La durata della verifica fiscale: la giurisprudenza di merito

Analisi della giurisprudenza, in ordine di tempo, sull’annoso problema della “durata della verifica”, concetto che contrappone i poteri del fisco ai diritti del contribuente.

L’ultima sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari – n. 99 del 7 maggio 2010, Sez. X – che ha ritenuto che i trenta giorni previsti dall’art. 12, c. 5, della L.n.212/2000 “debbano essere lavorativi e consecutivi“ e che “la durata protratta oltre i trenta giorni comporta la illegittimità della verifica e, conseguentemente, la nullità dell’avviso di recupero“, ci inducono a ritornare sull’argomento, per riaffermare la nostra posizione, diversa e lontana da quella espressa dai giudici baresi.

Durata della verifica fiscale – La norma

L’art. 12, c. 5, della citata legge n. 212 del 27 luglio 2000 prevede che la permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio.

Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione della verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni.

Il comma 5, dell’art. 12, dello Statuto del Contribuente detta, pertanto, una previsione di maggiore effetto sulla attività di verifica in genere, fissando, per la prima volta nel nostro Paese, dei termini alla permanenza dei verificatori presso l’azienda.

La ratio della norma è quella ridurre o quanto meno diminuire il disagio che l’azione ispettiva può recare alla normale attività dell’azienda o del professionista verificato.

Durata della verifica fiscale – La giurisprudenza di merito

La giurisprudenza di merito è stata chiamata già più volte a pronunciarsi: con sentenza n. 238 del 20.4.2004 (dep. il 4.5.2004) la II sez. della CTP di Catania ha ritenuto inutilizzabili gli elementi di prova assunti successivamente al decorso del termine previsto dal comma 5, dell’art. 12, della L. n. 212/2000 (1) (in ordine alla procedura d’accesso e alla durata della verifica, il Tar Lombardia, Sez.I, con sentenza n. 337 del 23 – 29 giugno 2002 aveva ritenuto il giudice amministrativo carente di giurisdizione in materia).

Al di là delle diverse interpretazioni possibili in ordine al significato da attribuire alla norma (permanenza dei verificatori o durata della verifica), secondo i giudici catanesi, dalla lettura della norma

“emerge chiaramente che ogni elemento raccolto, dagli operatori della Guardia di finanza o degli uffici impositori, oltre il limite temporale di giorni trenta prorogabili di altri trenta giorni con provvedimento motivato, è frutto di attività posta in essere in violazione della norma espressa”

e

“la conseguenza di questa violazione, anche se non comminata espressamente, è l’inutilizzabilità degli elementi di prova raccolti oltre il limite fissato dall’art. 12, comma 5“.

Sul piano sistematico, la II sezione della CTP di Catania, nel richiamare l’art. 52, c. 2, del D.P.R. 26.10.1972, n. 633 e l’art. 33, c. 1, del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, fa propri i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine all’inutilizzabilità delle prove illegittimamente raccolte, che “non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo, informa tutti gli atti nei quali si articola“.

Infatti,

“il compito del giudice di vagliare le prove in causa è circoscritto a quelle di cui abbia positivamente riscontrato la rituale assunzione“

e

“l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque responsabile direttamente o indirettamente“.

Secondo i giudici di prime cure catanesi

“i principi dinanzi enunciati, rispettivamente in via di conferma dell’indirizzo in passato espresso da queste SS.UU. (sentenza n. 8062/1990), e poi di ricomposizione del contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione tributaria, evidenziano l’infondatezza di tutte le censure mosse dall’Amministrazione finanziaria alla sentenza impugnata ed esigono la reiezione del ricorso (Cass. SS.UU. 22.11.2002, n. 16424)”.

Se nei precedenti casi sottoposti al vaglio della Cassazione si riscontra

“la tutela dell’inviolabilità del domicilio“ e “del limite alla rituale acquisizione (cui, obiter, fa riferimento anche la sentenza n. 17576/2002)“, secondo cui le disposizioni dello Statuto del contribuente costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, con la conseguenza della superiorità dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto, nel caso di specie, ritengono i giudici siciliani che “è possibile profilare la protezione del diritto costituzionale (art. 41) alla libertà dell’iniziativa privata, libertà ostacolata dalla presenza degli accertatori oltre il tempo consentito“.

