Lo scudo fiscale blocca gli accertamenti tributari

Alla luce della circolare dell’Agenzia Entrate n. 43/E del 10/10/2009 analizziamo gli effetti che produce il rimpatrio e la regolarizzazione.

La recente ridefinizione della normativa volta a consentire l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero da soggetti residenti in Italia (cosiddetto “scudo fiscale”), introdotta con l’art. 13-bis del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, in sede di conversione dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141, rappresenta, per tutti coloro che hanno esportato o detenuto all’estero capitali e altre attività in violazione dei vincoli valutari e degli obblighi tributari, una importante occasione per regolarizzare la propria posizione fiscale.

La normativa è indirizzata alle persone fisiche e agli altri soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato che, anteriormente al 31 dicembre 2008, hanno esportato o detenuto all’estero capitali e attività in violazione dei vincoli valutari e degli obblighi tributari sanciti dalle disposizioni sul cosiddetto “monitoraggio fiscale” – vale a dire dalle norme contenute nel decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, comprese quelle relative al trasporto al seguito ora contenute nell’art. 3 del decreto legislativo 19 novembre 2008, n. 195 – nonché degli obblighi di dichiarazione dei redditi imponibili di fonte estera.

In sostanza, attraverso il cosiddetto “rimpatrio” o la cosiddetta “regolarizzazione” è consentito far emergere denaro e attività di natura finanziaria e patrimoniale.
La regolarizzazione è consentita esclusivamente nel caso in cui le attività siano detenute in Paesi dell’Unione Europea, nonché in Paesi aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE), che consentono un effettivo scambio di informazioni in via amministrativa.
L’emersione delle predette attività non determina la regolarizzazione degli illeciti di qualsiasi altra natura: restano fermi i presidi ordinamentali e le relative sanzioni contenute nella disciplina dell’antiriciclaggio, nonché in materia di reati, ad eccezione di quelli legati all’infedele o all’omessa dichiarazione dei redditi.

Lo scarno dettato legislativo fa espresso rinvio agli artt. 11, 13, 14, 15, 16, 17, 19, commi 2 e 2-bis, 20, comma 3, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, e successive modificazioni, e al decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, demandando al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate – appena approvato – le relative disposizioni di attuazione e gli adempimenti anche dichiarativi.

Alla luce della diffusione definitiva della tanto attesa circolare dell’Agenzia delle Entrate – n. 43/E del 10 ottobre 2009 – analizziamo, in questo nostro intervento, gli effetti che produce il rimpatrio e la regolarizzazione.

EFFETTI DEL RIMPATRIO E DELLA REGOLARIZZAZIONE

L’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria produce gli effetti di cui agli artt.  14 e 15 del D.L. n. 350 del 2001 e rende applicabili le disposizioni di cui all’art.17 del medesimo decreto: inibizione dei poteri di accertamento dei competenti uffici in materia tributaria e previdenziale, nonché estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali relative alle disponibilità delle attività emerse.

In particolare, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio o regolarizzazione, è inibita l’attività di accertamento tributario e contributivo relativa ai periodi d’imposta che hanno termine al 31 dicembre 2008.

Ciò vale non soltanto per le attività esportate dall’Italia, ma anche per quelle comunque costituite direttamente al di fuori del territorio dello Stato, a fronte, per esempio, del conseguimento di un reddito erogato all’estero.

La circolare appena diramata precisa che “ la preclusione dell’attività di accertamento si riferisce in ogni caso a presupposti verificatisi fino al 31 dicembre 2008”.

E’ altresì preclusa l’attività di accertamento nei confronti dei soggetti obbligati in via solidale con il contribuente (quali, ad esempio, gli eredi e i donatari).

La norma, infatti, estende la preclusione degli accertamenti anche ai predetti soggetti se e in quanto tenuti all’obbligazione tributaria in dipendenza degli imponibili accertati in capo al contribuente che ha presentato la dichiarazione riservata.

