato relativo al periodo di godimento) : Ygg (giorni di godimento)
In assenza di un corrispettivo contrattualmente stabilito, se il bene è concesso in godimento per l’intero anno, costituisce reddito diverso da assoggettare a tassazione in capo all’utilizzatore l’intero valore di mercato del diritto di godimento; diversamente, nel caso in cui il periodo di godimento del bene è inferiore all’anno, costituisce reddito diverso il valore di mercato determinato applicando la formula sopra riportata.
Il reddito diverso in parola, a differenza delle altre tipologie di reddito previste dall’art. 67 del TUIR, che rilevano in base al principio di cassa, si considera conseguito alla data di maturazione.
Indeducibilità dei costi
Il comma 36-quaterdecies, dell’articolo 2, del D.L.n.138/2011 ha, inoltre, sancito l’indeducibilità “in ogni caso”, in capo all’impresa commerciale concedente, di tutti i costi relativi ai beni concessi in godimento.
Pertanto, per l’impresa saranno indeducibili non solo i costi sostenuti per l’acquisto dei beni concessi in godimento, ma anche le eventuali altre spese e componenti negativi relativi agli stessi beni quali, ad esempio, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, le spese di gestione e tutte le altre spese ad essi relative.
Tale indeducibilità trova tuttavia una deroga in tutti i casi in cui siano concessi in godimento beni per i quali il testo unico delle imposte sui redditi prevede già una limitazione alla deducibilità.
Secondo l’esempio riportato nella C.M. n.24/2012, la norma non trova applicazione in relazione alla concessione in godimento degli autoveicoli che rientrano nel regime di indeducibilità previsto dall’art. 164 del TUIR.
Per individuare la parte di indeducibilità dei costi relativi al bene concesso in godimento, è necessario tener conto della differenza tra il valore di mercato del diritto di godimento e il corrispettivo pattuito e tassato dalla società.
In altri termini i costi indeducibili sono calcolati applicando ai costi relativi al bene concesso in godimento, la percentuale derivante dal rapporto tra la differenza di cui sopra e il valore di mercato del diritto di godimento.
Ai fini della determinazione dei suddetti costi indeducibili è necessario tener conto anche della durata del periodo per il quale il bene stesso è dato in godimento.
Pertanto, il costo indeducibile calcolato come sopra indicato, dovrà essere rapportato al periodo di godimento. Restano interamente indeducibili, i costi specificamente imputabili al bene nel periodo di utilizzo dello stesso.
Le limitazioni alla deducibilità delle quote di ammortamento relative ai beni in godimento introdotte con la disciplina in esame, comportano che gli stessi devono considerarsi relativi all’impresa nella corrispondente limitata misura. Pertanto, anche le eventuali plusvalenze e minusvalenze patrimoniali derivanti dalla cessione a terzi rilevano ai fini fiscali allo stesso modo.
Nel caso in cui il bene venga concesso in godimento ai soci o loro familiari da una società di persone oppure da una società a responsabilità limitata che abbia optato per il regime di trasparenza fiscale ai sensi dell’art. 116 del TUIR, il maggior reddito della società derivante dall’indeducibilità dei costi andrà imputato esclusivamente ai soci utilizzatori (anche nell’ipotesi in cui il bene sia utilizzato dai loro familiari).
Beni concessi in godimento che costituiscono fringe benefit
L’art. 67, c. 1, lett. h-ter, del T.U. n. 917/86 trova applicazione nei confronti dei soggetti utilizzatori sopra individuati ogniqualvolta gli stessi ricevano in godimento un bene, ad un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato, a prescindere dalla circostanza che il bene sia assoggettato ad un regime di limitazione della deducibilità prevista nell’ambito del TUIR in capo al soggetto concedente.
Tale disposizione non trova applicazione, invece, quando il soggetto utilizzatore sia al contempo dipendente della società o dell’impresa individuale, ovvero, sia lavoratore autonomo, in quanto, in queste ipotesi l’utilizzatore è assoggettato alla disciplina di tassazione prevista dagli articoli 51 e 54 del TUIR.
Entrata in vigore
Le disposizioni introdotte si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui ai commi da 36-terdecies a 36 septiesdecies, dell’articolo 2, del d.L.n.138/2011.
Pertanto, essendo entrata in vigore la legge di conversione in data 18 settembre 2011, le disposizioni contenute nei commi in esame si applicano, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal periodo d’imposta 2012.
Per i soggetti aventi esercizio non coincidente con l’anno solare, le suddette disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge; ciò significa, ad esempio, che per un soggetto con esercizio 1° luglio 2011 – 30 giugno 2012, le nuove norme trovano applicazione dal 1° luglio 2012.
