Il contratto di cessione della clientela di uno Studio professionale

Un’approfondita analisi degli aspetti fiscali inerenti la cessione e l’aggregazione degli studi professionali, con particolare riguardo all’intangible asset rappresentato dalla clientela dello studio

Nel corso degli ultimi anni si è preso maggiore coscienza del valore dell’avviamento intellettuale, e l’analisi di tali problematiche è via via cresciuta 1, partendo dai cd. intangible asset, che come rilevato in dottrina

“nel mondo professionale da sempre concorrono ad un capitale intellettuale – fatto di competenze ed esperienze professionali, idee, abilità di elaborare informazioni, capacità relazionali, prestigio, fiducia e stima dei terzi – essenziale per la redditività dell’attività. Talenti, expertise, patrimonio di professionalità che, senz’altro inerenti alla stessa persona del professionista, possono essere a certe condizioni in tutto, o in parte, trasferiti ad altro qualificato professionista, messo così nelle condizioni di instaurare a sua volta un rapporto professionale e di produrre un maggior reddito…

Di questo patrimonio professionale, le fiduciarie relazioni con la clientela, oltre che dalla comune volontà, dalla collaborazione e dalle doti tecniche e non dei professionisti coinvolti, dipende dalla personale preferenza dei clienti e per questo presenta un’intrinseca alea 2”.

Tassazione dell’avviamento intellettuale

Prendendo spunto dalla recente sentenza della Corte di Cassazione – n. 2860 del 9 febbraio 2010 3 – torniamo a riaffrontare la questione relativa al trattamento fiscale da riservare alla cessione del cd. portafoglio clienti 4 – da noi definito tassazione dell’avviamento intellettuale -, alla luce degli interventi normativi ( D.L. n. 223/2006), di prassi e di dottrina 5.

La Cassazione sulla cessione di clientela di uno studio professionale: la sentenza n. 2860/2010

sentenza corte di cassazioneLa Corte di Cassazione, nella richiamata sentenza n. 2860/2010, innanzitutto, rileva che il libero professionista non è un imprenditore e che lo studio professionale non è di per sè un’azienda.

Non si può normalmente equiparare ad un’azienda – che è un complesso di beni organizzati per l’esercizio di una impresa produttiva, ove la persona dell’imprenditore ha bensì rilevanza, ma non essenziale – uno studio professionale, nel cui esercizio è elemento di gran lunga preponderante l’attività personale del professionista, onde sull’organizzazione dei beni materiali occorrenti, e anche sui beni immateriali rappresentati dal nome, dall’avviamento, dalla clientela e dal complesso di rapporti suscettibili di continuazione e di sviluppo sovrasta, di regola, in modo assoluto la personalità di chi esercita lo studio, senza la cui capacità, attività e considerazione professionale anche quel complesso di beni sarebbe destinato a rimanere inefficiente e privo di attitudine produttiva (Sez. 3′, 9 ottobre 1954, n. 3495 e Cass., Sez. Un., 21 luglio 1967, n. 1889).

Osserva la Corte che, benchè la linea discretiva tra studio professionale ed azienda sia netta e trovi un radicamento nell’art. 2238 c.c., e quantunque nelle professioni liberali la clientela, fondata com’è sulla fiducia personale, non abbia modo di collegarsi ad un substrato oggettivo, non v’è dubbio che gli studi professionali presentino molte analogie con l’azienda e che, nella prassi, questa vicinanza tenda ad accentuarsi.

Accanto al permanere dei tradizionali principi della fiduciarietà del rapporto e della personalità della prestazione, si assiste infatti ad un superamento della considerazione dell’opera intellettuale come irrelata dal momento organizzativo, tenuto conto – come è stato osservato in dottrina – delle nuove tendenze verso la commercializzazione, la specializzazione e la socializzazione.