Gli effetti della dichiarazione riservata non si producono automaticamente nei confronti di soggetti che detengono attività all’estero in comunione con altri soggetti qualora soltanto questi ultimi abbiano effettuato le operazioni di emersione.

A tal fine, occorre che ciascuno dei soggetti interessati presenti una distinta dichiarazione di emersione per la quota parte di propria competenza.

Nel caso in cui la dichiarazione riservata sia stata presentata dagli eredi, essi godono della preclusione degli accertamenti tributari relativi ai redditi del de cuius per i quali sono solidalmente obbligati.
Tuttavia, in caso di rimpatrio, le attività non godono della riservatezza in capo agli eredi.

Gli accertamenti sono preclusi anche con riferimento a tributi diversi dalle imposte sui redditi, sempreché si tratti di accertamenti relativi ad “imponibili” che siano riferibili alle attività oggetto di emersione.

A tal fine la circolare n. 43/2009 precisa che “ la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, anche astrattamente, ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite all’estero oggetto di rimpatrio. Conseguentemente, l’effetto preclusivo dell’accertamento può essere opposto, ad esempio, in presenza di contestazioni basate su ricavi e compensi occultati”.

Viene confermato che l’effetto preclusivo dell’accertamento può altresì essere opposto anche nei confronti di accertamenti di tipo “sintetico”, come nell’ipotesi di contestazione di un maggior reddito complessivo riferibile anche astrattamente alle attività oggetto di emersione.

Per converso, gli effetti della dichiarazione riservata non possono essere fatti valere a tali fini qualora l’accertamento abbia ad oggetto elementi che nulla hanno a che vedere con attività per le quali si è usufruito del regime di emersione, come nel caso, ad esempio, di rilievi sulla competenza di oneri e in altre ipotesi in cui non

possa configurarsi in astratto una connessione tra i maggiori imponibili accertati e le attività emerse.

La circolare definitiva conferma quanto già aveva indicato in bozza: il contribuente che intende opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi ed estintivi delle operazioni di emersione deve farlo in sede di inizio di accessi, ispezioni e verifiche ovvero entro i trenta giorni successivi a quello in cui l’interessato ha formale conoscenza di un avviso di accertamento o di rettifica o di un atto di contestazione di violazioni tributarie, compresi gli inviti, i questionari e le richieste di cui agli articoli 51, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e all’articolo 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

La speciale “copertura” assicurata dalle operazioni di emersione opera – fino a concorrenza degli importi esposti nella dichiarazione riservata – sui maggiori imponibili accertati, rappresentati dalle somme o dalle attività rimpatriate o regolarizzate. In tal caso, gli organi di accertamento determinano l’eventuale maggiore imposta dovuta su un ammontare pari alla differenza tra l’importo che sarebbe stato imponibile in assenza delle operazioni in questione e quello del denaro e delle altre attività dichiarate. L’eventuale eccedenza dell’importo rimpatriato o regolarizzato rispetto a quello accertato può essere utilizzato, fino a concorrenza, a copertura di maggiori imponibili accertati in occasione di successivi ulteriori accertamenti, sempreché sussista l’astratta riferibilità tra i maggiori imponibili accertati e le attività emerse.

Una ulteriore precisazione viene fornita in sede definiti vita dagli estensori del documento di prassi: con riferimento alle operazioni di emersione effettuate dalle imprese estere controllate o collegate di cui agli articoli 167 e 168 del TUIR, si fa presente che gli importi regolarizzati o rimpatriati dalle CFC producono l’effetto di copertura in capo al partecipante nei limiti della quota da questi detenuta nella società. L’importo così determinato copre anche i redditi conseguiti dalla CFC imputabili per trasparenza al partecipante stesso.

