Rivalsa IVA dovuta a seguito di accertamenti fiscali o rettifiche

la corretta applicazione del principio della rivalsa dell’IVA, a seguito della maggiore imposta accertata, potrebbe avere effetti imprevedibili sul sistema di calcolo e riscossione di questa imposta, conseguenze forse non volute dal Legislatore…

 

La novità in tema di rivalsa IVA: un involontario assist del fisco

L’art. 93 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, in materia di liberalizzazioni, ha modificato l’art. 60 del DPR n. 633/1972 in materia di IVA, prevedendo il diritto di rivalsa dell’IVA pagata in conseguenza di accertamenti o rettifiche.

L’introduzione di tale diritto, dovuta al rispetto del principio di neutralità che caratterizza il sistema dell’IVA, sembra possa avere delle conseguenze forse non volute dal Legislatore; la possibilità di esercitare la rivalsa, infatti, da un lato potrebbe condurre a una dilazione nel tempo delle entrate erariali e, dall’altro, potrebbe comportare dei limiti alla lotta all’evasione.

Nell’attesa di auspicabili chiarimenti ufficiali sulle questioni che l’applicazione della norma solleva, pare comunque opportuno analizzare la disciplina anche al fine di individuare eventuali comportamenti corretti da tenere successivamente agli accertamenti in materia di IVA.

 

 

Le conseguenze in caso di omessa fatturazione

In caso di accertamento per omessa fatturazione di operazioni attive, l’operazione solitamente comporta:

  • a carico del cedente/prestatore: la determinazione delle imposte dovute, compresa l’IVA non addebitata, e l’irrogazione delle conseguenti sanzioni, eventualmente riducibili a un sesto in caso di adesione al PVC o all’invito dell’ufficio,

  • a carico del cessionario/committente: l’irrogazione della sanzione per omessa autofatturazione di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 471/1997, pari al 100% dell’IVA non regolarizzata, con un minimo di euro 258,23.

 

Peraltro, la sanzione per l’omessa regolarizzazione viene irrogata solo nei confronti dei cessionari/committenti che siano soggetti passivi ai fini dell’IVA e non anche nei confronti di quanti sono privi di soggettività passiva ai fini IVA.

Pertanto, ipotizzando la mancata fatturazione di 100 nei confronti di un cessionario/committente soggetto passivo IVA, l’operazione può condurre, limitatamente al settore dell’IVA, al pagamento delle seguenti somme complessive:

 

 

 

a carico del cedente

– IVA 21%                             21,00

–  Sanzioni ridotte a 1/6            8,73

–  Totale dovuto                      29,73

a carico del cessionario (soggetto passivo IVA)

–     Sanzione     per     mancata    auto fatturazione ridotta a 1/6             3,50

importo complessivo dovuto all’erario (con sanzioni ridotte) = 33,23

 

 

Le somme così dovute non sono recuperabili da nessuno dei due soggetti, ognuno dei quali imputa a costo quanto dovuto a seguito dell’accertamento; la mancata previsione del diritto di rivalsa veniva giustificata, oltre che dal carattere sanzionatorio della mancata rivalsa, anche dalla inopportunità di far rivivere rapporti contrattuali (quelli tra cedente/prestatore ecessionario / committente) ormai esauriti con l’omessa o infedele fatturazione.

 

 

Rivalsa IVA: la modifica introdotta

Con la modifica introdotta, di fatto può ridursi la somma complessivamente dovuta all’erario in quanto viene attribuito al cedente/prestatore il diritto di rivalersi dell’IVA pagata a seguito di accertamento o rettifica.

Infatti, l’art. 93 ha modificato il comma 7 dell’art. 60 del decreto IVA nel seguente modo:

 

VECCHIO TESTO NUOVO TESTO
[7] Il contribuente non ha diritto di rivalersi dell’ imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’ accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi.

7) Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.

In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.

 

 

 

La predetta modifica si è resa necessaria al solo fine di sanare la procedura d’infrazione intrapresa dalla Commissione europea, come risulta evidente dalla Relazione di accompagnamento al decreto legge:

Con la procedura d’infrazione 2011/4081 (costituzione in mora del 24 novembre 2011), relativa alla rettifica dell’IVA fatturata, la Commissione solleva dubbi sulla compatibilità dell’articolo 60, comma 7, del DPR 633/72 con il diritto UE, quale interpretato dalla Corte di Giustizia. In particolare, la Commissione contesta la legittimità della previsione del citato comma 7 laddove stabilisce che
“il contribuente non ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata, in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi”.
L’articolo, prevedendo per il contribuente il diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi, sana la procedura d’infrazione.

