L'imposizione fiscale sui contributi pubblici

Come vanno applicate IVA ed imposte dirette sui contributi concessi da imprese agli enti pubblici? La prassi contabile italiana, gli IAS e la posizione dell’Agenzia delle Entrate.

I contributi – Aspetti generali

fiscalità degli aiuti di stato alle impreseIn estrema sintesi, nel sistema del vigente articolo 88 (già 55) del TUIR sono contributi in conto impianti quelli «per l’acquisto di beni ammortizzabili», mentre tutti gli altri contributi devono essere considerati in conto capitale, salvo quelli da considerare in conto esercizio – e perciò qualificabili come ricavi – ai sensi dell’articolo 85 (già 53).

La corrente classificazione «aziendalistica» dei contributi è parzialmente difforme rispetto a quella fiscale, e individua le seguenti tipologie:

  • contributi in conto esercizio, consistenti in erogazioni dirette a sostenere i costi di gestione ordinaria dell’impresa;

  • contributi in conto capitale, consistenti in erogazioni connesse all’acquisizione o alla costruzione di attività immobilizzate.

In campo fiscale, si distingue invece tra:

contributi classificati tra i ricavi (articolo 53, comma 1, lettere e – f, ora 85, comma 1, lettere g – h, del D.P.R. n. 917/1986);

  • contributi classificati tra le sopravvenienze attive;

  • contributi in conto impianti.

La necessità di esaminare e indagare soprattutto le conseguenze tributarie che si ricollegano alla presenza di «contributi», variamente intesi, nel bilancio dell’impresa, richiede di effettuare una ricostruzione attenta delle varie tipologie di contributi esistenti.

 

 

I contributi secondo la prassi contabile italiana

Secondo quanto affermato dal documento dell’OIC n. 16 del 13.7.2005 (principio contabile nazionale n. 16), si intendono per contributi in conto capitale le somme erogate dallo Stato e da altri enti alle imprese «per la realizzazione di iniziative dirette alla costruzione, alla riattivazione ed all’ampliamento di immobilizzazioni materiali, commisurati al costo delle medesime».

«Trattasi di contributi per i quali di solito l’impresa che ne beneficia ha il vincolo a non distogliere dall’uso previsto per un determinato tempo, stabilito dalle leggi che li concedono, le immobilizzazioni materiali cui essi si riferiscono. Nel caso in cui tali contributi fossero soggetti ad altri vincoli, i principi contabili trattati nei paragrafi successivi devono essere adattati per tenerne conto».

Tali contributi, detti anche «a fondo perduto», commisurati al costo delle immobilizzazioni materiali, vengono rilevati a conto economico con un criterio sistematico, gradatamente sulla vita utile dei cespiti; i metodi di contabilizzazione ammessi sono due: 1) i contributi, imputati tra gli «altri ricavi e proventi» (voce A.5) sono rinviati per competenza agli esercizi successivi attraverso l’iscrizione di risconti passivi; 2) i contributi vengono portati a riduzione del costo dei cespiti a cui si riferiscono.

La teoria che ritiene i predetti contributi una riduzione diretta o indiretta del costo è quella ritenuta corretta, in quanto si fonda sulle seguenti ragioni:

  • i contributi si riferiscono e sono commisurati al costo dei cespiti e, in quanto, tali devono partecipare, direttamente o indirettamente, alla formazione del reddito dell’esercizio nel rispetto del criterio di competenza economica;

  • i contributi sono concessi per sviluppare investimenti in zone di difficoltà operative, difficoltà che solitamente restano presenti per un numero rilevante di anni; pertanto, essi devono restare legati all’impresa per parecchio tempo;

  • i contributi in conto capitale non costituiscono un contributo agli azionisti. Il beneficio del contributo deriverà agli azionisti dall’attività operativa dell’impresa mediante addebito di minori costi al conto economico.

L’iscrizione del contributo tra le passività in un’apposita voce dei risconti passivi, da ridursi ogni periodo con accredito al conto economico, lascia inalterato il costo, ma produce gli stessi effetti sull’utile dell’esercizio e sul patrimonio netto della contabilizzazione come riduzione del costo.

