Le novità sul concordato preventivo

il decreto per lo sviluppo economico innova in modo sostanziale la discplina del c.d concordato preventivo per facilitare la risoluzione delle crisi d’impresa e la sopravvivenza delle imprese in crisi

Approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 15 giugno, il c.d. “Decreto Sviluppo” contenente “misure urgenti per la crescita del Paese” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 26 giugno, con decorrenza immediata.

Il provvedimento del Governo, contenente una serie di misure finalizzate a favorire lo sviluppo economico del Paese, ha previsto, tra l’altro, importanti novità in materia di crisi di impresa e di procedure concorsuali, con particolare riferimento alle procedure che si propongono come alternative a quella fallimentare (art. 33). In particolare, allo scopo di rafforzare gli strumenti legislativi che consentono di “aiutare” le imprese che si trovano in una situazione di difficoltà economica e finanziaria e di limitare il numero di fallimenti aziendali, il decreto è intervenuto in maniera significativa sul tema del concordato preventivo, oltre che su quello degli accordi di ristrutturazione aziendali, facilitando l’imprenditore nella fase di ammissione alla procedura concorsuale. Il nuovo provvedimento normativo prevede, in pratica, che l’impresa che si trovi in una situazione di crisi possa presentare anche solo la domanda di concordato preventivo, senza l’ulteriore documentazione prevista dalla normativa, per poter accedere alle “protezioni” previste dalla legge fallimentare e, nel contempo, continuare l’attività di impresa anche in un’ottica di risanamento.

 

Concordato preventivo: le finalità dell’istituto

Il concordato preventivo costituisce una procedura concorsuale volta a regolare in tempi brevi i rapporti dell’impresa (imprenditore individuale o società) con i creditori, attraverso una pluralità di soluzioni ed in via negoziale. La funzione dell’istituto può essere sia liquidatoria che conservativa, anche se gli ultimi orientamenti legislativi sembrano voler favorire la continuazione dell’attività di impresa. L’istituto è stato, difatti, oggetto di cambiamento nei suoi aspetti più essenziali in un primo momento con la prima riforma fallimentare (D.L. n. 35/2005 successivamente convertito nella Legge n. 80/2005) e, successivamente, con il decreto correttivo della riforma (d.lgs. n. 169/2007). Oggi tale procedura ha una funzione più ampia rispetto al passato, consentendo all’imprenditore insolvente o che, comunque, si trovi in una situazione di difficoltà finanziaria, di proporre un “risanamento” della situazione debitoria in modo da favorire la conservazione dell’attività d’impresa previo il salvataggio dell’azienda.

Funzione centrale della procedura assume l’accordo tra debitore e creditori volto a regolare, rapidamente, la propria esposizione debitoria con la massa dei creditori, mediante una proposta presentata dal debitore (imprenditore individuale o società) ai propri creditori finalizzata ad evitare il fallimento o a superare un momento di difficoltà, sulla base di un piano finalizzato a soddisfare almeno parzialmente i creditori e a continuare l’attività di impresa.

 

I presupposti per la presentazione del ricorso

La legge fallimentare richiede una serie di requisiti sia di naturasoggettiva che oggettiva in presenza dei quali è possibile, per l’imprenditore che si trova in una situazione di difficoltà economica, richiedere l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.

In particolare, può presentare la domanda l’imprenditore“non piccolo”che esercita attività commerciale (art. 1, l. fall.) (requisito soggettivo); inoltre, per poter accedere alla procedura, l’imprenditore esercente l’attività commerciale deve dimostrare la sussistenza di ulteriori requisiti di natura oggettiva:

  • il superamento delle soglie di fallibilità, di cui all’art. 1, c. 2, l. fall.;

  • la presenza di uno “stato di crisi” (art. 160, c. 1., l. fall.).

 

In particolare, secondo le disposizioni dell’art. 1, l. fall., “non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila”.

 

Le principali novità del decreto sviluppo: il deposito del ricorso

La prima fase della procedura di ammissione al concordato preventivo è rappresentata dalla predisposizione del “piano” ossia della proposta di concordato, che verrà poi sottoposta al giudizio dei creditori oltre che all’esame del tribunale, nonché dalla presentazione della domanda sotto forma di ricorso.

Il nuovo decreto sviluppo ha apportato delle modifiche significative soprattutto alla normativa che disciplina tale momento della procedura concorsuale.

 

La domanda per l’ammissione alla procedura deve essere presentata con ricorso da depositarsi, a cura del debitore, presso il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale.