 

In altri termini, al fine di evitare l’applicazione di sanzioni, lo Stato Italiano ha inteso adeguare la disciplina interna a quella comunitaria che, essendo basata sul rispetto del principio di neutralità dell’IVA, consente la rivalsa dell’imposta anche nei casi di accertamento1, fermo restando il rispetto delle altre condizioni richieste dalla normativa (percentuale di detraibilità, natura dei beni e servizi acquisti, ecc. ).

Con la modifica introdotta, quindi, il cedente/prestatore (che ha omesso la fatturazione e che ha pagato quanto risulta dall’accertamento) matura il diritto a rivalersi, nei confronti del cessionario/committente, della sola IVA pagata.

Il cessionario/committente, sempre che sia soggetto passivo IVA, può, a sua volta, esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA che gli è stata addebitata dal cedente/prestatore.

In tal modo, quindi, l’IVA diventa effettivamente un’imposta “neutrale” come imposto dalla disciplina comunitaria e come la procedura di infrazione avrebbe confermato.

 

Di fatto, quindi, con riferimento all’esempio numerico precedente, la situazione risulta essere la seguente:

 

 

a carico del cedente

– IVA 21%                             21,00

–  Sanzioni ridotte a 1/6            8,73

–  Totale dovuto                      29,73

–  Rivalsa IVA                        -21,00

–  Importo rimasto a carico        8,73

a carico del cessionario (soggetto passivo IVA)

–          Sanzione     per     mancata    auto fatturazione ridotta a 1/6             3,50

–     IVA addebitata per rivalsa       21,00

–     IVA detraibile                      -21,00

–     Totale dovuto                         3,50

importo complessivo dovuto all’erario (con sanzioni ridotte) = 12,23

 

 

Come evidente, prima della modifica l’erario incassa l’importo complessivo di 33,23, mentre dopo la modifica introdotta nell’art. 60 del decreto IVA incassa l’importo di 12,23 (corrispondente alle sole penalità).

In realtà, la perdita dell’erario è abbastanza limitata e, in ogni caso, sicuramente l’erario non perde la minor somma di 21 (pari all’IVA sull’operazione sanzionata in capo al cedente/prestatore) la quale risulterà definitivamente incassata quando il valore di 100 (che ha formato oggetto di accertamento) sarà addebitato al consumatore finale al quale non spetta alcun diritto di detrazione.

Infatti, se si ipotizza un’operazione effettuata direttamente nei confronti di un consumatore finale, la situazione diventa la seguente:

 

 

a carico del cedente

– IVA 21%                             21,00

–  Sanzioni ridotte a 1/6            8,73

–  Totale dovuto                      29,73

–  Rivalsa IVA                        -21,00

–  Importo a carico                    8,73

a carico del cessionario (non soggetto passivo IVA)

– IVA addebitata per rivalsa         21,00

importo complessivo dovuto all’erario (con sanzioni ridotte) = 29,73

 

 

In definitiva, sul presupposto che risulti individuato il cessionario/committente del’operazione che ha formato oggetto di accertamento, si verificheranno i seguenti effetti:

  • per il cedente/prestatore “evasore”, raggiunto da un accertamento, la nuova disciplina comporta una riduzione del costo effettivamente a suo carico; infatti, negli esempi visti in precedenza, si passa dal 29,73% all’8,73% in quanto l’IVA del 21% viene recuperata attraverso l’istituto della rivalsa;

  • per il cessionario/committente soggetto passivo IVA, raggiunto da accertamento, la nuova disciplina comporta la conferma del costo pari alle sole sanzioni per l’omessa autofatturazione in quanto l’IVA pagata per rivalsa al cedente/prestatore può essere detratta nel rispetto delle vigenti disposizioni;

  • per il cessionario/committente non soggetto passivo IVA, la nuova disciplina comporta, invece, un indubbio costo rappresentato dall’IVA addebitata per rivalsa e della quale tale soggetto rimane definitivamente inciso:

  • per l’erario, la nuova disciplina comporta solo una dilazione dei tempi di incasso delle somme complessivamente dovute dovendo tener conto del diritto alla detrazione che spetta al cessionario/committente soggetto passivo IVA.