Tuttavia, la Corte rileva che,

“anche nelle ipotesi in cui non è configurabile una prevalenza del momento organizzativo e la persona del professionista rimane predominante, è da ritenere validamente stipulato, in base al principio di autonomia negoziale, il contratto avente ad oggetto il trasferimento, verso corrispettivo, dello studio professionale ad altro soggetto, intenzionato a proseguire l’attività avvalendosi del complesso dei beni, materiali ed immateriali, appartenenti al proprio dante causa. In tal caso si verifica un vero e proprio trasferimento dell’attività: accanto agli arredi, al complesso dei beni strumentali e dei rapporti contrattuali di fornitura, l’alienante “cede” per via indiretta, al professionista che subentra, la clientela, nel senso che assume a tal fine obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la stessa attività nello stesso luogo), volti a consentire al successore che ne abbia le qualità di mantenere la clientela del suo predecessore, previo conferimento di un nuovo incarico”.

Conclusivamente, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto

“è lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e degli arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest’ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario), ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante”.

Il quadro normativo sulla Cessione di Clientela

Il comma 1, dell’art. 54, del T.U. n. 917/86 prevede che

“il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazioni agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”.

Per effetto dell’art. 36, c. 29, del D.L. n. 223/2006, nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è stato aggiunto, fra l’altro, all’art. 54, dopo il comma 1, il comma 1-quater, secondo cui

“concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.

Sempre l’art. 36, c. 29, lett. b), del D.L. citato consente la tassazione separata se tali corrispettivi sono percepiti in una soluzione. Ai fini Iva, dato che l’art. 3, del D.P.R. n. 633/72 qualifica come prestazioni di servizio le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera,

”… e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte…”,

occorre verificare, di volta in volta, se le prestazioni oggetto di esame sono connesse o meno all’attività professionale esercitata, in via abituale, dal contribuente.

Gli interventi di prassi

A livello di prassi va registrata la R.M. n. 108 del 29 marzo 2002, che rispondendo ad uno specifico parere, ha sostenuto che:

a) tramite la “cessione” della parte meramente operativa della attività professionale e della relativa clientela viene posta in essere una fattispecie contrattuale atipica che,

non può essere assimilata ad una cessione di un bene immateriale di natura patrimoniale, alla stessa stregua di quanto avviene per l’avviamento commerciale nell’ipotesi di cessione d’azienda

dal momento che, diversamente da quanto accade nel mondo delle imprese, dove l’avviamento commerciale si separa dalla figura del titolare per inerire all’organizzazione economica dell’impresa, e diviene pertanto suscettibile di autonoma rilevanza e trasferibilità, “nell’esercizio dell’attività professionale i vantaggi economici connessi alla clientela sono direttamente ed esclusivamente riconducibili alla figura del professionista 6“.

Poiché il rapporto tra il professionista e il cliente è caratterizzato dal cd. intuitu personae, la capacità professionale di attrarre clientela non può essere assimilata ad un “bene immateriale”, autonomamente trasferibile (non è facile, infatti, “trasferire” i clienti);

b) pur non essendo certo che il rapporto fiduciario sia riproducibile in capo al nuovo soggetto, la fattispecie contrattuale prospettata determina,

“di fatto, tra i due professionisti un rapporto di tipo obbligatorio nel quale il professionista cd. cedente, a fronte del compenso percepito, si assume l’impegno di favorire il soggetto subentrante nella prosecuzione del rapporto con i propri vecchi clienti “

(in concreto, il professionista rinuncia ad esercitare la propria attività professionale nei confronti dei clienti che richiedono esclusivamente delle prestazioni di tipo operativo; si astiene dallo svolgimento dell’attività professionale in concorrenza con il nuovo soggetto; s’impegna a favorire la prosecuzione del rapporto tra i suoi vecchi clienti ed il nuovo soggetto; potrebbe – in questo caso, siamo nell’ambito dell’ipotesi – indirizzare i propri clienti verso il soggetto subentrante, attraverso una attività promozionale e di canalizzazione ).

Partendo da tali presupposti, le Entrate concludono, affermando che lo specifico compenso

“è corrisposto, a fronte dell’assunzione da parte del professionista di obblighi ben precisi e deve essere quindi ricondotto nella previsione dell’articolo 81 (oggi, 67), comma 1, lettera l), del Tuir, che espressamente qualifica come redditi diversi quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.