Le cause ostative

Ai sensi del comma 4 dell’art. 13-bis del decreto (che richiama gli articoli 14 e 15 del decreto legge n. 350 del 2001), le operazioni di emersione non producono gli effetti previsti qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, la violazione sia stata già constatata ovvero siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo nei confronti del contribuente ovvero siano stati emanati nei confronti del medesimo avvisi di accertamento o di rettifica o atti di contestazione di violazioni tributarie, compresi i predetti inviti, questionari e richieste.

Affinché vi sia un effetto preclusivo alla regolarizzazione, gli atti menzionati devono essere stati debitamente notificati.

In tal caso le operazioni di emersione non producono effetti solo con riferimento all’anno o agli anni ai quali si riferisce l’attività di controllo e quindi non possono operare a copertura dei maggiori imponibili eventualmente accertati.

Tuttavia, tali effetti possono essere opposti qualora per lo stesso anno l’Amministrazione finanziaria abbia successivamente avviato un’ulteriore attività di controllo”.

A tali fini, occorre tener presente che non deve essere considerata una causa ostativa alla produzione degli effetti dell’emersione la comunicazione derivante dalla liquidazione delle imposte in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti, effettuata dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 36-bis

del D.P.R. n. 600 del 1973, né quella derivante dal controllo formale delle medesime dichiarazioni a norma dell’articolo 36-ter dello stesso decreto.

L’avvio di un’attività di controllo nei confronti di una società di persone e di un soggetto ad essa equiparato (associazione) preclude la produzione degli effetti dello scudo fiscale in capo al socio/associato relativamente ai redditi della società imputabili a quest’ultimo ai sensi dell’articolo 5 del TUIR.

Non è ravvisabile alcuna causa ostativa qualora il socio/associato rimpatri o regolarizzi, successivamente all’inizio di un’attività istruttoria nei confronti della società/associazione, attività personali detenute o costituite all’estero non correlabili ai redditi che gli derivano per trasparenza dalla società/associazione.

Relativamente alla disponibilità delle attività dichiarate, il pagamento dell’imposta straordinaria produce anche l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie e previdenziali, comprese quelle speciali contenute nell’art. 5, comma 1, del decreto legge n. 167 del 1990, nonché nell’art. 9 del decreto legislativo n. 195 del 2008.

La segretezza

Gli intermediari che ricevono le dichiarazioni riservate non devono fornire all’Amministrazione finanziaria i dati e le notizie relativi alle stesse, né al momento dell’operazione, né successivamente in sede di accertamento.

Inoltre, gli intermediari non devono comunicare all’Amministrazione finanziaria i dati e le notizie inerenti ai conti di deposito che accolgono il denaro e le attività finanziarie rimpatriate. Non devono essere altresì comunicati i dati relativi ai conti di sub deposito nei quali sono immessi denaro e attività finanziarie rimpatriate dal contribuente per il tramite di altri intermediari finanziari che sono impossibilitati a gestire direttamente i conti relativi all’attività svolta a favore della propria clientela.

Su tali conti, tuttavia, potranno essere depositati esclusivamente le attività rimpatriate di cui alle dichiarazioni riservate prodotte dai contribuenti interessati, restando escluso qualunque ulteriore accredito, tranne quello riguardante somme derivanti dall’alienazione delle attività rimpatriate, fino a concorrenza dell’importo

indicato nella dichiarazione riservata e salvo quanto chiarito di seguito in ordine agli atti di disposizione delle attività rimpatriate. Tale condizione, naturalmente, va verificata confrontando il corrispettivo di cessione delle attività finanziarie con l’ammontare complessivo delle attività rimpatriate.

Allo stesso modo, entro il predetto limite, l’Agenzia delle Entrate ritiene che potranno essere accreditate le attività finanziarie acquisite dall’interessato con l’utilizzo del denaro rimpatriato o derivante dall’alienazione delle attività rimpatriate ovvero anche tramite operazioni di permuta dei titoli rimpatriati. Le attività finanziarie in tal modo acquisite devono essere valorizzate secondo i criteri ordinariamente applicabili ai fini dell’attribuzione del costo fiscalmente riconosciuto alle partecipazioni, titoli e agli altri strumenti finanziari suscettibili di produrre redditi diversi di natura finanziaria.