Sia il soggetto concedente che il soggetto utilizzatore dovranno calcolare gli acconti medesimi assumendo quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni in esame.
Più precisamente, il soggetto che adotta il metodo storico, calcola gli acconti dovuti per l’imposta relativa al 2012, rideterminando la base imponibile del periodo d’imposta 2011 tenendo conto delle nuove disposizioni contenute nel più volte citato art. 2, cc. da 36 terdecies a 36 septiesdecies, del D.L. n. 138/2011.
Gli acconti determinati con il c.d. metodo previsionale sono naturalmente influenzati dalle predette norme applicabili dal periodo di imposta 2012.
Per la determinazione degli acconti l’Agenzia delle Entrate ha offerto una importante precisazione: tenuto conto delle novità introdotte e delle obiettive condizioni di incertezza circa l’applicazione dalla disciplina dei beni in godimento, il contribuente che non ha applicato correttamente le disposizioni in esame in sede di determinazione del primo acconto, potrà sanare l’eventuale omesso versamento in sede di secondo acconto, senza l’applicazione delle sanzioni per ritardato pagamento e maggiorato degli interessi nella misura del 4 per cento annuo (D.M. 21 maggio 2009) prevista per i pagamenti rateali di cui all’articolo 20 del decreto legislativo, 9 luglio 1997, n. 241.
LA CIRCOLARE N. 36/E del 24 SETTEMBRE 2012
Con la circolare n.36/E del 24 settembre 2012 l’Agenzia delle Entrate ha risposto a delle criticità poste all’attenzione, connesse alle modalità di applicazione delle suddette disposizioni.
Certificazione
In ordine alla certificazione scritta necessaria per la determinazione del corrispettivo annuo e delle altre condizioni contrattuali, avente data certa antecedente alla data di inizio dell’utilizzazione del bene, la circolare precisa che “in assenza della predetta documentazione il contribuente può, comunque, diversamente dimostrare quali sono gli elementi essenziali dell’accordo”.
Beni aziendali dati in godimento all’imprenditore individuale e a soci di società di persone e di società trasparenti per opzione
Come è noto, il legislatore ha inteso colpire quei beni che vengono utilizzati nell’ambito dell’attività d’impresa a fronte dei quali emergono ordinariamente componenti positivi di reddito e per i quali è riconosciuta la piena deducibilità dei costi.
La stessa A.F. prende atto che l’applicazione delle nuove disposizioni può determinare un fenomeno di doppia imposizione che, in base ai principi generali del nostro ordinamento, deve essere evitato (per esempio, nel caso in cui l’utilizzatore coincide con l’imprenditore individuale o con il socio di società di persone e di società trasparenti per opzione di cui all’art.116 del TUIR). In queste ipotesi si produrrebbe la tassazione di un maggior reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o attribuito al socio per trasparenza, corrispondente all’indeducibilità in capo al concedente dei costi del bene dato in godimento, e la concomitante tassazione di un reddito diverso determinato ai sensi dell’art.67, c. 1, lettera h-ter del TUIR.
Al fine di evitare tale fenomeno, le Entrate ritengono che il reddito diverso da assoggettare a tassazione in capo all’utilizzatore debba essere ridotto del maggior reddito d’impresa imputato allo stesso utilizzatore (imprenditore individuale o socio tassato per trasparenza) a causa dall’indeducibilità dei costi del bene concesso in godimento che ha generato il reddito diverso.
Il reddito diverso da assoggettare a tassazione va, quindi, determinato confrontando la differenza tra il valore normale del diritto di godimento del bene e il corrispettivo pagato, col reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o la quota parte del reddito attribuito al socio per trasparenza corrispondente all’ammontare dei costi non ammessi in deduzione. Solo l’eventuale eccedenza tra detta differenza e il predetto reddito o quota parte di reddito sarà assoggettata a tassazione come reddito diverso.
Riportiamo l’esempio della circolare: società, alla quale partecipino due soci ciascuno per una quota pari al 50%, conceda in godimento ad uno dei soci un bene immobile strumentale ad un corrispettivo inferiore al valore normale del diritto di godimento e che l’impresa abbia sostenuto dei costi in relazione a tale bene. Il reddito diverso da assoggettare a tassazione è determinato come segue:
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valore normale del diritto di godimento: € 10.000,00;
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corrispettivo pattuito per il godimento: € 5.500,00;
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costi indeducibili relativi al bene: € 2.000,00;
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differenza tra valore nomale del diritto di godimento e corrispettivo pattuito: 4.500,00 (10.000,00 – 5.500,00);
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reddito d’impresa da attribuire al socio che detiene il bene in godimento corrispondente ai costi indeducibili: € 2.000,00;
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reddito diverso da assoggettare a tassazione: € 2.500,00 (4.500,00 – 2.000,00).