 

 

Breve ricostruzione della normativa fiscale: i contributi in conto impianti

Nella normativa fiscale, i contributi in conto impianti erano originariamente assimilati ai contributi in conto capitale e quindi classificati tra le sopravvenienze attive, ai sensi dell’art. 55, terzo comma, lett. b), del TUIR nella versione ante riforma IRES [ora art. 88, terzo comma, lettera b)].

L’art. 21 della L. 27.12.1997, n. 449, è intervenuto attribuendo una separata disciplina ai contributi concessi per l’acquisizione di beni strumentali ammortizzabili specificamente individuati.

Il medesimo art. 21 ha espunto il riferimento ai contributi nella nozione fiscale di costo prevista dall’originario art. 76 (ora 110) del TUIR.

Ne deriva che La tassazione dei contributi in conto impianti non avviene più secondo la modalità adottata dall’art. 55, ora 88 (per cassa), bensì per competenza economica (ex art. 75, ora 109), in base alla delibera di assegnazione.

 

 

I contributi secondo l’Agenzia delle Entrate

Secondo la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 242/E del 2002, sono contributi in conto impianti quelli (generalmente concessi dallo Stato e dagli enti pubblici) la cui erogazione è subordinata all’acquisizione o alla realizzazione di beni strumentali ammortizzabili.

Seguendo la linea interpretativa in tale sede esposta, e coerentemente con quanto affermato dalla stessa Agenzia nella precedente risoluzione n. 100/E del 2002, la contabilizzazione di detti contributi – tra i quali si inquadrano quelli descritti ai punti 1, 2 e 3 dell’istanza, va operata, secondo corretti principi contabili, secondo una delle seguenti modalità:

  • come ricavi anticipati da imputare, per quote di competenza, al conto economico in relazione alla durata degli ammortamenti dei beni agevolati, secondo la tecnica dei risconti;

  • (ovvero) rettificando il costo di ciascun bene agevolato per la quota di contributo maturato corrispondente al rapporto tra il costo sostenuto per l’acquisizione del bene stesso e il totale degli investimenti lordi, con conseguente calcolo degli ammortamenti sul costo al netto del contributo.

Si considerano invece contributi in conto capitale – secondo la pressi dell’Agenzia – quelli genericamente finalizzati ad incrementare i mezzi patrimoniali dell’impresa.

Sostanzialmente, i contributi in conto capitale sono componenti reddituali che hanno (come quelli in conto impianti) la natura di sopravvenienza attiva, e concorrono a formare il reddito imponibile dell’impresa nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto, ad esclusione di particolari agevolazioni espressamente individuate dalla norma.

 

 

I contributi secondo gli IAS

Nella prassi contabile internazionale, il trattamento dei contributi in oggetto è considerato nello IAS n. 20, paragrafi 24 – 27, ove è affermato che:

  • i contributi pubblici in conto capitale, inclusi i contributi non monetari valutati al fair value (valore equo), devono essere presentati nello stato patrimoniale iscrivendo il contributo come ricavo differito o come posta rettificativa del valore contabile del bene;

  • sono quindi considerati accettabili due metodi di presentazione dei contributi (o della parte appropriata dei contributi) in conto capitale:

    • il primo metodo prevede l’iscrizione del contributo come ricavo differito che va imputato come provento con un criterio sistematico e razionale durante la vita utile del bene;

    • l’altro metodo detrae il contributo nella determinazione del valore contabile del bene; esso è quindi rilevato come provento durante la vita utile del bene ammortizzabile tramite la riduzione del costo dell’ammortamento;

Nello IAS n. 16, par. 20, è fatto riferimento al succitato IAS 20 con la precisazione che il valore contabile di immobili, impianti e macchinari può essere ridotto dai contributi pubblici.

 

 

L’indirizzo dell’ADC relativamente ai contributi in conto impianti

La Commissione norme di comportamento e di comune interpretazione in materia tributaria dell’Associazione dottori commercialisti di Milano (ADC, ora AIDC) ha elaborato la Norma di comportamento n. 155, riguardante il «Trattamento ai fini delle imposte dirette dei contributi in conto impianti».

