Presunzioni su conti correnti di privati

Anche in assenza di attività imprenditoriale (esercitata in forma individuale o societaria) spetta al contribuente giustificare le movimentazioni bancarie non congrue con la propria dichiarazione dei redditi.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3263 del 2 marzo 2012 (ud 9 novembre 2011), ha confermato che, anche in assenza di attività imprenditoriale, spetta al contribuente giustificare le movimentazioni.

 

Il FATTO

indagini finanziarie del Fisco sul contribuenteAll’esito delle verifiche sui conti bancari era emerso che il contribuente, che non poteva esercitare attività imprenditoriale per precedenti condanne, aveva posto all’incasso assegni emessi da imprese annotatrici di fatture attive di una ditta risultata essere una “cartiera”, dopo la girata del titolo di credito da parte di questa; un’altra ditta individuale, poi, aveva posto all’incasso assegni bancari emessi dal contribuente ritenuti riferiti a pagamenti per prestazioni e/o cessioni di beni effettuate senza emissione di fattura; in ordine a tali assegni il contribuente non aveva fornito spiegazioni, dichiarando di “non ricordare”.

 

 

LA DECISIONE

Preliminarmente, osserva la Corte, che il giudice d’appello ha correttamente affermato che in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,

“i singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai precedenti artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, ed alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti nelle scritture contabili: quando il contribuente non fornisce informazioni delle movimentazioni risultanti dai conti correnti, l’onere della prova è a suo carico”.

 

Né – per la Suprema Corte – il richiamo alla mancanza di prova dello svolgimento di attività d’impresa coglie nel segno, ove si consideri che, secondo la giurisprudenza della Corte, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi,

“i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa” (Cass. n. 10578 e n. 19692 del 2011).

 

Analogamente, in tema di IVA, secondo un consolidato indirizzo,

“l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa: infatti, se non viene contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti: in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva annullato l’avviso di accertamento emesso sulla base dei dati risultanti da un conto corrente bancario, escludendo, senza tener conto dei medesimi dati, che il contribuente esercitasse attività imprenditoriale” (Cass. n. 9573 del 2007, n. 2435 del 2001).

 

 

Brevi note

cassazione reato indebita compensazione

Ancora di recente, con sentenza n. 21132 del 13 ottobre 2011 (ud. del 7 luglio 2011) la Corte di Cassazione aveva confermato che l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo. Se non viene contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta, impresa, arte o professione, sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti.

Sempre la Corte, con sentenza n. 19692 del 27 settembre 2011 (ud. del 23 giugno 2011), nell’affrontare tutta una serie di questioni di rilievo in ordine alle indagini finanziarie, si era soffermata sulla valenza dei versamenti riscontrati in un conto di un soggetto privato. Anche in questo caso, il ricorrente deduceva l’illegittimità sotto molteplici aspetti della procedura di acquisizione dei dati bancari, e comunque l’infondatezza dell’accertamento stante l’inapplicabilità nei suoi confronti della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1, n. 2, operante solo per i lavoratori autonomi e gli esercenti attività d’impresa (categorie alle quali egli era estraneo).

Ma la Cassazione è stata di parere opposto: l’Amministrazione finanziaria è legittimata a ritenere i versamenti su un conto corrente privi di giustificazione, quali redditi imputabili al contribuente, spettando a questi dimostrarne l’estraneità all’imponibile ricostruito in sede di accertamento. “

Ed invero il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia a natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengano, la qual cosa in particolare è da ritenersi per quanto relativo all’applicabilità della presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2.

Nè in contrario senso può fondatamente invocarsi il riferimento ai “ricavi” e alle scritture contabili contenuto nella suddetta norma, giacchè esso risulta limitativo unicamente della possibilità per l’ufficio di desumere reddito dai “prelevamenti”, non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali te spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti.

Ciò senza peraltro che l’utilizzo dei termini suddetti possa in alcun modo impedire all’ufficio di desumere per qualsiasi contribuente che i “versamenti” operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscano reddito, dovendosi ritenere tale attività accertativa pienamente consentita dalla norma in esame e assolutamente ragionevole”.

 

24 aprile 2012

Roberta De Marchi