L'abuso del diritto vale anche per il passato

Un commento alla discussa sentenza di Cassazione che illustra perchè l’abuso del diritto può essere contestato anche per contratti antecedenti all’approvazione della norma generale antielusiva nell’ordinamento tributario italiano.

Con sentenza n. 2193 del 16 febbraio 2012 (ud. 15 dicembre 2011) la Corte di Cassazione, ritenendo immanente nel nostro ordinamento il principio dell’abuso del diritto, ne ha sancito la legittimità anche per il passato.

 

Il processo

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 176/26/06 depositata il 29.01.2007, confermando la sentenza della CTP di Como, ha respinto il ricorso proposto dalla S. S.p.A. avverso gli avvisi d’accertamento coi quali erano stati ripresi a tassazione, ai fini IRPEG ed IRAP, costi ritenuti non di competenza relativi ai periodi d’imposta 1999-2000. I giudici d’appello hanno, in particolare, ritenuto sussistere l’elusione fiscale nel riconoscimento, ad opera della Società, di parte degli interessi passivi in favore di alcuni soci a fronte del finanziamento dagli stessi ricevuto a garanzia del mutuo ottenuto dalla stessa contribuente da un gruppo di banche, finalizzato all’acquisizione di un’altra Società.

 

La decisione

La Corte prende atto che la sentenza impugnata ha ritenuto elusivo il riconoscimento di una parte d’interessi nel periodo 1999-2000 in favore dei soci finanziatori residenti in USA, riferendosi al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, n. 3, lett. f-ter, norma che, in effetti, è stata introdotta dal D.Lgs. n. 143 del 2005, art. 1, c. 1, lett. d, con decorrenza dal 01.01.2004 (D.Lgs. n. 143 del 2005, art. 3 cit.).

Tuttavia,

“ciò non esclude, però, il potere dell’Amministrazione di contestare la deducibilità della componente passiva esposta dalla contribuente, ritenendola inopponibile, in forza del generale principio antielusivo, immanente nell’ordinamento, e la cui fonte va rinvenuta nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, di cui all’art. 53 Cost., commi 1 e 2.

Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte (Cass. SU n. 30055 del 2008, Cass. n. 4737 del 2010, n. 11236 del 2011) deve, infatti, ritenersi presente nell’ordinamento, come diretta derivazione delle menzionate norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

La circostanza che siano disciplinate specifiche norme antielusive non contrasta con l’individuazione nell’ordinamento del cennato principio antielusione, ma, anzi, conferma l’esistenza di una regola generale in tal senso; per converso, l’espressa previsione d’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di una data operazione mediante disposizioni emesse in epoca successiva al suo compimento, – come nella specie, trattandosi di pagamento di interessi a soggetti non residenti in uno Stato dell’Unione Europea – è circostanza idonea ad offrire indiretta conferma dell’illiceità fiscale dell’operazione stessa (in tal senso, cfr. Cass. SU n. 30055 del 2008 cit., in tema di “dividend washing”).

Né siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali (cfr. pure Cass. n. 8772/08)”.

 

Inoltre, la censura con cui viene contestato l’apprezzamento dei giudici del merito circa il concreto carattere elusivo dell’operazione, è pure infondata.

“La sentenza impugnata enuncia, sia pur sinteticamente, le ragioni per cui ritiene di condividere la valutazione operata dall’ufficio laddove esclude che la convenzione relativa al tasso d’interesse pattuito tra la contribuente ed i soci finanziatori, pari ad euribor più spread del 6%, sia stata imposta dal mercato, come opinato dalla Società, e ciò lo desume, mediante la comparazione tra tale tasso ed il ben più lieve onere economico assunto successivamente dal gruppo greco che ebbe ad acquisire l’intero pacchetto azionario della S. applicando uno spread pari all’1,50%.

La motivazione della ritenuta antieconomicità del tasso d’interesse riconosciuto ai soci riferita al differenziale dello spread rinegoziato dai compratori (e graficamente sottolineata col punto esclamativo, posto a chiusura della frase) da conto, in modo sufficiente, delle ragioni del convincimento dei giudici d’appello, dovendosi ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esso”

 

 

L’abuso del diritto – Brevi note

abuso del dirittoIl potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare la deducibilità della componente passiva esposta dalla contribuente, ritenendola inopponibile, in forza del generale principio antielusivo, immanente nell’ordinamento, e la cui fonte va rinvenuta nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, di cui all’art. 53 della Costituzione, non viene meno in assenza di una norma specifica.

Anzi, l’orientamento ormai consolidato della Corte conferma l’esistenza di una regola generale in tal senso e l’espressa previsione d’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di una data operazione mediante disposizioni emesse in epoca successiva al suo compimento, non è altro che circostanza idonea ad offrire indiretta conferma dell’illiceità fiscale dell’operazione stessa.

A nulla quindi giova invocare che il comportamento è illecito a partire da una determinata data – perché c’è la norma – quando comunque l’ordinamento giuridico, pur accordando al privato l’autonomia e la tutela degli atti posti in essere per il perseguimento di interessi meritevoli, disconosce validità all’esercizio di poteri, diritti ed interessi in violazione del principio di buona fede oggettiva. E ciò è immanente nell’ordinamento.

L’abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede.

Ricordiamo che nella sentenza n. 20106 del 18 settembre 2009 (ud. dell’8 giugno 2009), la Corte di Cassazione aveva avuto modo di affermare che

“gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto – ricostruiti attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale – sono i seguenti:

1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto;

2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;

3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico;

4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte”.

 

La Corte prende atto che nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l’abuso del diritto e che la cultura giuridica degli anni ‘30 fondava l’abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di “natura etico morale”, con la conseguenza che

“colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica”.

Tuttavia, è “ormai acclarato che anche il principio dell’abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell’ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano”.

 

29 marzo 2012

Francesco Buetto