Fatture mediche false e reato di dichiarazione fraudolenta

Il contribuente privato che utilizza fatture mediche false per ridurre il carico fiscale derivante dall’IRPEF, commette il reato di dichiarazione fraudolenta.

Con sentenza n. 27392 dell’11 luglio 2012 (ud. 27 aprile 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che le fatture mediche false, portate in detrazione, determinano il reato di dichiarazione fraudolenta.

 

Il fatto: fatture mediche false per dichiarazioni fraudolente

Agli imputati era ascritto, in particolare, di avere organizzato e partecipato ad un sodalizio criminale, esistente ed operante nel territorio napoletano, che attraverso la predisposizione di documentazione sanitaria materialmente falsa (apparentemente emessa da cliniche private), aveva consentito a numerosi contribuenti di presentare dichiarazioni dei redditi fraudolente per l’esposizione di spese sanitarie mai sostenute (per le quali spetta la detrazione Irpef del 19%), così pervenendosi all’illecito risultato di far ottenere agli stessi un rimborso Irpef non dovuto, pari complessivamente ad euro 2.709.783,00 il cui ammontare veniva versato dai singoli contribuenti, nella metà, al sodalizio criminoso.

 

La sentenza della Cassazione

La Corte rileva che secondo l’iniziale indirizzo giurisprudenziale l’utilizzazione di un documento materialmente falso non poteva farsi rientrare nella fattispecie dell’art. 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000, giacchè “strutturalmente diversa” dall’ipotesi tipica prevista da tale fattispecie, diversamente integrandosi un’ipotesi di interpretazione analogica non consentita in sede penale (Sez. 3, n. 30896 del 25/06/2001, Sez. 3, n. 32493 del 20/02/2004; Sez. 3, n. 12720 del 14/11/2007).

La stessa Corte, tuttavia, rileva che

“un diverso indirizzo ha però affermato che la previsione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, deve ritenersi applicabile ad entrambe le tipologie di falso (ideologico e materiale), tenuto conto che la frode sanzionata da tale norma si distingue da quella di cui all’art. 3 non per la natura del falso ma per il rapporto di specialità reciproca esistente tra le due disposizioni legislative: ad un nucleo comune, costituito dalla dichiarazione infedele, si aggiungono, in chiave specializzante, nell’art. 2, l’utilizzazione di fatture e documenti equiparabili relativi ad operazioni inesistenti e, nell’art. 3, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e la previsione di una soglia minima di punibilità (Cass., sez. 3, n. 12284 del 07/02/2007, Argento, Rv. 236812; sez.3, n. 9673 del 09/02/2011, Chen, Rv. 249613)”.

E il Collegio aderisce a questo secondo orientamento (ormai consolidato, come già detto, nelle decisioni più recenti), tenendo anzitutto conto del fatto che, già nel contesto della precedente L. n. 516 del 1982, l’art. 4, sanzionava, alla lettera a, il falso materiale e, alla lettera d, il falso ideologico, assoggettando entrambe le condotte illecite all’identico regime sanzionatorio.

“La condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti presenta infatti una ‘struttura bifasica’, in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, da vita ad un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere ad oggetto sia documenti contenutisticamente falsi emessi da altri in favore dell’utilizzatore sia documenti materialmente falsi, cioè contraffatti o alterati”.

 

In relazione al mezzo fraudolento di cui l’agente si avvale per l’indicazione di elementi passivi fittizi, l’art. 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000, si riferisce a “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e l’art. 1, lett. a, dello stesso decreto legislativo, specifica che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Gli altri documenti che vengono in rilievo sono, dunque, quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21).

“Tali sono, ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici). Qualora le spese documentate siano deducibili dall’imposta, la indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi”.

La falsità può riguardare il contenuto della fattura o del documento contabile rilevante, attestandosi che è stata eseguita un’operazione in realtà non eseguita oppure che l’importo dell’operazione è superiore a quello reale, ma può cadere anche sulla indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l’operazione.

A tale riguardo “soggetti diversi da quelli effettivi” sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all’operazione e sono invece indicati nel documento.

Non vi è alcun fondamento razionale, tuttavia, prosegue la sentenza, nell’affermare che l’ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto col contribuente che utilizza il documento medesimo.

Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale.

Inoltre, sul piano patrimoniale dell’interesse alla percezione del tributo effettivamente dovuto, infine, non può razionalmente considerarsi sussistente una maggiore pericolosità in sè del falso contenutistico rispetto al falso materiale.

 

 

La dichiarazione fraudolenta – Brevi note

Il delitto di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 del Dlgs 74/2000 si configura non solo quando il contribuente utilizza fatture false, ma anche quando si serve di un qualsiasi altro tipo documento fiscale che risulti non veritiero sia materialmente che ideologicamente (ad esempio, ricevute per spese mediche, interessi su mutui, schede carburanti).

È questo in estrema sintesi il principio affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza che si annota.

fatture mediche falsePrincipio, peraltro, già enunciato nella sentenza n. 46785 del 19 dicembre 2011 (ud 10 novembre 2011) della Corte di Cassazione Penale, Sez. III, che ha ritenuto sussistente il reato di dichiarazione fraudolenta – art.2, del D.Lgs. n. 74/2000 – nell’ipotesi in cui il contribuente indichi in dichiarazione, ai fini della detrazione, fatture mediche false.

Anche in quel caso le condotte di frode fiscale oggetto di indagine risultavano commesse mediante la falsa dichiarazione di avere sostenuto spese mediche, per le quali spetta la detrazione IRPEF del 19%, con allegazione di fatture o documenti equipollenti materialmente falsi (apparentemente emessi da cliniche private).

Per la Suprema Corte, appare evidente che gli elementi qualificanti del reato

“sono da un lato l’inesistenza della operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale, dall’altro la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie”.

E’, quindi,

“l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l’elemento essenziale che qualifica tale fattispecie criminosa e la distingue da quella di cui all’art. 3 del medesimo decreto legislativo della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Nella struttura del reato così delineata non trova alcuna ragione di essere la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica derivante dagli artt. 476 e ss. c.p., che è finalizzata ad inquadrare le possibili ipotesi di falsificazione di atti da parte del pubblico ufficiale o del privato in apposite fattispecie criminose”.

 

Ricordiamo che il Comando Generale della Guardia di Finanza, con la circolare n. 1140000 del 14.04.2000, in ordine alla determinazione degli elementi passivi fittizi e degli elementi attivi sottratti all’imposizione, nel richiamare, preliminarmente, l’art. 1, c. 1, lett. b del D.Lgs. n.74/2000, secondo cui per “elementi attivi e passivi” si intendono tutte le componenti, comunque costituite o denominate, che concorrono, in senso positivo e in senso negativo alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o dell’Iva, ritiene che gli “elementi passivi fittizi” si intendono costituiti dalle componenti negativi “non vere”, “non inerenti”, “non spettanti” o “insussistenti nella realtà”, che risultano dichiarate in misura superiore a quella effettivamente sostenuta o a quella ammissibile in detrazione.

Lo stesso protocollo d’intesa stipulato il 25 ottobre 2000 tra il Comando della Guardia di Finanza del Trentino Alto – Adige, la Direzione Regionale delle Entrate di Trento e la Procura della Repubblica di Trento, aveva già rilevato che incorre nel reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 non soltanto l’impresa che utilizza a fini dichiarativi determinati documenti ma anche “il soggetto non obbligato (privato non imprenditore) che, per esempio, sfruttando le agevolazioni previste per la ristrutturazione della prima casa, utilizza documenti relativi a spese in tutto o in parte mai sostenute, ovvero, ancora, indica in dichiarazione, e ne conserva la relativa documentazione a fini di prova, oneri per spese mediche relative a soggetti diversi da quelli del proprio nucleo familiare”.

La Corte, quindi, nella sentenza che si annota punisce con il reato di dichiarazione fraudolenta l’onere detraibile che incide sull’imposta; ma allo stesso modo – seguendo la linea della Suprema Corte – anche l’onere deducibile falso, che incide sul reddito, determina l’ipotesi reato di dichiarazione fraudolenta.

Reato che, naturalmente, può essere commesso da chiunque sia soggetto obbligato alla dichiarazione dei redditi.

 

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3 agosto 2012

Roberta De Marchi