In senso sostanzialmente conforme si è pronunciata la CTP di Siracusa che, con la sentenza n.105/3/06 del 5 maggio 2006, dep. il successivo 14 settembre ( Sez. 3), ha ritenuto fondata l’eccezione di violazione dell’art. 12, c. 5, della legge n. 212/2000. Nel caso specifico la verifica è stata iniziata il 30 settembre 1999 e conclusa il 29 settembre 2000, con una permanenza effettiva nella sede dell’azienda di 93 giorni; “né dal verbale è dato riscontrare la dichiarazione motivata e giustificativa del prolungamento del prescritto periodo da parte del Dirigente dell’Ufficio suddetto… e se tale norma non sanziona con la nullità esplicita dell’atto…, di fatto la violazione del succitato art. 12 configura la illegittimità dell’atto che può essere annullato giudizialmente ”.

Da ultimo, con sentenza n. 12 dell’8 febbraio 2008 (dep. il 19 marzo 2008) la CTR della Lombardia – Sez. L – è ritornata sulla problematica della durata/permanenza dei verificatori in azienda, ritenendo viziato di nullità il processo verbale di constatazione redatto dai verificatori che abbiano superato, in violazione dell’art. 1, L. n. 212/2000 e della L. n. 241/1990 in materia di procedimento amministrativo, i termini temporali massimi consentiti per la permanenza, dovuta a verifiche, presso la sede del contribuente. Nel caso di specie, la Guardia di Finanza aveva iniziato l’ispezione di verifica l’8 febbraio 2001 concludendola il 5 giugno 2001 (pertanto erano intercorsi oltre 120 giorni) e la proroga era stata richiesta oltre il termine dei primi 30 giorni lavorativi (la proroga era stata richiesta il 13 aprile 2001, concessa in data 19 aprile 2001 e notificata al contribuente il giorno 23 aprile 2001, e pertanto – secondo il ricorrente “la G.d.F. aveva continuato ad accedere e permanere presso i locali della società, pur in assenza di atto di proroga e anche oltre il tempo massimo previsto dallo Statuto, quindi in maniera illegittima”.

Durata della verifica fiscale – Il dibattito

La norma è oggetto di un vivace dibattito: da una parte coloro che ritengono che la disposizione abbia voluto riferirsi al limite massimo della durata della verifica; dall’altra parte la tesi della Guardia di Finanza, formalizzata nella circolare n. 250400 del 17.8.2000, cui ha fatto seguito la C.M. n. 64/E del 27.6.2001 dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui il termine dei 30 giorni va calcolato sulla base degli effettivi giorni di permanenza dei militari presso l’azienda, non conteggiando, ai fini del calcolo, i singoli contatti (per es. per notificare atti, prelevare o riconsegnare documenti, ecc.), invitando i verificatori a procedere, in ogni caso, alla sospensione della verifica in tutti quei casi in cui si devono effettuare eventuali controlli di coerenza esterna (controlli incrociati).

Quest’ultima interpretazione si manifesta, a nostro avviso, coerente con il dettato legislativo: la norma parla di permanenza e non di durata e pertanto la sospensione della verifica, per qualsiasi motivo, fa venire meno la permanenza effettiva dei militari e/o dei civili operanti presso la sede del contribuente.

Lo stesso Se.C.I.T. nella delibera n. 42/2002 sostiene che “se da un punto di vista funzionale e, direi, anche etico è sacrosanto che si cerchi di abbreviare al massimo lo stato di disagio e di crisi che inevitabilmente comporta la presenza di estranei presso i locali dell’azienda o dello studio artistico o professionale, è altrettanto giusto coniugare questa esigenza con la necessità di imprimere ai controlli un apprezzabile grado di incisività e di efficacia, che altrimenti si finisce con il compromettere“, e aderisce all’interpretazione data dalla Guardia di Finanza in quanto “più rispondente alla lettera della norma”.

Le sentenze citate ripropongono, di fatto, la dibattuta e controversa questione della utilizzabilità delle prove irritualmente acquisite nel corso delle indagini fiscali, di cui già ci siamo occupati nelle pagine precedenti.