 

Il diritto alla rivalsa IVA: una possibile conseguenza non voluta

Sulla base di quanto sopra, fermo restando l’importo complessivo incassato dall’erario, pare di tutta evidenza che il minor costo del cedente/prestatore “evasore” normalmente dovrebbe venire a ricadere, direttamente o per mezzo di una serie di rivalse e detrazioni, per intero a carico del cessionario/committente non soggetto passivo IVA, sempre che tale soggetto risulti effettivamente individuabile la qual cosa normalmente avvenire nei casi di operazioni soggette all’obbligo di fatturazione (esempio: impresa edile che non fattura per intero la cessione di un immobile a un privato consumatore).

Ciò avviene, non per volontà del Legislatore nazionale, ma semplicemente per rispettare, come richiesto dalla normativa comunitaria, il principio di neutralità dell’IVA.

Se questo è, dunque, l’effetto della nuova disciplina, non dovrebbe essere difficile ipotizzare che, in alcuni ambiti, la nuova disposizione possa costituire di fatto un ostacolo alla lotta contro l’evasione.

Si pensi, infatti, al caso del privato che acquista un immobile, soggetto a IVA, da un’impresa di costruzione.

Fino a ieri, l’eventuale sottofatturazione del corrispettivo, una volta scoperta, non aveva alcuna conseguenza sull’acquirente privato in quanto, come si è visto, ogni costo conseguente all’accertamento di un maggior corrispettivo risultava totalmente a carico del costruttore, non risultando nemmeno applicabile al privato consumatore la norma sulla solidarietà passiva, contenuta al secondo comma dell’art. 60 in questione secondo cui

In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.

 

Peraltro, in molti casi, a far emergere la sottofatturazione erano propri i privati acquirenti i quali, immuni di fatto da responsabilità2, dichiaravano e comprovavano alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle entrate di aver corrisposto un prezzo superiore a quello fatturato.

Con la nuova norma, invece, il privato acquirente è obbligato al pagamento della maggior IVA addebitata a titolo di rivalsa, ancorché la stessa emerga a seguito di accertamento a carico del costruttore; in altri termini, il privato acquirente non è soggetto alla solidarietà passiva per l’IVA relativa alla sottofatturazione (comma secondo) ma può essere ugualmente raggiunto dalla azione di rivalsa esercitata dal costruttore (comma settimo).

A questo punto, è triste ammetterlo, ma se le esigenze economiche del privato prevarranno sulle motivazioni di tipo etico, la consapevolezza da parte del consumatore di dover sostenere un maggior costo, rappresentato dall’IVA sull’imponibile originariamente non fatturato, potrebbe indurre il soggetto a rivedere la propria posizione nei confronti del fenomeno dell’evasione.

In altri termini, se fino a ieri l’evasione poteva essere colpita anche sulla base di elementi forniti da privati cittadini o, comunque, da loro sollecitazioni, d’ora in avanti tali sollecitazioni potrebbero venire a mancare in quanto ogni sollecitazione o elemento a comprova del maggior corrispettivo potrebbe avere conseguenze sugli stessi, mediante appunto la rivalsa dell’IVA sul corrispettivo occultato.

 

Si tratta, come pare evidente, di un effetto indiretto e sicuramente non voluto dal Legislatore, le cui conseguenze sulla lotta all’evasione potranno essere valutate solo nei prossimi anni.

 

 

Entrata in vigore e applicabilità della rivalsa IVA

Inquadrata così la nuova disciplina e rimandando ad altri interventi l’esame di specifiche questioni3, non resta che esaminare l’ambito temporale di applicazione della nuova disposizione in quanto, a ben vedere, la stessa potrebbe ben applicarsi anche a situazioni verificatesi prima della sua entrata in vigore, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno già formato oggetto di accertamento, con indubbi benefici per i cedenti/prestatori “evasori”.

Secondo quanto previsto dall’art. 98 del decreto legge n. 2012, la nuova disposizione si applica a decorrere dal 24 gennaio 2012, giorno di pubblicazione del predetto decreto nella Gazzetta Ufficiale.

Tale riferimento temporale, però, deve tener conto del testo letterale della norma secondo cui
Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del “pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi”.

In mancanza di ulteriori precisazioni e in attesa di auspicabili chiarimenti, pare evidente che la lettura di tale norma pone, rispetto alla sua effettiva applicazione, almeno tre questioni per la cui soluzione è auspicabile che sia manifestato quanto prima il parere dell’Agenzia delle entrate.

