Il recesso del socio di SRL (Parte I)

Il rimborso della quota spettante al socio di una SRL a seguito di recesso comporta una stima del valore del capitale economico della società, sulla base di una serie di elementi ed informazioni, dei dati contabili storici, degli utili maturati nell’annualità in corso, del valore delle giacenze, dei debiti e dei crediti alla data di cessione.
Il caso viene illustrato da un esempio numerico…

1. Il recesso del socio di SRL: premessa

recesso del socioIl rimborso della quota spettante al socio di una S.r.l. a seguito di recesso comporta una stima del valore del capitale economico della società, sulla base di una serie di elementi ed informazioni di seguito indicate, ma, in particolare, dei dati contabili storici della società e, tenendo conto degli utili maturati nell’annualità ancora aperta, del valore delle giacenze, dei debiti e dei crediti alla data di cessione.

L’attività oggetto di valutazione riguarda quella di “Bar, alcolici e super alcolici (licenza di tipo “C”).

Il capitale sociale è di €.10.000,00 diviso fra tre soci (33,33%; 33,33%; 33,34%) e, come da statuto, tutti i soci si impegnano a prestare la loro opera a favore della società nell’ambito di un rapporto d’opera tra società e soci regolato da apposito contratto di lavoro.

Non vi sono dipendenti.

 

Per quanto riguarda il recesso del socio l’atto costitutivo prevede che, qualora un socio intendesse trasferire a qualunque titolo la propria quota, la determinazione del prezzo di cessione, qualora venissero contestate l’entità del prezzo di cessione e/o le condizioni della stessa, la loro determinazione verrà rimessa a un terzo arbitratore, scelto d’accordo tra le parti interessate tra gli iscritti nell’albo dei commercialisti, il quale stabilirà il valore della quota con i criteri stabiliti dall’art.2473 c.c.

I beni strumentali non sono di valore rilevante: (bancone frigorifero, macchina caffè, macchina ghiaccio, frigoriferi in comodato, pozzetto frigo, vetrina refrigerante, tavolo acciaio, forno microonde, fornetto elettrico, piastra panini, ecc.).

Nel caso esaminato la documentazione acquisita necessaria alla valutazione non è risultata esaustiva, in quanto la società ha iniziato la sua attività da nove mesi e, questo senza dubbio può comportare una maggiore difficoltà per la determinazione
del valore d’avviamento, che in genere si basa sui dati storici degli esercizi già chiusi (almeno degli ultimi tre esercizi).

In particolare, i documenti contabili a disposizione sono:

  • copia atto costitutivo;
  • copia registro beni ammortizzabili;
  • situazione contabile (S.P. e Conto economico) relativa all’annualità per la quale ancora non è stata presentata la dichiarazione annuale;
  • inventario delle giacenze alla data di cessione della partecipazione.

 

2. La cessione di partecipazioni sociali

La cessione di partecipazioni sociali costituisce un’alternativa all’ipotesi di cessione di azienda, rispetto alla quale presenta il vantaggio che si tratta di un contratto di compravendita avente come oggetto la cessione di quote (o di azioni) costituenti la partecipazione sociale senza dover modificare la struttura giuridica dei soggetti aziendali interessati alla cessione.

È chiaro che comporta, comunque, la valutazione dell’azienda sottostante e, quindi una trattativa fra le parti che è influenzata certamente da diversi fattori.

La cessione di partecipazioni non è espressamente prevista dal codice civile e, pertanto, il riferimento viene fatto agli artt.1470 e seguenti del codice civile in tema di contratti di vendita.

 

La cessione di quote di S.r.l. è disciplinata dagli artt.2468 e seguenti del c.c.

In particolare, l’art.2473 c.c. (Recesso del socio) individua le ipotesi di recesso, nonché le modalità per l’addivenire alla liquidazione del socio recedente ed i criteri che devono essere seguiti per la valorizzazione della partecipazione.

Il comma 3 prevede che “i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso.

In merito alla valutazione delle partecipazioni, l’art.2426 c.c. disciplina i Criteri di valutazione, in base al quale, al n.8), i Crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione; n.9), le Rimanenze sono iscritte al costo di acquisto o di produzione, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore.