Secondo l’ADC, i contributi in conto impianti, deliberati dall’ente erogante a partire dall’esercizio in corso al 1° gennaio 1998, concorrono ordinariamente alla formazione del reddito imponibile secondo le regole della competenza economica, determinata in relazione alla durata dell’utilità dei beni cui si riferiscono.

Se l’ammortamento dei cespiti è iniziato in un esercizio precedente a quello in cui il contributo è deliberato, le quote di contributo riferibili agli esercizi pregressi costituiscono, quale sopravvenienza attiva, un provento dell’esercizio di delibera.

In via transitoria, i contributi in conto impianti, deliberati dall’ente erogante anteriormente all’esercizio in corso al 1° gennaio 1998, per la parte da incassare a decorrere dall’esercizio in corso al 1° gennaio 1998, vanno portati, ai fini fiscali, ad abbattimento del costo residuo da ammortizzare; l’ammortamento annuale dell’eventuale valore residuo va quindi calcolato sul costo storico del bene, imputando il contributo in proporzione alla residua durata dell’ammortamento. Se il contributo eccede il valore residuo, l’eccedenza concorre per intero alla formazione del reddito imponibile nell’esercizio di incasso.

È altresì chiarito che la cessione di un bene:

  • se il contributo erogato in conto impianti è stato contabilizzato a riduzione del costo di acquisto, fa emergere una plusvalenza o una minusvalenza pari alla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo residuo del bene;

  • se invece il contributo è stato contabilizzato con il metodo del risconto, fa emergere, oltre a una plusvalenza o una minusvalenza pari alla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo residuo del bene, un provento pari alla quota di contributo oggetto di risconto non ancora imputato a conto economico.

I contributi erogati dalle regioni alle aziende agrituristiche

I contributi in conto impianti sono stati oggetto di un’interessante risoluzione dell’Agenzia delle Entrate – la n. 2/E del 22.1.2010 -, con la quale vengono fornite precisazioni primariamente utili alle aziende agrituristiche.

In particolare, la risoluzione prende in esame il trattamento tributario dei contributi concessi a tali aziende dalle Regioni a parziale copertura dei costi sostenuti per la realizzazione degli investimenti relativi al recupero del patrimonio edilizio rurale, mediante la trasformazione di fabbricati: detti contributi, erogati a seguito del completamento delle azioni previste dai bandi, erano definiti – in sede di delibera – con il termine generico di «contributi in conto capitale».

Nel fornire la risposta al quesito posto dalle associazioni del settore, l’Agenzia ha puntualizzato che, ai sensi dell’art. 88, terzo comma, lett. b), del TUIR, «si considerano sopravvenienze attive i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui alle lettere g) e h) del comma 1 dell’art. 85 e quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento adottato. Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto».

I contributi disciplinati dal predetto art. 88 del TUIR, definiti in conto capitale, non sono correlati a specifici fattori produttivi (siano essi di esercizio che a fecondità ripetuta), «consistendo in un generico potenziamento dell’apparato produttivo dell’impresa beneficiaria e, di conseguenza, assumono rilevanza fiscale – come sopravvenienze – nel momento in cui entrano nella disponibilità materiale e giuridica del percettore».

Essi concorrono al reddito interamente nell’esercizio in cui sono stati conseguiti ovvero, a scelta del contribuente, nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto in quote costanti.

Anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 449/1997, i contributi concessi specificamente in relazione all’acquisto di beni ammortizzabili erano assoggettati alla stessa disciplina fiscale dei contributi in conto capitale. A partire dal 1° gennaio 1998, invece, i contributi in conto impianti non generano né sopravvenienze attive né ricavi, bensì rilevano in diminuzione del costo fiscalmente riconosciuto del cespite cui afferiscono.

Essi non assumono quindi più autonoma rilevanza fiscale, ma devono essere ripartiti in base alla vita utile del bene per il quale sono stati concessi.

Tale obiettivo, secondo i principi contabili (si vada il principio OIC 16, sopra menzionato), può essere raggiunto mediante due metodi alternativi: 1) imputando il contributo percepito a riduzione diretta del cespite; 2) con la tecnica dei risconti passivi mediante imputazione graduale a conto economico pari alla stessa misura adottata per gli ammortamenti del cespite agevolato.