 

 

a) accertamenti e rettifiche

La norma subordina il diritto alla rivalsa per le somme dovute a seguito di “avvisi di accertamento o rettifica”, lasciando intravedere il divieto di accedere alla rivalsa in mancanza di uno di tali avvisi.

Ove così fosse confermato, risulterebbe quindi impossibile accedere alla rivalsa in tutti i casi in cui i pagamenti avvengono prima che venga emesso un avviso di accertamento o rettifica, come solitamente si verifica a seguito della definizione dei processi verbali di constatazione e della definizione degli inviti al contraddittorio in assenza di avviso di accertamento.

 

La rivalsa, quindi, risulterebbe ammissibile solo con l’acquiescenza all’avviso di accertamento, situazione questa che penalizzerebbe il contribuente sotto il profilo della misura sanzioni (ridotte a 1/3 anziché eventualmente a 1/6).

Potrebbe ritenersi ugualmente ammessa la rivalsa ove il pagamento dell’IVA intervenga a seguito del perfezionamento di una conciliazione giudiziale ex art. 48 del D. Lgs. n. 546/1992; anche in tale caso, infatti, il pagamento dell’IVA risulterebbe preceduto dalla notifica di un avviso di accertamento o rettifica, unica condizione questa richiesta dalla norma in questione.

In definitiva, deve ritenersi ammissibile la rivalsa ogni volta che il pagamento dell’IVA interverga dopo la notifica di un avviso di accertamento o di rettifica.

Ma se questa sarà l’unica interpretazione che sarà fornita dall’Agenzia delle entrate,magari al fine di limitare il ricorso alla rivalsa da parte dei potenziali fruitori, non pare che una interpretazione così letterale sia esattamente quella che permette di raggiungere lo scopo finale della norma e, cioè, la neutralità dell’imposizione IVA.

La neutralità dell’imposizione, in effetti, la si raggiunge in tutte le situazioni in cui viene consentito di esercitare la rivalsa dell’IVA, qualunque sia la modalità che ha condotto al pagamento di tale IVA; ogni volta che il ricorso alla rivalsa sia limitato o interrotto, viene sicuramente meno la predetta neutralità.

Peraltro, se fosse necessario la notifica di un avviso di accertamento o rettifica prima di accedere al pagamento e, quindi, alla rivalsa, la norma si porrebbe in evidente contrapposizione con la strategia dell’Agenzia delle entrate tesa ad agevolare e incrementare il ricorso ai c.d. “strumenti deflattivi del contenzioso”.

In altri termini, se la rivalsa fosse subordinata all’emissione di un avviso di accertamento o rettifica, la nuova norma avrebbe un effetto contrario rispetto alla finalità fin qui perseguita dall‘Agenzia delle entrate con la conseguenza che risulterebbero ritardate tutte le definizioni e, quindi, i relativi pagamenti a favore dell’erario in quanto, come si è visto negli esempi innanzi riportati, la rivalsa consente di ridurre notevolmente il costo della sistemazione della controversia; pertanto, il contribuente potrebbe essere indotto a ritardare la definizione solo dopo la notifica dell’avviso di accertamento in quanto, così operando, aumenta sicuramente il costo delle sanzioni (la cui riduzione possibile passa da 1/6 a 1/3) ma così facendo acquista il diritto alla rivalsa dell’IVA e, quindi, riduce il costo complessivo del 21%.

In definitiva, si ritiene che la norma in questione possa trovare applicazione in tutte le situazioni in cui, a fronte della sussistenza di maggiori operazioni attive, interviene il pagamento dell’IVA, delle sanzioni e degli interessi; solo in tal modo, infatti, si rispetta il principio di neutralità dell’imposta (come voluto dalla Commissione europea), si assicura l’immediatezza delle entrate erariali (come auspicato dall’Agenzia delle entrate) e si garantisce l’accesso immediato alla rivalsa (come è nelle intenzioni del potenziale fruitore).

In tal senso, si auspica, quindi, l’intervento chiarificatore da parte dell’Agenzia delle entrate.

 

 

 

b) pagamento integrale o rateale

La norma subordina il diritto alla rivalsa al pagamento senza nulla precisare al fatto che, anche dopo gli accertamenti, i pagamenti di quanto complessivamente dovuto a titolo di imposte, sanzioni e interessi sono normalmente dilazionati nel tempo, tanto più da quando è stato soppresso l’obbligo della prestazione di idonea garanzia per accedere al pagamento frazionato.