La domanda deve sottoscritta dal rappresentante legale, tenendo conto che:

  • nelle società di persone la decisione é deliberata dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale;

  • nelle società di capitali é deliberata dagli amministratori.

In tale ultimo caso la delibera deve risultare da verbale redatto da un notaio e deve essere depositata nel registro delle imprese.

 

Il debitore deve depositare con il ricorso la seguente documentazione:

  1. una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;

  2. uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

  3. l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

  4. il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

 

Allo scopo di rendere più certa l’esecuzione e la possibilità dell’inadempimento e della risoluzione del concordato, l’art. 33 del D.L. n. 83/2012 ha previsto un’ulteriore documentazione da allegare al ricorso, ossia “un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”.

In pratica, il recente intervento normativo non fa altro che confermare quello che poi è sempre stato l’orientamento di prassi, chiarendo, difatti, che il debitore è tenuto ad indicare le modalità con cui intende attuare la procedura concordataria, nonché i tempi di esecuzione della stessa. Tale previsione ha lo scopo di consentire ai creditori di valutare in maniera adeguata le reali potenzialità di conseguire gli obiettivi del piano e, allo stesso tempo, di definire uno spazio temporale entro il quale tale piano deve essere realizzato.

In merito alle “modalità” di attuazione della procedura, il debitore può strutturare la proposta secondo le seguente modalità alternative:

  • ristrutturazione dei debiti, mediante una rideterminazione complessiva dell’intera esposizione debitoria tramite una serie di operazioni (es. dilazione di pagamenti, riduzione o eliminazione di interessi, postergazioni, ecc.).;

  • gestione del patrimonio da parte di un assuntore, che si realizza mediante “accollo” da parte di un soggetto terzo di tutte le obbligazioni derivanti dalla procedura di concordato;

  • creazione di classi di creditori, ossia una proposta che prevede prima una suddivisione dei creditori per classi “omogenee” (in base, ad esempio, al grado di privilegio) e poi un trattamento differenziato per creditori appartenenti a classi differenti.

 

Il piano e la documentazione indicata dall’art. 161 l. fall. devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista. Il decreto Sviluppo ha specificato che tale professionista, cui è richiesto il possesso dei requisiti indicati dall’art. 67, c. 3, lett. d, ossia un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’art. 28, lett. a – b (avvocato, dottore commercialista, ragioniere, ragioniere commercialista, studi professionali associati) deve essere designato dal debitore.

Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.

 

La relazione del professionista è il documento che insieme al piano è cruciale per la buona riuscita di qualsiasi concordato preventivo; la valutazione del Tribunale e successivamente quella dei creditori si basano infatti sulla credibilità e serietà di tali documenti.

 

Una volta depositata la domanda di ammissione alla procedura concordataria, la stessa deve essere:

  • comunicata al pubblico ministero;

  • pubblicata nel registro delle imprese.

Tale ultima disposizione è stata prevista dal recente decreto che, in particolare, ha disposto che la pubblicazione deve essere fatta, a cura del cancelliere, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, così come avviene per la pubblicazione della sentenza di fallimento. Lo scopo è quello di assicurare l’opportuna pubblicità per far decorrere l’efficacia della procedura di concordato nei confronti dei terzi.

 

Nota bene!

Prima di attivare una procedura di concordato preventivo, l’imprenditore deve valutare e considerare tutti i costi che ne deriveranno: costi dei professionisti coinvolti nella predisposizione del piano e della domanda, i costi della procedura (i.e. compensi del commissario giudiziale, spese di pubblicità…).

Le spese di procedura sono stimate dal Tribunale in sede di ammissione dell’imprenditore alla procedura di concordato preventivo e una porzione definita dallo stesso Tribunale tra il 20% e il 50% delle spese così stimate deve essere depositata in cancelleria entro 15 giorni dall’ammissione. Non vi sono regole fisse sulla base delle quali poter calcolare l’importo di tali spese che dipendono dalle caratteristiche e complessità della singola procedura.

 

Possibile presentare anche solo la domanda

Un importante novità introdotta dal nuovo decreto legge, attiene alla possibilità per l’imprenditore in crisi di presentare la proposta, il piano concordatario e l’attestazione in unperiodo successivoal deposito del ricorso per l’ammissione al concordato preventivo.

In pratica, l’imprenditore può presentare anche solo il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato, riservandosi di integrare la documentazione entro il termine fissato dal giudice delegato, termine che dovrà essere fissato tra i sessanta e i centoventi giorni dal deposito della domanda, prorogabile per ulteriori sessanta giorni in caso di giustificato motivo.