 

 

3. Riclassificazione del conto economico

Per i fini in argomento, può essere redatto:

  • il Conto economico riclassificato relativo all’esercizio disponibile, che indica in forma scalare i ricavi e i costi delle seguenti fasi gestionali, per ottenere i risultati intermedi:
    1. dell’Utile lordo pari a 14.923,00;
    2. dell’Utile operativo pari a -14.129;
    3. del risultato finale (Utile o Perdita d’esercizio): -14.375,00.

 

 

1. La Gestione tipica evidenzia:

  •  i Ricavi derivanti dall’attività esercitata dall’azienda, costituiti dai corrispettivi registrati nel periodo considerato, al netto di sconti, abbuoni, resi e riduzioni (con indicazione separata se significativi o con compensazione diretta se non rilevanti), pari a 26.633;
  •  il Costo del venduto o delle merci destinati alla produzione dei servizi e, cioè, i costi di acquisto dei beni oggetto dell’attività esercitata sostenuti per conseguire i ricavi (tenuto conto del costo di acquisto dei beni destinati alla produzione o rivendita, delle Rimanenze iniziali e finali), pari a
    15.502 con una incidenza percentuale sui ricavi del 58%;

  •  l’Utile lordo/Percentuale di ricarico (rispettivamente, l’utile lordo ottenuto dalla differenza tra i ricavi ed il costo del venduto della gestione caratteristica dell’azienda e, la percentuale di ricarico ottenuta dall’incidenza percentuale del costo del venuto sui ricavi), primo risultato intermedio, che ci informa su quanto bene l’azienda ha saputo vendere, rispettivamente, pari a 14.923 e, con una incidenza percentuale di ricarico pari a 56%;
  •  gli Altri costi della gestione (Altre spese operative) pari a 29.052, che superano i ricavi di circa il 10%;
  •  l’Utile operativo (ottenuto diminuendo l’utile lordo delle altre spese operative) secondo risultato intermedio, che rappresenta l’utile della gestione tipica ed è il valore che meglio di ogni altro dà indicazioni sulla capacità dell’azienda di produrre reddito, perché essa prescinde dalla struttura finanziaria e da altri eventi economici straordinari ed estranei all’attività, pari a -14.129 e, con una incidenza percentuale negativa sui ricavi pari a -53%.

 

 

2. La Gestione finanziaria,

indica gli interessi attivi e passivi e ogni altro provento e onere finanziario dell’anno, ci informa su quale è stato il costo netto della struttura finanziaria, e quindi quanta parte dell’utile operativo ha remunerato il capitale di terzi. Nel caso in esame è pari a zero.

Se deducendo il costo della gestione finanziaria dall’utile operativo rimane un utile ancora adeguato, significa che l’impresa ha un buon equilibrio finanziario o, comunque, che l’apporto finanziario dei terzi è stato ben utilizzato dall’attività: in caso contrario l’azienda ha problemi finanziari.

 

3. La Gestione non caratteristica

raggruppa i proventi e oneri diversi da quelli della gestione caratteristica e finanziaria, che non hanno natura straordinaria (gestione di immobili civili non utilizzati nell’attività, dividendi e oneri delle partecipazioni, minusvalenze e plusvalenze patrimoniali, utili e perdite da eliminazione o realizzo di attività patrimoniali, minusvalenze e plusvalenze da valutazione, sopravvenienze e insussistenze attive e passive come risarcimenti di danni, multe e penalità, furti subiti, distruzione di beni, rimborsi o maggiorazioni di imposte).

Nel caso in esame è pari a zero.

 

4. La Gestione straordinaria

raggruppa i proventi e oneri eccezionali e quindi non attribuibili alle altre gestioni (minusvalenze e plusvalenze patrimoniali e sopravvenienze e insussistenze diverse da quelle della gestione caratteristica come rettifiche contabili per errori, effetti di variazioni di criteri contabili). Nel caso in esame è pari a zero.

 

5. La Gestione fiscale,

con riferimento alle imposte dirette (Irpef, Ires), risulta pari a 575.

 

In sintesi, in base ai dati disponibili, si ha:

conto economico riclassificato

(Vgs. Prospetto Conto Economico riclassificato allegato).

 

4. La valutazione della cessione d’azienda

La cessione d’azienda (o di ramo aziendale) è caratterizzata dallo scambio di un bene (l’azienda) con contropartita il pagamento di un prezzo.

