Prosegue l’analisi sul trattamento fiscale dei buoni pasto, equiparati ai compensi in denaro: normativa di riferimento e le diverse risoluzioni del Fisco, trattamento IVA, il problema IRAP.
Se non lo hai già fatto, leggi la 1° parte dell’approfondimento sul trattamento fiscale dei buoni pasto in cui spieghiamo definizioni e caratteristiche dei buoni pasto, delle società di emissione e degli esercizi convenzionabili clicca qui >>
Trattamento fiscale dei buoni pasto
Norma di riferimento art. 51 TUIR
L’art. 51, co. 1, Tuir, nel rispetto del principio di onnicomprensività che caratterizza il reddito di lavoro dipendente, stabilisce che:
“il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
Il successivo comma 2, lettera c) stabilisce che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente:
“le somministrazioni di vitto, da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all’importo complessivo di lire 10.240 (pari a 5,29 euro) le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione”.
I buoni pasto, rientrando tra le prestazioni sostitutive del servizio di mensa, non concorrono quindi alla formazione del reddito di lavoro dipendente, nel limite di euro 5,29 giornalieri, in quanto consentono ai dipendenti di fruire della somministrazione di alimenti e bevande, nonché della cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato.
Risoluzione 153/E del 15 dicembre 2004
La R.M. 153/E/2004 ha fornito chiarimenti in merito al trattamento tributario da applicare ai buoni pasto corrisposti dal datore di lavoro in assenza di pausa pranzo stabilendo che il dipendente fruisce del servizio mensa proprio per il fatto che deve osservare un orario di lavoro che comprende la pausa pranzo e quindi la fruizione di una pausa per il vitto è condizione necessaria ai fini della non concorrenza al reddito di lavoro dipendente del buono pasto.
Diversamente, qualora l’orario di lavoro non preveda la pausa pranzo, decade la condizione di esclusione dal reddito di lavoro dipendente, e quindi i buoni pasto corrisposti dal datore di lavoro concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (e anche della base imponibile contributiva) al pari degli altri compensi in natura percepiti.
Risoluzione n.118/E del 30 ottobre 2006
Con la R.M. 118/E/2006 ha cambiato orientamento con la conseguenza che anche i lavoratori subordinati a tempo parziale, la cui articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa pranzo, ove fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui all’art. 51, comma 2, lettera c), Tuir.
Le motivazioni che rendono non tassabile come reddito di lavoro dipendente le prestazioni di mensa o le prestazioni sostitutive (ticket restaurant) sono da ricercare nel fatto che la somma riconosciuta al lavoratore è data dal datore di lavoro prevalentemente nel suo interesse poiché, la mancanza di una mensa o di prestazioni sostitutive, produrrebbe una minore produttività del lavoratore costretto ad allontanarsi dal luogo di lavoro per consumare il pasto.
Utilizzo dei buoni
Il regime fiscale applicabile all’utilizzo dei buoni pasto (tickets restaurant) emessi da società intermediarie convenzionate con pubblici esercizi prevede che:
- il datore di lavoro iscriva in bilancio il corrispettivo dovuto alla società intermediaria, classificato nella voce B.7 “Costi della produzione per servizi” deducibili sia ai fini Ires che ai fini Irap;
- per i dipendenti, il valore facciale dei buoni pasti non concorre alla formazione del loro reddito per un importo massimo di euro 5,29 giornalieri, oltre tale cifra costituisce reddito di lavoro dipendente, quindi assoggettato ad imposizione.
La norma stabilisce che i buoni pasto devono essere utilizzati esclusivamente dai dipendenti ai quali vengono consegnati: si parla infatti di un utilizzo in via univoca, per la consumazione di un pasto nel corso di una giornata di svolgimento normale ed effettivo di lavoro.
Trattamento Iva
Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto occorre distinguere le due diverse prestazioni che la distribuzione di buoni pasto comporta, ovvero:
- consegna dei buoni pasto: la società intermediaria emette una fattura con aliquota al 4 per cento al datore di lavoro. Il valore facciale dei buoni pasto può essere inferiore, uguale o superiore al corrispettivo che il datore deve alla società intermedia e che rappresenta l’imponibile della fattura;
- somministrazione dei pasti: nel momento in cui i buoni pasto vengono ritirati dai pubblici servizi convenzionati con la società intermediaria, si da luogo a delle prestazioni di servizi che sono soggette all’aliquota Iva del 10 per cento.
L’imponibile, in questo caso è rappresentato dal valore facciale del buono pasto eventualmente diminuito dello sconto accordato dall’esercizio pubblico convenzionato con la società intermedia.