Una volta depositato il ricorso, esso pubblicato presso il registro delle imprese e la sua pubblicazione ha efficacia nei confronti dei terzi. Conseguentemente, a partire dalla data di pubblicazione, non possono essere esercitate azioni esecutive e cautelari, come previsto dall’art. 168 l. fall.

 

In effetti, la fase della redazione del piano richiede in genere molto in quanto usualmente l’imprenditore aspira a proporre una proposta già condiviso/approvato dai propri creditori L’imprenditore che intende presentare un ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo deve pertanto attivarsi per tempo. 

La nuova norma viene incontro a tali esigenze dell’imprenditore, concedendogli, in pratica, un periodo di “moratoria” durante il quale questi può, per un verso, strutturare la proposta di concordato e, per altro verso, resta tutelato da possibili azioni esecutive e cautelari che possono essere esercitati da parte dei propri creditori.

Il nuovo disposto normativo, inoltre, prevede che dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di ammissione alla procedura concordataria, il debitore possa compiere:

  • atti di ordinaria amministrazione;

  • atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni;

I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili, ossia devono essere soddisfatti in via anticipata rispetto agli altri crediti, sia privilegiati che chirografari.

 

È stato, inoltre, integrato l’art. 168 l. fall. con un’ulteriore diposizione secondo la quale le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

 

Contratti in corso di esecuzione

Il decreto Sviluppo ha introdotto anche l’art. 169 bis, secondo il quale il debitore, nel depositare il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, può chiedere che il Tribunale ovvero il giudice delegato (se la richiesta viene presentata dopo il decreto di ammissione alla procedura) lo autorizzi a procedere allo scioglimento dai contratti che risultano in corso di esecuzione alla data di presentazione della domanda, ovvero può richiederne la sospensione per un periodo non superiore a sessanta giorni, prorogabili una sola volta.

 

Tale circostanza appare particolarmente rilevante in quanto consente all’imprenditore in crisi di svincolarsi da contratti particolarmente gravosi cui, talvolta, può essere ricondotta la crisi dell’impresa. La controparte contrattuale ha diritto a un indennizzo equivalente al risarcimento del danno per il mancato adempimento da soddisfarsi “come credito anteriore al concordato” e quindi soggetto alla falcidia concordataria.

 

La norma non si applica ai rapporti di lavoro subordinato, ai preliminari trascritti aventi ad oggetto la casa di abitazione principale dell’acquirente ove il concordato sia stato richiesto dal promittente venditore e al contratto di locazione quando l’impresa ammessa al concordato è il locatore.

 

Diversamente da quanto accade nella procedura fallimentare, nel caso del concordato preventivo lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione è una facoltà che deve essere esplicitamente richiesta dal debitore e necessita dell’autorizzazione del tribunale o del giudice delegato.

 

Concordato con continuità aziendale

Il Decreto Sviluppo detta una specifica disciplina per il concordato con continuità aziendale, che definisce come il concordato il cui piano può prevedere alternativamente:

  • la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore;

  • la cessione dell’azienda in esercizio;

  • il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione.

La disciplina è inserita in un nuovo articolo 186 bis.

 

In sostanza, tale istituto consente, attraverso modalità differenti, la continuazione dell’attività di impresa. Lo strumento fondamentale di tale tipologia di concordato è rappresentato dal piano; ciò in quanto esso deve essere predisposto in modo da tutelare comunque i diritti dei creditori che dovranno essere soddisfatti, in tal caso, non a seguito di operazioni di liquidazione, ma piuttosto dai flussi di cassa derivanti dalla futura attività aziendale. Il piano di concordato, in tal caso, deve assumere le vesti di un vero e proprio business plan economico e finanziario, contenente:

  • l’indicazione analitica dei costi e dei ricavi che si presumono debbano derivare dalla prosecuzione dell’attività di impresa;

  • la determinazione delle risorse finanziarie necessarie;

  • le modalità di copertura.

 

Il piano deve essere accompagnato dalla relazione del professionista il quale è chiamato ad attestare che la prosecuzione dell’impresa, così come prevista nel piano, è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori.

 

Concordato con continuità aziendale applicabile ai contratti con la Pubblica Amministrazione

Il comma 3 del nuovo articolo 186 bis afferma inoltre che “fermo quanto previsto nell’articolo 169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari”. Pertanto, il nuovo art. 186 bis è applicabile in ogni caso, anche se l’impresa in difficoltà ha in essere contratti in corso con la Pubblica Amministrazione.

