Omessa autofatturazione: le incongruenze normative

la normativa italiana per sanzionare i casi di omessa autofatturazione sembra, a volte, in contrasto con le norme europee in materia di IVA

In merito alle operazioni con soggetti non residenti, l’AIDC (tramite l’apposita Commissione di studio per l’esame della compatibilità comunitarie delle norme e della prassi tributarie italiane) ha elaborato nel corso del mese di luglio 2011 un interessante documento che denuncia l’illegittimità comunitaria delle sanzioni dovute in caso di omessa autofatturazione, ai fini Iva, di operazioni rilevanti ai fini Iva nel territorio dello Stato, e poste in essere da soggetti non residenti.

La denuncia presentata dalla Commissione istituita presso l’Aidc di Milano intende focalizzare l’attenzione sulla natura della violazione derivante dall’omessa autofatturazione, da parte del soggetto nazionale (committente o cessionario) delle operazioni poste in essere nel territorio dello Stato da parte di soggetti non residenti. Come detto in precedenza, in funzione della tipologia di violazione, si rende di conseguenza applicabile la correlata sanzione.

Nel documento dell’Aidc si legge che “allo stato attuale del diritto comunitario, il regime delle sanzioni non è oggetto di armonizzazione. Di conseguenza, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate”. Tuttavia, come si legge nella sentenza della Corte di Giustizia Ue del 12.7.2001 (causa C-262/99), gli Stati membri “sono tenuti ad esercitare questa competenza nel rispetto del diritto comunitario e dei suoi principi generali”.

L’incompatibilità della norma nazionale rispetto a quelle comunitarie si manifesta a due livelli secondo l’Aidc di Milano:

  • in primo luogo, per la discriminazione tra autofatturazione esterna, nella quale non può ravvisarsi la fattispecie di imposta irregolarmente assolta (in quanto, come detto, l’applicazione dell’imposta stessa avviene esclusivamente da parte del cessionario/committente residente), ed autofatturazione interna in cui, invece, l’imposta potrebbe essere comunque assolta, sia pure in maniera irregolare (in tale ipotesi, infatti, l’operazione intercorre tra due soggetti nazionali, uno dei quali è debitore dell’imposta, la quale è comunque assolta anche se ciò avviene da parte del soggetto “sbagliato”);

  • in secondo luogo, come si legge nello stesso documento, “nel caso in cui l’imposta non sia stata assolta, ancorchè irregolarmente, per la discriminazione tra situazioni in cui l’imposta oggetto di autofatturazione risulti detraibile, anche a posteriori, secondo le indicazioni della Corte di Giustizia (sentenza Ecotrade) ovvero, per sua natura, non detraibile”.

Partendo dal descritto incipit, la Commissione in seno all’Aidc denuncia la violazione di alcuni principi previsti in ambito comunitario per l’applicazione delle sanzioni, ed in particolare quello di proporzionalità, di equivalenza e di effettività. Prima di ricordare il significato di tali principi, e le sentenze della Corte di Giustizia che hanno reso effettivamente applicabili nei singoli Stati membri i principi in questione, è bene evidenziare, come precisa l’Aidc, che “le sentenze della Corte di Giustiza costituiscono fonte del cd. “diritto vivente” e sono direttamente efficaci nell’ordinamento degli Stati membri”. In particolare, il ruolo dei giudici comunitari è quello di chiarire e precisare il significato e la portata di una norma comunitaria, e tale interpretazione “può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione”.

Per quanto riguarda il primo dei suddetti principi (quello di proporzionalità), il documento Aidc, traendo spunto dalla citata sentenza Ecotrade, nonché da altre sentenze della Corte Ue (si veda, ad esempio, la sentenza 11.11.1981, causa C-203/80), si rileva che le sanzioni devono essere irrogate in base al principio della proporzionalità, che richiede la commisurazione delle sanzioni stesse al danno erariale, che nel caso di specie di regola non sussiste (fatto salvo il caso in cui il cessionario/committente obbligato al reverse charge non abbia limitazioni al diritto alla detrazione dell’Iva, come ad esempio accade per coloro che effettuano operazioni esenti e sono quindi soggetti al pro-rata di detrazione limitato).

In secondo luogo, gli esperti dell’Aidc denunciano la violazione del principio di equivalenza, in quanto la citata disposizione di cui all’art. 6, co. 9-bis, del D.Lgs. 471/97, che prevede la riduzione della sanzione al 3% in caso di assolvimento dell’imposta, sia pure in modo irregolare, si rende applicabile, come già accennato, solamente alle violazioni commesse nelle operazioni “interne” (ad esempio, subappalto nel settore edile), e non anche in quelle “esterne”, nelle quali il fornitore estero non può addebitare l’imposta.

In terzo ed ultimo luogo, si denuncia la violazione del principio di effettività, secondo cui non si può rendere eccessivamente difficile, se non impossibile, l’esercizio dei diritti previsti dall’ordinamento giuridico, in quanto l’operatore nazionale che intenda esercitare il diritto alla detrazione, è comunque soggetto alla sanzione dal 100% al 200% dell’imposta, con conseguente aggravamento delle condizioni per l’esercizio del citato diritto alla detrazione.

In base alle motivazioni esposte, la Commissione dell’Aidc ritiene che vi siano tutti i presupposti per attivare il procedimento previsto dall’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui “la commissione, quando reputi che uno stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla commissione, questa può adire la Corte di Giustiza dell’Unione europea”.

 

25 settembre 2012

Sandro Cerato