nel caso di violazioni imputabili alla condotta del professionista incaricato alla presentazione della dichiarazione dei redditi, il contribuente non è tenuto al pagamento di sopratasse e pene pecuniarie se dimostra la responsabilità del professionista stesso
Nel caso di violazioni imputabili alla condotta del professionista incaricato alla presentazione della dichiarazione dei redditi, il contribuente non è tenuto al pagamento di sopratasse e pene pecuniarie se dimostra la responsabilità del professionista stesso.
Quanto precede è contenuto nella sentenza n. 25136 depositata il 30 novembre 2009 della Corte di Cassazione da cui emerge che il contribuente, che affida l’incarico al professionista, non è sempre responsabile della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi allorché dimostra che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto addebitabile esclusivamente al professionista a cui lo stesso ha affidato la tenuta della contabilità.
La legge 11 ottobre 1995. n. 243, recante disposizioni in materia di sanzioni e pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento, prevede all’art. 1 che la riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie è sospesa per il contribuente o il sostituto di imposta nel caso in cui la violazione sia addebitabile alla condotta illecita del “professionista”.
Con l’emanazione di detto provvedimento il legislatore ha inteso tutelare il contribuente nel caso in cui il professionista non adempia a quanto dovuto non versando le somme ricevute per i versamenti.
Ove il professionista sia condannato e la sentenza passi in giudizio, si realizza uno sgravio a favore del contribuente e una conseguente sanzione a carico del consulente.
Successivamente la legge n. 449 del 1997 (artt. 25 e 26) ha ampliato la sfera di tutela a favore dei contribuenti truffati.
Nella fattispecie in esame l’ufficio finanziario notificava al contribuente un avviso di accertamento con cui contestava l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per una pregressa annualità ed accertava il reddito imponibile, irrogando le relative sanzioni.
Il contribuente impugnava detto avviso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale e, pur ammettendo una propria parziale responsabilità, eccepiva che la responsabilità era da imputare alla professionista incaricata dallo stesso che non aveva provveduto a presentare la dichiarazione dei redditi né a versare le relative imposte.
I giudici di prime cure accoglievano parzialmente il ricorso, determinando il reddito imponibile e dichiarando non dovute le sanzioni.
La Commissione tributaria regionale confermava la decisione di primo grado avverso la quale l’ufficio finanziario ha proposto ricorso per Cassazione, eccependo che la sentenza impugnata non avrebbe motivato in ordine all’esclusione delle sanzioni in quanto la legge n. 423 del 1995 prevede che il contribuente, il sostituto e il responsabile di imposta non sono punibili, qualora dimostrino che il mancato pagamento del tributo sia ascrivibile alla condotta di terzi, denunciati, per tale motivo, all’autorità giudiziaria.
I giudici di legittimità hanno ritenuto, avallando un costante orientamento giurisprudenziale (1), il dettato normativo di cui all’art. 1 della legge n. 423 del 1995, opera esclusivamente ai fini della riscossione, per cui ricorrendo violazioni riferibili alla condotta penalmente rilevante del professionista, può essere disposta la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie che risultano a carico del contribuente.
Quanto contenuto nella suddetta norma non osta a che, in sede contenziosa, la non punibilità del contribuente presupponga la dimostrazione del fatto che il pagamento non è stato eseguito per esclusiva responsabilità del professionista denunciato all’autorità giudiziaria.
Gli stessi giudici hanno ritenuto, altresì, che il disposto dell’art. 167 Cpc, attesa comunque la presentazione di una denuncia del contribuente nei confronti del professionista, che impone al convenuto l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la mancata contestazione un comportamento rilevante i cui effetti devono essere valutati dal giudice, il quale deve astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato acquisito come documento processuale, ritenendolo comunque sussistente atteso che non è carico della parte. Il difetto di contestazione si collega con il potere di allegazione dei fatti costitutivi del diritto ovvero con la’ssunto che l’identificazione del tema decisionale dipende dall’allegazione e dall’estensione delle contestazioni (Cfr. Cass. n. 5356 del 2009; Cass, SS.U., n. 761 del 2002).
Anche nel giudizio tributario, connotato come quello civile dalla necessità della difesa tecnica e dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili, è applicabile il principio generale di non contestazione che caratterizza il sistema processuale civile che trova fondamento nella natura dispositiva del processo, nonché negli articoli 167 e 416 Cpc (recante la disciplina sulla costituzione del convenuto) e dell’art. 88 Cpc che impone alle parti, attraverso il rispetto del dovere di lealtà e probità, di limitare la materia effettivamente controversa (2).
Relativamente al grado di autonomia raggiunto dalla giurisdizione tributaria, non solo rispetto al processo civile ma anche amministrativo, si ricorda il contenuto della legge n. 69 del 2009 che esplica i suoi effetti anche sul processo tributario. In particolare, l’art. 59 recante la disciplina in materia di decisione di giurisdizione, riconosce un livello di equiparazione tra i processi, affermando la unitarietà dell’azione attraverso le diverse giurisdizioni: infatti il giudice, competente nei predetti ambiti giurisdizionali, ivi compreso quello tributario, può dichiarare il proprio difetto di giurisdizione rinviando al giudice nazionale munito di giurisdizione.
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Enzo Di Giacomo
21 Dicembre 2009
(1) Cfr. Cass 20 dicembre 2007, n. 26850; n. 17578 del 2002.
(2) Cass. 24 gennaio 2007, n. 1540. L’onere di contestazione, che si traduce anche nel dovere del giudice di non valutare la prova del fatto non contestato, impone ad entrambe alle parti di collaborare sin dall’inizio a circoscrivere la materia controversa, senza atteggiamenti ostruzionistici o anche solo negligenti.