In ordine alla deducibilità del costo per l’acquirente, nell’unanime pensiero che le spese sostenute nell’esercizio dell’arte e professione, per essere dedotte devono essere effettivamente sostenute nell’ambito dell’attività esercitata, inerenti all’esercizio dell’arte o della professione, e documentate, l’Agenzia ritiene che si tratta,

“per il professionista che sostiene la spesa per l’acquisizione della nuova clientela di un costo inerente all’esercizio dell’attività professionale”,

e come tale deducibile, nei limiti ed alle condizioni previste dall’articolo 54 del T.U. n. 917/86.

In concreto, tale costo, è deducibile, in aderenza al principio di cassa, nell’esercizio in cui viene effettivamente sostenuto (evidentemente se il pagamento è frazionato, il costo sarà deducibile in ciascun esercizio, in base a quanto effettivamente pagato).

Per quanto concerne il trattamento applicabile, ai fini dell’Iva, all’operazione in esame, la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate ritiene che il predetto compenso, corrisposto al professionista per la cessione di una parte della sua attività,

“configuri un corrispettivo di una prestazione di servizio, consistente nel permettere la prosecuzione del rapporto professionale tra i suoi vecchi clienti ed il soggetto subentrante, nell’impegno di non proseguire (non fare) il rapporto professionale con i clienti ceduti e nell’impegno (fare) altresì di favorire la prosecuzione del rapporto tra i suoi vecchi clienti ed il nuovo soggetto”.

Nella fattispecie presentata le Entrate ritengono, pertanto, sussistente e realizzato sia il presupposto oggettivo che il presupposto soggettivo di applicazione dell’Iva. Infatti l’articolo 3, del D.P.R. n. 633/72 qualifica come prestazioni di servizio

“le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, …e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte…”,

e le prestazioni oggetto di esame sono “innegabilmente connesse all’attività professionale esercitata, in via abituale, dal contribuente“.

Da ciò consegue che le prestazioni in discorso debbono essere ricomprese nell’ambito applicativo dell’Imposta sul valore aggiunto.

Successivamente, con R.M. n. 177/E del 9 luglio 2009 l’Agenzia delle Entrate è ritornata sulla questione, a seguito di un interpello di un contribuente, che vede protagonisti Tizio e ed altri quattro colleghi che hanno intenzione di costituire

Al riguardo, l’istante precisa che:

  •  nessun compenso sarà percepito dai professionisti per l’ingresso nella costituenda associazione;
  •  nessun apporto in senso tecnico (beni immobili e/o mobili) è previsto a carico dei singoli professionisti a favore dell’associazione;
  • ogni singolo associato apporterà al nuovo organismo le proprie capacità intellettuali e la propria clientela.

A fronte di tali apporti non sarà corrisposto alcun compenso bensì sarà prevista una differenziazione nella determinazione delle quote di partecipazione agli utili dell’associazione medesima.

Ciò premesso, l’istante chiede di sapere quali implicazioni fiscali, ai fini delle imposte sui redditi, comporti la costituzione dell’associazione professionale in capo ai soggetti coinvolti ed, in particolare, se la cessione di clientela operata dai singoli professionisti sia tassabile ai sensi dell’art.54, c. 1-quater del Tuir. L’Agenzia delle Entrate, nell’esprimere il proprio parere, prende le mosse dalla circolare n. 8 del 13 marzo 2009 (parag. 1.3) 7, secondo cui

“non emerge alcuna materia imponibile da assoggettare a tassazione, in ossequio al citato comma 1-quater dell’art.54 del TUIR, quando non è prevista alcuna remunerazione per l’apporto della clientela, né al momento dell’adesione all’associazione né al momento dell’eventuale recesso da parte del singolo professionista”.

Dubbi interpretativi potrebbero sorgere in virtù del fatto che l’apporto della clientela personale del professionista all’associazione, anche se previsto a titolo gratuito, è elemento considerato ai fini della diversa modulazione nella ripartizione delle quote di partecipazione agli utili. Anche sotto tale profilo, tuttavia, le Entrate ritengono che “la fattispecie in esame non configuri l’ipotesi prevista dall’art.54, comma 1-quater del TUIR”.

