Il mago non prevede nè le indagini finanziarie nè il redditometro!

Una sentenza della C.T.R. del Piemonte, in cui il giudice passa dall’accertamento basato sulle indagini finaziarie ad un calcolo induttivo basato sulle disponibilità patrimoniali del contribuente, sproporzionate al reddito dichiarato.

Se la ricostruzione di tipo analitico-presuntivo non risulta corretta, la procedura accertativa fondata su di essa è inaffidabile e deve, quindi, essere sostituita con quella basata sul redditometro.

Lo ha stabilito la C.T.R. di Torino, con la sentenza del 18 ottobre 2011, numero 80/29/11.

 

I fatti di causa

La pronuncia trae origine da un avviso di accertamento notificato ad un mago, chiromante e pranoterapeuta, che, per l’anno oggetto di controllo, aveva dichiarato redditi pressoché nulli.

L’Ufficio si era avvalso delle indagini finanziarie per ricostruire indirettamente il volume d’affari dell’attività del contribuente ai sensi dell’articolo 32, comma 1, numero 2), del DPR 600/19731 ed, ai fini Iva, dell’ articolo 51, comma 2, numero 2), del DPR 633/1972.

Tali disposizioni prevedono che gli Uffici possano accertare i contribuenti, ponendo a base delle rettifiche i dati e gli elementi relativi ai rapporti finanziari, dei quali i soggetti controllati non dimostrino di averne tenuto conto nella determinazione del reddito soggetto ad imposta e che non si riferiscano ad operazioni imponibili. Anche i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti sono altresì posti come ricavi o compensi qualora i contribuenti non ne indichino il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili

Il Fisco, però, non si era limitato a questa tipologia di controllo. Considerando, infatti, i beni indicatori di capacità contributiva posseduti dal contribuente, quali autovetture ed abitazioni (previsti dal D.M. 10/09/1992), aveva calcolato, ai sensi del “vecchio” articolo 38, comma 4 e seguenti del DPR 600/1973 (ante modifiche operate dall’articolo 22 del DL 78/2010), il reddito sinteticamente accertabile2.

Privilegiando lo strumento delle indagini finanziarie, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato il contribuente utilizzando, appunto, le movimentazioni bancarie riscontrate. L’atto impositivo veniva impugnato dinnanzi alla C.T.P., che respingendo il ricorso, ne confermava la legittimità.

 

 

La sentenza dei giudici regionali

Il contribuente opponeva gravame, eccependo che sia l’Ufficio che i giudici di primo grado non avevano considerato la circostanza che alcune delle operazioni bancarie erano riconducibili alla sua attività agricola svolta parallelamente a quella oggetto di controllo; quindi, tali movimentazioni finanziarie erano state erroneamente considerate nella procedura accertativa. In particolare, alcuni versamenti sui conti correnti analizzati dal Fisco erano relativi a contributi pubblici per l’agricoltura, come dimostrato dalla documentazione allegata agli atti.

I giudici del riesame hanno stabilito che, in effetti, per l’attività agricola, benché di dimensioni modeste, erano stati ricevuti dal contribuente i predetti contributi pubblici e, quindi, i relativi versamenti non potevano essere considerati alla stregua di ricavi non dichiarati afferenti all’altra attività di mago, come, invece, erroneamente aveva fatto l’Ufficio. Pertanto, secondo il collegio del riesame, l’accertamento dell’Ufficio risultava complessivamente inaffidabile.

Conseguentemente, i giudici regionali hanno stabilito che, stante la presenza di elementi indicativi di capacità contributiva, così come evidenziati dall’Amministrazione finanziaria, che aveva altresì calcolato il reddito sinteticamente accertabile, doveva ritenersi applicabile, nel caso di specie, la procedura accertativa di tipo redditometrico – questa volta – correttamente utilizzata dall’Ufficio.

La C.T.R., in conclusione, ha ridotto l’imponibile dell’atto impositivo, come risultante dalle indagini finanziarie, sino alla misura pari al reddito sinteticamente accertabile mediate il redditometro.

 

 

Considerazioni conclusive

È appena il caso di aggiungere, in proposito, che, in effetti, i giudici tributari non possono limitarsi ad annullare un avviso di accertamento ritenuto non corretto ma devono, invece, adottare una decisione di merito che riconduca la pretesa erariale nella corretta misura, giacché il processo tributario non rientra tra quelli di impugnazione/annullamento ma bensì di impugnazione/merito, come ha ribadito, di recente, la Suprema Corte, proprio in un caso di accertamento da redditometro (cfr. Cass. 23171/2010).

Nel caso di specie, la C.T.R. avrebbe anche potuto mantenere lo strumento accertativo utilizzato dal Fisco – le indagini finanziarie – limitandosi ad epurare giudizialmente l’atto dagli errori presenti, cioè escludendo la rilevanza di quelle sole operazioni bancarie riferibili all’attività agricola, ma i giudici torinesi devono aver ritenuto che la capacità probatoria del redditometro fosse maggiore di quella delle indagini finanziarie, ed hanno quindi ricondotto la pretesa alla misura scaturente dal primo.

Che, poi, tale decisione sia immune da vizi logico-giuridici dovrà stabilirlo la Suprema Corte, anche se qualche spazio di illegittimità pare già intravedersi.

 

21 novembre 2011

Alessandro Borgoglio

 

NOTE

1 Tale disposizione prevede che “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni. Le richieste fatte e le risposte ricevute devono risultare da verbale sottoscritto anche dal contribuente o dal suo rappresentante; in mancanza deve essere indicato il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto ad avere copia del verbale”.

2 Prima della modifica apportata al testo normativo dall’articolo 22 del DL 78/2010, l’articolo 38, comma 4 e seguenti del DPR 600/1973, stabiliva che “L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta. Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti. Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione…”.