Mentre con il primo metodo di contabilizzazione il contributo partecipa alla formazione dell’utile attraverso le minori quote di ammortamento calcolate sul costo di acquisto del cespite al netto dei contributi, con il secondo metodo il contributo, imputato a conto economico tra gli «altri ricavi e proventi» (voce A5) per l’intero ammontare riconosciuto, viene rinviato per competenza agli esercizi successivi attraverso l’iscrizione in bilancio di risconti passivi.

I maggiori ammortamenti, calcolati sul costo lordo del cespite, vengono compensati dalle quote di contributo di competenza di ciascun esercizio.

Giacché il contributo è correlato a fattori di produzione a utilità ripetuta, la determinazione dell’obbligazione tributaria non è istantanea e coincidente con l’incasso del contributo stesso, come avviene per quelli in conto capitale, ma prolungata a più periodi di imposta, in quanto collegata agli ammortamenti o, comunque, alle vicende che determinano la rilevanza fiscale del costo del cespite.

Il sorgere dell’obbligazione tributaria non risulta quindi collegato all’esercizio in cui avviene l’emissione del decreto di concessione: questo individua però il momento in cui diviene certo il diritto dell’impresa a percepire il contributo, a partire dal quale il costo del cespite eventualmente già acquistato deve essere decurtato, con effetto fiscale, delle somme spettanti anche se non ancora percepite.

Nessun obbligo tributario deve essere assolto dal soggetto destinatario del contributo se il bene, iscritto in bilancio, non risulta ancora entrato in funzione.

Ai sensi dell’art. 85, primo comma, lettere h) e g), del TUIR, non generano sopravvenienze attive bensì ricavi i contributi spettanti in base a disposizioni contrattuali e quelli «spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge».

I contributi in conto esercizio sono, generalmente, destinati ad integrare i ricavi o a ridurre i costi e gli oneri di gestione, e devono essere rilevati in contabilità per competenza e non per cassa, vale a dire nell’esercizio in cui sorge il diritto a percepirli, anche se successivo all’esercizio al quale gli stessi si riferiscono.

 

 

«Conto impianti» e «conto capitale»

Nel caso sottoposto all’Agenzia dalle associazioni del settore agricolo, occorreva previamente distinguere le varie tipologie di contributi esistenti:

  • in conto esercizio → destinati a fronteggiare esigenze di gestione;

  • in conto capitale → finalizzati ad incrementare i mezzi patrimoniali dell’impresa, senza che la loro erogazione sia collegata all’onere di effettuare uno specifico investimento;

  • in conto impianti → finalizzati ad acquisire o realizzare beni strumentali ammortizzabili, ai quali vengono parametrati.

Il contributo in conto impianti, secondo quanto osserva l’Agenzia, si differenzia dal contributo in conto capitale «in quanto non comporta un generalizzato accrescimento delle risorse a disposizione del soggetto beneficiario risultando, invece, rigidamente subordinato all’acquisizione o alla realizzazione delle immobilizzazioni previste dalla legge di concessione (cfr. risoluzione 29 marzo 2002, n. 100/E)».

Tale aspetto è stato ribadito nella risoluzione 19.7.2002, n. 241/E, in cui sono stati ricondotti nella categoria dei contributi in conto impianti i crediti di imposta di cui all’art. 8 della L. 23.12.2000, n. 388, riconosciuti per l’acquisto di beni, nonché per la realizzazione degli stessi in appalto o in economia da parte del soggetto beneficiario, e per il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione e l’ammodernamento di impianti esistenti. Un’analoga posizione è stata assunta dall’Agenzia delle Entrate con riguardo all’agevolazione «Tremonti-bis».

Nel caso esaminato dall’Agenzia (nella risoluzione n. 2/E/2010), i finanziamenti concessi alle aziende agrituristiche da parte delle Regioni, denominati contributi in conto capitale, erano:

  • finalizzati ad interventi di ristrutturazione del fabbricato rurale e all’acquisto di macchine, attrezzature, impianti e arredi per l’esercizio dell’attività agrituristica;

  • revocabili nel caso in cui il beneficiario non li avesse utilizzati secondo le condizioni prestabilite.