Tale circostanza appare particolarmente rilevante in quanto apre alle possibilità di accesso al concordato anche ad imprese che fino ad ora ne erano in pratica escluse, laddove la sottoposizione a procedure concorsuali poteva essere posta quale causa di risoluzione del rapporto.

L’ammissione al concordato non impedisce:

  • la continuazione dei contratti in corso ove l’esperto abbia attestato la loro conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del debitore;

  • la partecipazione del debitore a procedure di assegnazione di contratti pubblici (anche in raggruppamento temporaneo di imprese, ma non in qualità di mandatario).

 

In tale ultimo caso, l’imprenditore deve presentare in gara anche:

    1. la relazione di un professionista (avente i medesimi requisiti dell’esperto) in cui questi attesti che la partecipazione alla gara è conforme al piano e che il debitore è ragionevolmente capace di adempiere il contratto in caso di assegnazione;

    2. la dichiarazione di un altro operatore in possesso di tutti i requisiti per l’affidamento dell’appalto (anche uno dei membri dell’eventuale raggruppamento temporaneo di imprese) con cui lo stesso si impegni a mettere a disposizione le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto per tutta la durata del contratto ed a subentrare all’impresa in concordato nel caso in cui quest’ultima fallisca o non sia in grado di adempiere il contratto.

La nuova norma prevede infine che ove cessi la prosecuzione dell’attività d’impresa o la stessa risulti manifestamente dannosa per i creditori, il tribunale possa revocare il concordato ai sensi dell’art. 173, ferma restando la facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato.

 

Il finanziamento e la continuazione dell’attività di impresa

Al fine di agevolare la concessione di finanziamenti ad imprese in concordato preventivo, in linea anche con la previsione di continuazione dell’attività di impresa, il “Decreto Sviluppo” ha introdotto il nuovo articolo 182-quinquies l. fall. In base a questa norma, il debitore che presenti domanda di concordato preventivo può chiedere al tribunale, anche prima del decreto di ammissione ex art. 163 L. fall., di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibiliai sensi dell’art. 111 L. fall.

Tale richiesta può essere presentata nei casi seguenti:

  • l’imprenditore ha depositato ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo ex art. 161 l. fall.;

  • domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ex art. 182 bis, c. 1;

  • proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, ex art. 182 bis, c. 6.

 

In tali casi, l’imprenditore in stato di crisi può essere autorizzato a richiedere un nuovo finanziamento che consenta la continuazione dell’attività di impresa. Ovviamente, tali crediti avranno prededuzione rispetto agli altri crediti che partecipano alla procedura concordataria.

In questo modo, il debitore potrà proseguire nell’attività d’impresa durante la fase preliminare di preparazione della proposta di concordato potendo compiere gli atti di ordinaria amministrazione, nonché quelli urgenti di straordinaria amministrazione e potendo più agevolmente ottenere finanziamenti.

Il legislatore ha disposto la richiesta di autorizzazione sia accompagnata dalla relazione di un professionista designato dal debitore e in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, comma 3, lettera d, che, verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesti che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori; a sua volta il tribunale può, prima di dare la richiesta autorizzazione, assumere sommarie informazioni. La concessione della prededuzione può, infatti, chiaramente danneggiare gli altri creditori, per cui al tribunale viene attribuito un compito arduo e di estrema responsabilità che richiede, quindi, una relazione completa, seria e ben argomentata, costituendo questa la fonte principale della decisione.

 

La norma in esame è applicabile a tutte le forme di concordato preventivo. Appare evidente, però, come la nuova disciplina sia destinata principalmente al nuovo concordato con continuità aziendaleregolato dall’art. 186-bisL. fall., posto che i finanziamenti interinali sono normalmente destinati a garantire il going concerne, quindi, il mantenimento della funzionalità dell’impresa.

 

Falso in attestazioni e relazioni

Il decreto ha previsto una sanzione penale per tutti i professionisti che, chiamati ad esprimere il proprio giudizio sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, espongano informazioni false ovvero omettono di riferire informazioni rilevanti. Il nuovo articolo 234 bis, infatti, ha previsto in tali casi una pena di reclusione da due a cinque anni nonché una multa da 50.000 a 100.000 euro, pene aumentabili se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri e se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà).

Questa sanzione penale dovrebbe costituire un valido freno alle attestazioni superficiali, generiche e inveritiere, moralizzando un meccanismo che non sempre in questi anni si è mostrato molto trasparente.

 

6 luglio 2012

Antonella Benedetto