La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte dopo il D.L. 78/2010

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, attraverso il quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce (con la reclusione da 6 mesi a 4 anni) colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte dirette o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645 alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.

 

Detta norma è stata oggi rivisitata dalla cd. Manovra correttiva (D.L.n.78 del 31 maggio 2010), che ha inasprito la formulazione ed aumentato le pene, prevedendo soglie di punibilità diverse, e nuove fattispecie delittuose.

 

 

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte 

Per l’Amministrazione finanziaria il reato si perfeziona con “la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione, e non anche l’effettiva verificazione dell’evento” (cfr. circolare n. 154/E del 4 agosto 2000 – punto 3.4.).

Il delitto contempla una condotta esclusivamente commissiva, consistente nell’alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il compimento di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui preordinati al fine di pregiudicare l’efficacia della riscossione coattiva.

L’art. 11, del D.Lgs. n. 74/2000 ha superato l’impostazione in base alla quale il reato era configurabile solo se il contribuente era stato in qualche modo posto in condizione di aspettarsi un’azione esecutiva da parte degli uffici tributari. Per il perfezionamento del reato, infatti, si richiede ora solo che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o anche parziale del Fisco.

La norma non mira a punire il mero inadempimento di un’obbligazione tributaria ma mira a sanzionare il compimento di attività fraudolente, finalizzate a far venire meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario.

E pertanto, non è corretta la tesi che esclude la configurabilità del reato per la mancanza di una procedura esecutiva in atto (resta fermo che la condotta incriminata presuppone l’esistenza di un credito d’imposta in misura non inferiore ad euro 51.645).

 

 

La posizione delle giurisprudenza

Sul punto va registrata la sentenza della Corte di Cassazione n. 14720 del 6 marzo 2008, depositata il 9 aprile 2008, ove i Giudici affermano che per la configurabilità del reato è necessario, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario) e una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva; la fattispecie si presenta diversa rispetto all’omologa contemplata dal vecchio art. 15 della legge n. 413/1991, in quanto a fronte della necessità della sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo specifico: fine di evasione) e della condotta materiale (attività fraudolenta), la nuova fattispecie non richiede che l’amministrazione finanziaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo, né la vanificazione della riscossione tributaria coattiva.

Di recente, la stessa Corte, con la sentenza n. 25147 del 17 giugno 2009 (ud. del 22 aprile 2009), ha affermato che l’alienazione di un bene immobile a terzi, costituiti in società, il cui legale rappresentante sia il coniuge convivente, è condotta idonea a configurare il reato previsto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000.

La Corte ribadisce, richiama e fa proprio l’orientamento ormai consolidato, secondo il quale,

“la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, (come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 40), in quanto – a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale rappresentata dall’attività fraudolenta – la nuova fattispecie, da un lato, non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva”.

Essendo un reato “di pericolo” e non più “di danno”, l’esecuzione esattoriale

“non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento vedi Cass.: Sez. 3′, 9.4.2008, n. 14720; Sez. 5′, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. 3′, 18.5.2006, n. 17071)”. “Nella vicenda in esame i giudici del merito hanno congruamente verificato la idoneità della condotta ad impedire, quanto meno parzialmente, il soddisfacimento del credito erariale (stante raffermata esiguità del valore dell’altro immobile di proprietà dell’imputato che non è stata smentita con elementi concreti in ricorso) e – quanto all’elemento soggettivo del reato – risulta che lo stesso imputato, già nell’anno *2000*, era perfettamente consapevole della sussistenza del proprio ingente debito fiscale ed aveva ritenuto di non avvalersi della possibilità di condono fiscale, perchè “finanziariamente impraticabile” per carenza di liquidità”.

 

Da ultimo, con sentenza n. 38925 del 7 ottobre 2009 (ud. del 10 giugno 2009) la Corte di Cassazione ha riconfermato il principio che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto e punito dall’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, ha natura di reato di pericolo. Conseguentemente, la fattispecie criminosa è perfezionata al verificarsi di atti simulati o fraudolenti idonei a rendere, in tutto od in parte, inefficace la riscossione coattiva dei tributi.

La stipulazione di atti, ivi compresa la costituzione di un fondo patrimoniale privo di giustificazione, nella prossimità temporale della notificazione di avvisi di accertamento o di atti impositivi deve ritenersi chiaramente sospetta, né l’utilizzo del prezzo per l’estinzione di debiti pregressi è circostanza sufficiente ad escludere la simulazione.

 

 

La fattispecie di reato dal 2010

Per effetto di quanto previsto dall’art. 29, c. 4, del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, il legislatore ha riscritto l’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.

La nuova formulazione risulta la seguente:

“è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

 

In pratica, sinteticamente, le novità sono le seguenti:

  • costituisce fattispecie di reato autonoma, essendo venuto meno l’inciso “salvo che il fatto costituisca più grave reato”;

  • doppia soglia di punibilità. Se infatti l’ammontare sottratto è superiore a 200 mila euro il carcere si fa più duro (da 1 a 6 anni)

 

Inoltre, l’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, viene arricchito di un secondo comma, che punisce,

“con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente e superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

 

La condotta consiste nell’indicazione nella transazione fiscale di elementi attivi inferiori a quelli effettivi ovvero di elementi passivi fittizi superiore a 50 mila €. Anche in questo caso, qualora gli elementi passivi fittizi sono superiori a 200 mila € il carcere si fa più duro.

 

21 giugno 2010

Roberta De Marchi