Stando, allora, al tenore letterale della norma, sembrerebbe che si debba attendere l’integrale pagamento di quanto dovuto prima di accedere alla rivalsa, il che, ove fosse confermato, spingerebbe il contribuente all’integrale pagamento di quanto dovuto (il che non sempre nella realtà è possibile) al fine di procedere con immediatezza alla rivalsa.

Una simile interpretazione, però, potrebbe contrastare con l’attuale disciplina dei pagamenti delle somme dovute a seguito di controlli; tale disciplina, infatti, consente la definizione delle controversie con il semplice pagamento della prima rata di quanto complessivamente dovuto in quanto l’eventuale mancato pagamento di una o più rate successive consente all’Agenzia delle entrate di procedere all’iscrizione a ruolo di quanto ancora dovuto.

In altri termini, se a fronte di un accertamento, il contribuente accede al pagamento frazionato pagando solo la prima rata dell’IVA, delle sanzioni e degli interessi, pare normale attendersi che lo stesso possa accedere con immediatezza alla rivalsa, in quanto, l’intervenuta definizione della controversia, rende certo l’ammontare dell’IVA che deve formare oggetto di rivalsa.

Peraltro, ove fosse confermato la sussistenza dell’integrale pagamento dell’IVA, in caso di pagamento frazionato di quanto dovuto, il che potrebbe intervenire addirittura a seguito di conciliazione giudiziale non essendo alcuna limitazione, si allungherebbero i tempi della rivalsa e, conseguentemente, quelli della detrazione in capo al cessionario/committente soggetto passivo di IVA, con l’insorgere di eventuali maggiori difficoltà anche in sede di successivi controlli sulla regolarità della rivalsa e della detrazione.

E’ evidente che, sul punto, è auspicabile una pronta presa di posizione da parte dell’Agenzia delle entrate.

 

 

c) pagamenti anteriori al 24 gennaio 2012

Poiché il diritto alla rivalsa è entrato in vigore il 24 gennaio 2012, da tale data deve ritenersi legittimo l’esercizio del diritto, a condizione che, al momento in cui la rivalsa venga esercitata, risulta pagato (in tutto o, come si ritiene, anche in modo rateale) l’importo dovuto.

Conseguentemente, ove alla data del 24 gennaio 2012 il cedente/prestatore abbia già provveduto al pagamento dell’IVA, delle sanzioni e degli interessi sui maggiori imponibili accertati, dovrebbe poter procedere ad effettuare la rivalsa della maggior IVA pagata.

Anzi, l’esercizio della rivalsa, essendo soggetto alle ordinarie regole civilistiche, dovrebbe poter essere effettuato nel termine ordinario di prescrizione di cinque anni dal momento del pagamento dell’IVA, delle sanzioni e degli interessi in quanto è con tale pagamento che sorge il diritto del cedente/prestatore alla rivalsa.

In ogni caso, in considerazione della rilevanza delle questioni che emergono dall’esame della predetta disposizione, è quindi auspicabile che un chiarimento ufficiale intervenga al più presto al fine anche di non vanificare le finalità di perseguimento della neutralità dell’imposizione IVA.

 

 

Leggi anche:
L’accertamento dell’IVA e la rivalsa sul cessionario – committente
Nota d’accredito nella rivalsa da accertamento
 

9 febbraio 2012

Vito Dulcamare

 

 

NOTE

1 Va rilevato, però, che con la sentenza 7 dicembre 2010 nella causa C-285/09 la Corte di giustizia europea ha escluso l’applicazione del principio di neutralità nei casi in cui il soggetto partecipi volontariamente a fattispecie di frode fiscale. Ove confermato, tale principio potrebbe rimettere in discussione il diritto di rivalsa appena introdotto.

2 In effetti, a parte la sostanziale immunità sotto il profilo fiscale (salvo eventuali riflessi sul redditometro), la stipula di un atto pubblico con l’indicazione di un corrispettivo inferiore al reale non risulta essere stata punita nemmeno ai sensi dell’art. 483 del codice penale (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico).

3 Tra le ulteriori questioni che dovranno essere successivamente esaminate si pensi alla possibilità per il cedente/prestatore e per il cessionario/committente, che sia soggetto passivo ai fini IVA, di rilevare nella propria contabilità l’operazione che ha dato origine alla rivalsa; si pensi anche alle conseguenti problematiche in materia di antiriciclaggio, di bilancio, ecc.

 

 

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