Il medesimo criterio di determinazione del reddito diverso trova applicazione per i beni ad uso promiscuo per i quali il TUIR forfetizza la deducibilità dei relativi costi.
Con riferimento a tali beni nella circolare 24/E del 2012 - come abbiamo già visto - è stato precisato che:
- in capo al concedente trovano applicazione le disposizioni del TUIR che prevedono un regime di limitazione della deducibilità dei relativi costi;
- in capo all’utilizzatore si rende applicabile l’art. 67, c. 1, lett. h-ter del TUIR a prescindere dalla circostanza che il bene sia assoggettato al predetto regime di limitazione della deducibilità dei relativi costi.
Poiché per tali beni restano applicabili le norme previste dal TUIR, nelle ipotesi in cui scatta l’applicazione dell’art. 67, c. 1, lett. h-ter del TUIR, il maggior reddito, derivante dall'indeducibilità dei costi relativi al bene concesso in godimento, è imputato a tutti i soci a prescindere da chi ha l’utilizzo del bene.
Pertanto, il soggetto utilizzatore del bene determina il reddito diverso da assoggettare a tassazione confrontando la differenza tra il valore normale del diritto di godimento del bene e il corrispettivo pagato, con il reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o la quota parte del reddito attribuito al socio per trasparenza. Solo l’eventuale eccedenza tra detta differenza rispetto al predetto reddito o quota parte di reddito sarà assoggettata a tassazione come reddito diverso.
L’esempio indicato in circolare: una società, alla quale partecipano due soci ciascuno per una quota pari al 50%, detiene un’autovettura utilizzata gratuitamente da uno di essi e l’impresa ha sostenuto dei costi in relazione a tale bene. Il reddito diverso da assoggettare a tassazione è determinato come segue:
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valore normale del diritto di godimento: € 800,00;
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corrispettivo pattuito per il godimento: € 0;
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costi relativi al bene: € 1.000,00.
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differenza tra valore nomale del diritto di godimento e corrispettivo pattuito: € 800,00;
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costi indeducibili relativi al bene € 600,00 (60% di 1.000,00);
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reddito d’impresa da attribuire ai due soci a prescindere dall’utilizzo del bene corrispondente ai costi indeducibili: € 600,00;
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reddito diverso da assoggettare a tassazione: € 500,00 (€800,00 - € 300,00) - maggior reddito d’impresa, imputato al socio utilizzatore, relativo a costi indeducibili.
Godimento di autoveicoli
Nel caso in cui oggetto del godimento sia un autoveicolo, ai fini della determinazione del valore normale, fermo restando quanto già chiarito con la circolare n. 24/2012, il valore normale deve essere determinato ai sensi dell’art. 51, c. 4, del TUIR.
Pertanto, in tale circostanza per determinare il reddito diverso da assoggettare a tassazione occorre confrontare il valore normale del diritto di godimento del bene facendo riferimento all’art. 51, c. 4, del TUIR, al netto del corrispettivo eventualmente pagato, col reddito imputato all’imprenditore individuale o attribuito al socio utilizzatore per trasparenza corrispondente all’ammontare dei costi non ammessi in deduzione per effetto della percentuale di forfetizzazione prevista dal TUIR.
L’eventuale eccedenza del valore normale rispetto al predetto reddito sarà assoggettata a tassazione come reddito diverso.
La circolare, inoltre, rileva che il legislatore fiscale in alcuni casi, per determinati beni, ha riconosciuto l’integrale deducibilità dei relativi costi anche quando gli stessi, per loro natura, possono essere utilizzati promiscuamente.
Più precisamente, si tratta di beni aziendali per i quali lo stesso legislatore, prevedendo l’integrale deducibilità del costo nell’ambito del reddito d’impresa, si disinteressa dell’eventuale uso del bene stesso nella sfera privata (per esempio, le autovetture adibite ad uso pubblico, per le quali l’art. 164 del TUIR stabilisce la deducibilità dell’intero ammontare dei componenti negativi).
In tali ipotesi - secondo le indicazioni fornite dalle Entrate - le disposizioni di cui all’art. 2, cc. da 36-terdecies a 36-duodevicies non possono trovare applicazione.
È il caso dei tassisti, che possono dedurre integralmente i costi relativi alle autovetture nonostante l’utilizzo privatistico ad essi riconosciuto dall’art. 14, c. 6, del D.Lgs. del 19 novembre 1997, n. 422 il quale dispone che “ad integrazione dell'articolo 86 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ai veicoli adibiti al servizio di piazza per il trasporto di persone di cui all'articolo 82, comma 5, lettera b), dello stesso decreto, è consentito l'uso proprio fuori servizio”.
8 ottobre 2012
Roberta De Marchi