Per quanto riguarda la detrazione dell’Iva:
- l’aliquota applicabile alla cessione dei ticket da parte della società emittente al datore di lavoro è del 4 per cento, tale imposta è detraibile. La base imponibile dell’operazione è pari al prezzo fissato dalle parti, mentre il valore può essere diverso da quello facciale indicato sul buono pasto poiché il prezzo viene fissato sulla base di trattative commerciali;
- l’Iva applicata dal pubblico esercizio alla società emittente i buoni pasti, pari al 10 per cento, è detraibile per quest’ultima, che riceve dal pubblico esercizio una fattura la cui base imponibile è determinata applicando al valore del buono pasto l’eventuale sconto previsto contrattualmente e scorporando l’imposta in esso compresa.
Ai fini della certificazione vigono gli ordinari obblighi di emissione di scontrino o ricevuta fiscale, pertanto il pubblico esercizio dovrà rilasciare al cliente ricevuta o scontrino che dovrà riportare, oltre agli ordinari elementi previsti dalla legge, l’intero corrispettivo della prestazione e l’importo dei ticket ritirati che possono corrispondere a tutto o parte del corrispettivo.
Risoluzione n. 26 del 29 marzo 2010
Nella Risoluzione n. 26 del 29 marzo 2010 è stato posto un quesito in merito alla possibilità di considerare l’importo dei ticket restaurant eccedenti la soglia di euro 5,29, compreso nella franchigia di esenzione prevista per i fringe benefit.
Veniva in particolare chiesto all’Agenzia se fosse legittimo usufruire, per la quota del ticket eccedente i 5,29 euro, dell’agevolazione prevista dall’art. 51, comma 3, del Tuir, che concede l’esenzione da tassazione per i compensi in natura di importo non superiore a Euro 258,23 annui.
In altri termini, esemplificando, a fronte di un ticket riconosciuto al dipendente per euro 6,29 al giorno, si chiedeva conferma della possibilità di non tassare l’intero importo in quanto:
- fino ad euro 5,29 vige la specifica agevolazione prevista per i ticket dal comma 2 dell’art. 51 (e su questo non vi sono dubbi);
- per l’importo residuo di euro 1,00, risulta applicabile l’esenzione introdotta dal comma 3 per i compensi in natura, a condizione che la somma complessivamente riconosciuta non superi nel periodo di imposta i 258,23 euro.
Tale interpretazione non è stata accolta dall’Agenzia, la quale ha ribadito che l’importo eccedente il valore di euro 5,29 costituisce reddito da lavoro dipendente.
Buono pasto compenso in denaro
Viene infatti osservato che:
“l’evidenziazione del valore nominale porta a ritenere che i ticket restaurant non costituiscano erogazioni in natura”.
Ne consegue pertanto che non diviene applicabile alla fattispecie l’esenzione per l’importo annuo di euro 258,23 prevista per i fringe benefit, in quanto i ticket costituiscono erogazioni in denaro e non in natura.
La risposta data dall’Agenzia sull’assoggettamento a tassazione dell’importo che supera i 5,29 € risulta condivisibile.
Le perplessità giungono però sul considerare compenso in denaro il buono pasto.
Tale interpretazione contrasta infatti con i pareri dati in precedenza dall’Agenzia nelle risoluzioni:
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- n. 153 del 15 dicembre 2004,
- n. 118 del 30 ottobre 2006,
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dove l’Agenzia delle Entrate sosteneva che i buoni pasto fossero considerati compensi in natura.
Leggi anche: L’IVA nei servizi di mensa aziendale fruiti tramite buoni pasto
Problema Irap
L’interpretazione data può generare dei problemi ai fini della deduzione dall’Irap dei costi sostenuti per i buoni pasto.
Come noto, il documento Oic interpretativo n. 1 del principio contabile n. 12, classifica le spese in base alla loro natura e non alla loro destinazione, consentendo così la deducibilità dall’Irap di alcune tipologie di costi destinate al personale.
Tra gli altri, sono esposti tra i servizi (voce B.7) i seguenti oneri:
- prestazioni di personale esterno e altre prestazioni d’opera per mense aziendali ecc.;
- costi per mense gestite da terzi in base a contratti di appalto o di somministrazione o di altre forme di convenzione al netto dei costi addebitati ai dipendenti;
- costi di buoni pasto distribuiti ai dipendenti;
- costi per vitto e alloggio dipendenti in trasferta.
Ai fini Irap, pertanto, i costi sostenuti per i ticket distribuiti ai dipendenti sono oneri deducibili, in quanto classificati tra i servizi.
Tuttavia, qualora i buoni pasto dovessero essere considerati compensi in denaro, l’Amministrazione potrebbe contestarne la deducibilità, in quanto assimilati alle altre indennità in denaro, ricomprese nella voce B.9 (costi per il personale) e irrilevanti ai fini della determinazione della base imponibile Irap.
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8 luglio 2010
Antonio Gigliotti