L’art.2555 c.c. definisce l’azienda come “il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

Quindi, l’esercizio di un’azienda è attività dell’imprenditore, mentre l’azienda è costituita da un insieme di beni materiali (mobili, immobili, impianti, merci, automezzi, crediti, debiti, ecc.), ma anche immateriali (marchi, insegna, ditta, ecc.).

Non sono considerati beni i rapporti di credito e di debito regolati separatamente dagli articoli dal 2558 al 2560 c.c., nonché le prestazioni dei dipendenti (art.2112 c.c.).

L’atto di cessione d’azienda presuppone, come specificato dall’art.2558 c.c., il subentro da parte dell’acquirente, nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, salvo specifica e differente pattuizione.

Il processo di valutazione di un’azienda è inteso come la determinazione del valore del capitale economico in un certo momento.

Si tratta essenzialmente di abbandonare la logica della continuità aziendale, ex art.2423- bis c.c., per fermarsi ad osservare un momento straordinario della vita dell’impresa (es. fusioni, scissioni, scorpori, cessioni, ma anche ad opportunità offerte dalla normativa fiscale, quali rivalutazioni al fine del capital gain).

Da qui l’importanza di valutazioni corrette, anche se non possono definirsi oggettive in senso assoluto: se più periti si occupassero di valutare una stessa azienda probabilmente arriverebbero a risultati diversi, magari anche in modo sensibile.

Al fine di rendere omogenei, almeno nei metodi, i processi di valutazione la teoria aziendale ha elaborato una serie di metodi utilizzabili nelle valutazioni d’azienda:

  •  patrimoniale;
  • reddituale
  • misto;
  • empirico.

 

È chiaro che, ai fini di una corretta valutazione dell’azienda, il metodo di valutazione adottato deve tenere conto delle finalità che si perseguono:

  •  se lo scopo è quello di determinare il valore di un’azienda durante la sua ordinaria vita, la valutazione andrà effettuata nell’ottica della continuazione dell’attività (criterio di funzionamento);
  •  se lo scopo valutativo è quello di determinare il valore dell’azienda che deve essere cessata, la valutazione andrà effettuata nell’ottica del realizzo dei beni di cui si compone la stessa azienda (criterio di liquidazione);
  •  se lo scopo è quello di determinare il valore di un’azienda che sta per essere ceduta, la valutazione dovrà tenere conto anche di elementi che normalmente non toccano il soggetto economico (per tutti, i redditi prospettici) e andrà effettuata nell’ottica della continuazione dell’attività (criterio di funzionamento).

 

Quando si deve valutare l’azienda, non è quasi mai sufficiente valutare i singoli beni, in quanto occorre anche una valutazione dell’azienda intesa come entità, sulla base della sua capacità di produrre reddito (c.d. avviamento).

Sull’argomento dell’avviamento si è molto discusso sia in dottrina sia in giurisprudenza.

Per quanto riguarda la nozione di avviamento, si evidenzia l’evoluzione aziendalistica di questo termine, al fine di comprendere meglio il suo significato ed avere un punto di riferimento teorico per attribuirle un valore.

  •  in un primo momento è stato considerato come “Capitale immateriale”, cioè come valore del patrimonio.
  • Successivamente, secondo Fabio Besta, rappresenta un ulteriore elemento del patrimonio, distinto ed autonomo dagli altri.
  • In ultimo, secondo Gino Zappa esprime la capacità di reddito della coordinazione aziendale e l’avviamento viene considerato come previsione della futura redditività del complesso aziendale.
  • Attualmente l’avviamento è legato ad uno dei possibili metodi di valutazione del complesso aziendale.

 

Si evidenzia che manca una definizione legislativa dell’avviamento. Comunque, esso non costituisce un bene in sé autonomo, ma piuttosto una qualità dell’azienda nella prospettiva della sua astratta e futura capacità di produrre reddito.

L’avviamento si definisce come la capacità dell’azienda di conseguire redditi nel tempo.

“L’avviamento si sostanzia nell’attitudine dell’azienda a produrre, a beneficio dell’imprenditore, utilità economiche maggiori di quelle che sono in grado di produrre i singoli beni isolatamente considerati”

ed è ovvio, perciò, che a formarlo concorre un insieme di fattori oggettivi e soggettivi, quali la situazione locale in cui l’attività imprenditoriale si svolge, le relazioni con i fornitori, con i clienti, i collaboratori, ecc.