Secondo quanto è posto in luce nella risoluzione, il carattere specifico delle norme che disciplinano il riconoscimento e la concessione del contributo alle aziende agrituristiche è tale da escludere che si tratti di contributi in conto capitale (sebbene formalmente definiti tali), erogati al solo fine di rafforzare la struttura patrimoniale dell’azienda.

Detti contributo dovevano pertanto essere considerati fiscalmente come contributi in conto impianti, sottoposti alla disciplina fiscale prevista per questi ultimi.

 

 

La rilevanza dei contributi ai fini dell’IVA

In relazione alla problematica dei contributi (pubblici o privati) in generale, si osserva che essi assumono rilevanza ai fini IVA solamente se sono erogati a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, cioè quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive.

In altri termini, il contributo assume natura onerosa e configura un’operazione rilevante agli effetti dell’IVA quando tra le parti intercorre un rapporto giuridico sinallagmatico nell’ambito del quale il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto.

L’esclusione dal campo d’applicazione dell’IVA si configura invece quando il soggetto che riceve il contributo non diviene obbligato a dare, fare, non fare o permettere alcunché in controprestazione.

In generale, quindi, i contributi a fondo perduto, cioè quelli versati non in contropartita di una prestazione di servizi o di una cessione di beni, non sono soggetti ad imposta (si vedano sul punto le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate 24.4.2001, n. 54/E, 11.6.2002, n. 183/E, e 16.3.2004, n. 42/E).

Al fine di accertare se i contributi costituiscano corrispettivi per prestazioni di servizi, ovvero si configurino come mere elargizioni di somme di denaro per il perseguimento di obiettivi di carattere generale, va però fatto riferimento al concreto assetto degli interessi delle parti.

Ad esempio, deve ritenersi sussistente un rapporto sinallagmatico se la proprietà dei risultati della ricerca è trasferita in tutto o in parte all’ente finanziatore; rilevano, inoltre, in tal senso la previsione nella convenzione della clausola risolutiva, essendo la risoluzione applicabile soltanto ai contratti a prestazioni corrispettive, nei quali il sacrificio di ciascuna delle parti trova la sua giustificazione nella controprestazione che deve essere eseguita dall’altra (vincolo sinallagmatico), e l’obbligo di risarcimento del danno derivante da inadempimento, che evidenzia un interesse patrimoniale da parte del soggetto erogante (si veda sul punto la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 6.8.2002, n. 268/E).

La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 11.2.2002, n. 40/E, ha preso in considerazione le tematiche qui esaminate richiamando alcune sentenze della CGCE, secondo le quali il diritto a detrazione presuppone un nesso immediato e diretto con le operazioni «a valle», ma l’esistenza di tale nesso «è questione di fatto che deve essere di volta in volta ricostruita e dedotta in relazione alle specifiche fattispecie, per cui a tal fine è necessario che sussista un rapporto oggettivo tra l’operazione a monte e quella a valle di natura tale che dovrebbe essere possibile considerare la prima come una parte del costo sostenuto dall’operatore per realizzare la seconda, o che l’operazione a monte prepari l’operazione a valle o sia una conseguenza dell’effettuazione di quest’ultima».

Con la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 11.6.2002, n. 183/E, è stata invece esaminata una fattispecie in cui, a fronte di un contributo erogato da un ente pubblico, non si verificava l’effettuazione a valle di alcuna operazione imponibile; è stato pertanto negato il diritto alla detrazione. Tale orientamento è stato in seguito confermato dalla risoluzione n. 42/E del 16.3.2004.

Per quanto riguarda la detraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti, valgono quindi per il beneficiario dei contributi le stesse limitazioni poste, per la generalità dei contribuenti, dall’art. 19, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, che esclude l’esercizio del diritto alla detrazione se gli acquisti sono afferenti operazioni esenti o non soggette all’imposta, a prescindere dalla circostanza che il contribuente sia destinatario di un contributo a fondo perduto.

 

3 luglio 2012

Fabio Carrirolo