Infatti,

“lo studio associato costituisce un’organizzazione unitaria composta da più persone realizzata al fine di ridurre l’incidenza dei costi per ciascun professionista e di incrementare l’efficienza nello svolgimento dell’attività.

La costituzione dell’associazione professionale non comporta cambiamenti nella natura del contratto d’opera intellettuale che conserva carattere personale e vincola il professionista rispetto al suo cliente.

Il singolo professionista, in seguito all’adesione all’associazione, in sostanza, prosegue l’attività professionale in corso con i propri clienti, seppur con modalità organizzative diverse (ovvero in forma associata)”. In ordine alla possibilità di considerare come corrispettivo dell’apporto della clientela la maggiore partecipazione alle quote di utili derivanti dalla partecipazione all’associazione la risoluzione rileva “che detta ripartizione assume come parametri diversi elementi quali l’esperienza e l’attività professionale, il bagaglio di conoscenze ed esperienze del singolo professionista oltre la clientela.

La ripartizione degli utili è determinata, in sostanza, dal diverso peso professionale rivestito da ogni associato nel nuovo organismo associativo, il che impedisce di intravedere un rapporto diretto di tipo sinallagmatico tra l’apporto della clientela e la quota di utile attribuito”.

Alla luce di queste considerazioni, l’Amministrazione finanziaria ritiene che

“l’apporto della clientela in occasione dell’ingresso in uno studio associato, senza corresponsione di compenso, configura un’operazione fiscalmente irrilevante in capo ai singolo associati, indipendentemente dalla circostanza che tale apporto rientri tra i parametri considerati per la fissazione delle quote di partecipazione agli utili. Naturalmente la mancata valorizzazione di tale componente al momento dell’ingresso nell’associazione comporta come logica conseguenza che nessuna rilevanza può essere attribuita all’apporto in sede di recesso dell’associato” 8.

 

A cura di Gianfranco Antico

Su questo argomento leggi anche: Cessione della clientela: è un’operazione soggetta ad IVA?

 

NOTE

1 Si confronti la risoluzione n.177/E del 9 novembre 2001, in ordine alla valorizzazione degli intagible assets, quali “risorse intangibili relative al capitale umano”, quale “ capitale intellettuale dell’impresa, considerato nel triplice aspetto di capitale organizzativo, capitale umano e capitale relazione”, e considerati come “elementi determinanti per la futura redditività dell’impresa”.

2 GABELLI-ROSSETTI, Spunti critici in merito alla presunta imponibilità dell’avviamento professionale, in “Bollettino Tributario”, n.10/2003, pag.742. Gli autori citano, fra l’altro, un passo della sentenza n.3632 del 15 novembre 1983 della Commissione tributaria centrale che evidenzia la traferibilità della capacità di produrre reddito da parte del professionista, sia pure in maniera meno semplice rispetto all’impresa: “(nell’esercizio delle professioni) le capacità e le esperienze dei singoli esercenti hanno effetti economici ed influiscono sull’entità della clientela, ma non si separano mai dalla stima e dal prestigio di ciascun individuo e non possono automaticamente cedersi ad altro soggetto, se questi non ha identiche doti di coincidente natura e di uguale livello acquisite per suo conto”.

3 Cfr. sul punto il preciso e puntuale intervento di FIORDALISI, Negoziabilità indiretta della clientela professionale: dopo l’intervento normativo in materia tributaria, il riconoscimento della piena legittimità dell’operazione anche sul piano civilistico, in “Bollettino Tributario”, n. 12/2010, pag. 996.

4 Cfr. ANTICO, La tassazione dell’avviamento intellettuale nella cessione di uno studio professionale, in “Finanza&Fisco”, n. 34/2003 e ANTICO, L’acquisto del marchio da parte del professionista e le problematiche connesse, in “Consulenza”, 2006; ANTICO, D.L. n. 223/2006: la cessione della clientela e di elementi immateriali dell’attività artistica o professionale. Il punto della situazione, in “il fisco”, n. 30/2006, pag. 4665.