Secondo la Cassazione (Sent. 5/6/1968 n.2258) l’Avviamento sta ad indicare la potenzialità economica dell’azienda, cioè l’attitudine a produrre beni e servizi e ad attirare i clienti.

Per questi motivi, si può affermare che qualunque sia il metodo utilizzato per valutare l’avviamento, non può prescindersi dal tenere in debita considerazione le particolari caratteristiche della singola azienda e degli elementi che concorrono a formalo.

La differenza fra un’azienda di nuova costituzione e un’azienda avviata è da ricercarsi proprio nella possibilità di produrre risultati economici in conseguenza della collaudata organizzazione dei fattori della produzione nell’azienda stessa.

Di conseguenza, chi acquista un’azienda funzionante riconosce al cedente un valore di avviamento, che per l’acquirente altro non è se non il prezzo da pagare per evitare i rischi di insuccesso legati all’attività nuova, e il sostenimento dei costi di impianto.

Si ritiene opportuno sottolineare che malgrado tutto e per quanto ci si sforzi di utilizzare metodi di valutazione consolidati ed in un certo qual modo attendibili, la valutazione rappresenta pur sempre una stima, necessariamente frutto di elaborazioni e valutazioni soggettive che possono portare anche a risultati significativamente diversi fra loro anche se in ultima analisti il processo di valutazione deve, gioco forza, trovare un riscontro sul mercato.

Nelle piccole e medie aziende, è evidente che la componente predominante dell’avviamento è rappresentato dalle qualità soggettive del titolare (avviamento soggettivo), ciò che rende abbastanza difficile la sua quantificazione.

Sull’argomento leggi anche: Criteri di valutazione dell’avviamento

 

L’avviamento può essere positivo (c.d. goodwill) o negativo (badwill):
  •  L’avviamento positivo può essere definito quantitativamente come la differenza, a una certa data, tra il valore globale dell’azienda e la sommatoria algebrica dei valori correnti (attivi e passivi) che compongono il capitale aziendale.
  • L’avviamento negativo può essere definitivo quantitativamente come la diminuzione di valore del patrimonio di un’azienda che è in perdita, un valore che è inferiore al suo capitale economico.

Solo nel caso in cui la crisi aziendale sia un fenomeno non duraturo, o, comunque, con alte probabilità che la situazione si modifichi positivamente nell’arco di 3-4 anni raggiungendo buoni livelli di economicità, senza che sia stata pregiudicata la struttura patrimoniale e finanziaria, è possibile verificare la possibilità di quantificare un avviamento positivo.

La Cassazione, con sentenza n. 613/05, ha affermato che la circostanza che l’azienda abbia subito delle perdite negli esercizi precedenti la cessione non costituisce ragione sufficiente per escludere un valore di avviamento.

 

La scelta del metodo di valutazione dell’avviamento da seguire viene fatta nell’ottica di alcuni principi basilari:

  • obiettività, in base al quale la valutazione va effettuata senza alcuna considerazione personale, basandola solo su dati certi ed autonomi;
  • neutralità, in base al quale la valutazione deve prescindere dagli interessi delle parti, da arbitrarietà immotivate, da decisioni soggettive interessate, deve essere autonoma e generale. Occorre infatti sempre tenere a mente che la fase di determinazione del capitale economico deve essere tenuta nettamente distinta dalla fase di contrattazione del prezzo, posto che cosa ben diversa dal valutare il capitale economico è determinare il corrispettivo di cessione (su quest’ultima variabile influiscono infatti anche i rapporti personali che legano le parti);
  • razionalità, che impone che il perito faccia scaturire il valore di stima da un processo logico attendibile, oltre che compatibile con l’applicazione della formula teorica al caso concreto;
  • stabilità della stima, ossia dalla mancata influenza da parte di elementi mutevoli, nonché da situazioni eccezionali, così come da elementi generatori di oscillazioni di valore legati a fattori aleatori;
  • dimostrabilità, in base al quale il procedimento seguito per pervenire al valore della stima possa essere anche in futuro ripercorso da terzi.

 

12 giugno 2010

Antonino Pernice

 

Vai alla 2a parte dell’intervento, con l’esemplificazione della valutazione della quota >

 

 

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