Il mancato rispetto dei termini indicati dal comma 5, dell’art. 12, dello Statuto del contribuente determinerebbe, infatti, conseguenze in ordine all’utilizzabilità degli elementi acquisiti oltre i 30 o 60 giorni analoghe a quelle della irritualità o illegittimità degli atti compiuti.

Scartata l’ipotesi che in materia sia competente il Tribunale amministrativo atteso, fra l’altro, che il processo verbale di constatazione non è atto autonomamente impugnabile e che quindi per il principio dell’illegittimità derivata gli eventuali vizi del p.v.c. non possono che essere fatti valere attraverso la contestazione del successivo avviso di accertamento, in mancanza di una espressa comminatoria di nullità (ubi lex voluit dixit), non riteniamo che gli atti acquisiti decorso il termine, siano inutilizzabili(3), trattandosi, oltretutto di termini ordinatori e non perentori.

La norma in esame non contiene nessuna espressa sanzione nei confronti dell’ufficio che non si attiene a queste disposizioni e pertanto qualsiasi valutazione è rimessa alla sensibilità dell’organo giudicante.

La stessa Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8344 del 10 aprile – 19 giugno 2001, ha evidenziato che non esiste nell’ordinamento tributario un principio di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, principio, invece, introdotto nel nuovo codice di procedura penale e vale, ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale. Né si può sostenere che gli art. 70 del D.P.R. n. 600/1973 e 75 del D.P.R. n. 633/1972 stabiliscono l’applicazione, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, delle norme del Codice penale e del Codice di procedura penale, atteso che il rinvio dei citati articoli è espressamente circoscritto all’accertamento di violazioni e sanzioni, oggi contenute nei decreti legislativi di riforma delle sanzioni amministrative, mentre qui siamo nel campo del procedimento di accertamento.

In particolare, il pronunciamento catanese si pone, inoltre, in palese contrasto con la Corte di Cassazione che, nella citata sentenza n. 8344/2001, porta ad esempio proprio la fattispecie qui in esame, statuendo che “la violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria la inutilizzabilità degli elementi acquisiti. Si pensi al caso in cui, nel corso di una verifica fiscale, vengano acquisiti elementi determinanti ai fini dell’accertamento soltanto il trentunesimo (o sessantunesimo) giorno lavorativo dall’inizio della verifica stessa, in violazione del precetto di cui all’art.12, co. 5, della L. 27.7.2000, n .212“. E prosegue affermando che “le conseguenze sanzionatorie ricadono direttamente sull’autore dell’illecito, sul piano disciplinare e, se del caso, sul piano della responsabilità civile e penale. Non sarebbe giusto che una prova oggettivamente ammissibile, non possa essere utilizzata a causa della negligenza di chi l’ha acquisita“.

Il richiamo operato dai giudici di Catania a diversi, antecedenti e successive sentenze sempre della Corte di Cassazione (fra l’altro, la n. 15230/2001), non ci appare conferente, in quanto l’invalidità degli atti di accertamento – in tali ipotesi – è stata pronunciata per violazioni che riguardano le modalità autorizzative che incidono su questioni sostanziali e non ordinatorie.

Nell’ipotesi delineata, una volta autorizzato e legittimamente effettuato l’accesso, l’eventuale superamento dei termini indicati dall’art. 12, c. 5, dello Statuto del contribuente, non può comportare la non utilizzabilità degli elementi probatori acquisiti successivamente.

Nel caso sottoposto davanti ai giudici baresi, ci sembra molto sbrigativa la pronuncia: occorre si salvaguardare le esigenze del contribuente ma anche quelle dell’Erario.

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29 settembre 2010

Gianfranco Antico

NOTE

1) Già commentata da ANTICO, Statuto del contribuente, in “La settimana fiscale”, n.42/2005, pag.22.

2) Per un suo articolato commento cfr. ANTICO, La durata della verifica. Non convince la tesi della giurisprudenza, in “Fiscalitax, n. 11/2008, pag. 1515.

3) In tal senso si era già espressa autorevole dottrina, MAGISTRO, Accesso nei luoghi di esercizio delle imprese: diritti e garanzie del contribuente, in “Corriere Tributario “, 2000, pag. 2380.