5 Si confronti E.Zanetti-A.Zappi, Profili fiscali della cessione dello studio professionale, in “il fisco”, n.31/2003, fasc.n.1, pag.4894, secondo i quali, in assenza di documentazione, “un valido criterio potrebbe essere quello di fare riferimento al valore normale dei beni strumentali nell’ambito della cessione dello studio professionale, al fine della valorizzazione di quella parte (non imponibile) del corrispettivo complessivo e, per differenza, ai fini della valorizzazione della parte (imponibile) del corrispettivo riconducibile al trasferimento dell’avviamento professionale. D’altro canto, tuttavia, in assenza di idonea documentazione probatoria e nel caso in cui a tale circostanza si unisca l’integrale deduzione del costo sostenuto dal professionista acquirente nel periodo di imposta del pagamento (comportamento che, implicitamente, esclude che la spesa sia stata sostenuta in relazione all’acquisto di beni strumentali per l’esercizio della professione), sembrerebbe ragionevole riconoscere all’Amministrazione finanziaria una presunzione di integrale riconducibilità del corrispettivo al valore di trasferimento dell’avviamento professionale, ossia ipotizzarne la natura imponibile in capo al cedente per l’intero ammontare percepito”. Presunzione chiaramente confutabile anche con altre presunzioni di segno opposto.

6 La risoluzione in esame richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, che nella sentenza n. 1889 del 21 luglio 1967, ha statuito che “non è titolare di azienda l’esercente di uno studio professionale…; conseguentemente, nel trasferimento o nella cessione di tale studio professionale, non può sussistere un valore di avviamento…“.

7 Rispondendo ad una serie di quesiti le Entrate, con la circolare n. 8/E del 13 marzo 2009 si sono occupati pure della problematica della cessione della clientela. Un professionista che opera in forma individuale e intende associare alcuni collaboratori, creando un’associazione professionale ai sensi della L. 1815/1939 e dell’art. 5, c. 2, lett. c) del T.U.I.R., ha chiesto di sapere se è soggetto all’art. 54, c. 1 quater del citato T.U.. Nel corpo del quesito l’istante precisa che, nella prassi, in questi casi agli associati non viene chiesto, all’atto della costituzione dell’associazione, il pagamento di alcun corrispettivo in denaro o in natura, né dal professionista, né dalla neocostituita associazione. Il fondo di dotazione dell’associazione è infatti rappresentato solo da apporti di denaro o beni materiali, necessari al funzionamento dell’associazione, effettuati dagli associati, senza comprendervi la clientela. Le quote di partecipazione agli utili dell’associazione sono determinate, di norma annualmente, dagli associati in funzione del contributo lavorativo di ciascuno di essi. All’atto dell’estinzione del rapporto associativo, all’associato o suoi eredi non spetta altro corrispettivo se non la quota di reddito del periodo d’imposta maturata alla data della cessazione del rapporto. Il contribuente ritiene, pertanto, che in assenza di corrispettivo (né in denaro, né in forma d’incremento del fondo di dotazione) per la “cessione della clientela”, non sussista alcun reddito imponibile in capo al professionista e quindi alcun costo deducibile per lo studio associato. Le Entrate, nel rispondere al quesito, prendono le mosse dal dettato normativo, cioè dal c. 1quater dell’art. 54 del T.U. n. 917/86, introdotto dall’art. 36, c. 29, del D.L. 04.07.2006, n. 223, conv. dalla L. 04.08.2006, n. 248. Avuto riguardo al caso di specie, per il quale non è prevista alcuna remunerazione per l’apporto della clientela, né al momento dell’adesione all’associazione né al momento dell’eventuale recesso, le Entrate ritengono “che non sussista materia imponibile da assoggettare a tassazione ai sensi del citato art. 54, co. 1-quater, del TUIR”.

8 Il caso sopra indicato ci offre lo spunto per introdurre un’ulteriore ipotesi: il giovane professionista che, dopo vari anni di gavetta, viene associato in un importante studio professionale associato, dove per entrare paga un compenso all’associazione, a titolo di avviamento, comprensivo di tutti i costi finora sostenuti dall’associazione.

A nostro avviso, il compenso in questione, percepito nell’esercizio della professione, quale bagaglio di esperienze e rapporti professionali, va tassato in capo all’associazione, quale componente positivo di reddito.

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