Il regime della riservatezza dei predetti conti si ritiene applicabile, oltre l’importo indicato nella dichiarazione riservata, anche ai redditi di capitale e alle plusvalenze derivanti dal denaro e dalle attività finanziarie rimpatriate realizzati anche successivamente al perfezionamento dell’operazione di emersione, a condizione che si tratti di proventi assoggettati a tassazione definitiva (ritenute alla fonte a titolo d’imposta o imposta sostitutiva) da parte dell’intermediario depositario. Con riferimento, invece, ai redditi sottoposti a ritenuta d’acconto, il regime della riservatezza riguarda esclusivamente i redditi conseguiti fino alla data di presentazione della dichiarazione riservata sempreché il contribuente abbia esercitato l’opzione di cui all’art. 14, comma 8, del decreto legge n. 350 del 2001.

In caso di trasferimento tra intermediari del denaro e delle altre attività finanziarie oggetto di rimpatrio, rimane fermo il regime della riservatezza, sempreché il nuovo rapporto sia intestato al medesimo contribuente.

L’intermediario che effettua il trasferimento deve rilasciare apposita comunicazione al successivo intermediario al fine di attestare l’ammontare per il quale vige il regime della riservatezza cui è tenuto l’intermediario che riceve il trasferimento a decorrere dalla data di ricezione della comunicazione.

A fronte dell’inibizione dei poteri di controllo, rimangono valide le cautele volte ad evitare che gli intermediari e, tramite questi, gli stessi contribuenti possano utilizzare le disposizioni di deroga per ostacolare i controlli dell’Amministrazione con riferimento ad informazioni diverse da quelle riguardanti le operazioni di rimpatrio: qualora l’intermediario non si limiti a garantire la riservatezza dei dati e delle notizie con riferimento esclusivamente alle operazioni di emersione, lo stesso è tenuto a fornire all’Amministrazione finanziaria non solo i dati relativi alle predette operazioni ma anche quelli inerenti ad operazioni diverse.

Relativamente alle attività oggetto di rimpatrio e di regolarizzazione, i contribuenti che abbiano presentato la dichiarazione riservata sono esonerati dall’obbligo di indicare le medesime attività nella dichiarazione dei redditi (modulo RW) relativa al periodo d’imposta in corso alla data di presentazione della dichiarazione riservata.

Ulteriori inibizioni

L’effettuazione delle operazioni di emersione consente di evitare, in caso di successivo accertamento della detenzione di attività all’estero in violazione degli obblighi di segnalazione previsti dalla disciplina sul “monitoraggio fiscale”, la presunzione introdotta dal citato articolo 12 del decreto in base alla quale gli investimenti e le attività finanziarie detenute in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato si considerano costituiti mediante redditi sottratti ad imposizione in Italia.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 13-bis del decreto, le operazioni di emersione non costituiscono elemento utilizzabile a sfavore del contribuente in ogni sede amministrativa o giudiziaria, civile, amministrativa ovvero tributaria, in via autonoma o addizionale.

Restano esclusi i procedimenti in corso al 4 ottobre 2009, data di entrata in vigore del cd. Correttivo.

Ai soli fini tributari, tale divieto vale con riferimento non solo ai procedimenti direttamente riferibili al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al contribuente stesso in qualità di dominus.

Secondo l’esempio delle Entrate, le operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione effettuate dal dominus di una società di capitali non possono essere utilizzate ai fini dell’avvio o nell’ambito di un’attività di controllo fiscale nei confronti della medesima società.

Allo stesso modo le operazioni di emersione non determinano accertamenti nei confronti dei soggetti interposti attraverso i quali il contribuente ha detenuto all’estero le attività rimpatriate o regolarizzate.

Si tratta, in definitiva, di una disposizione che non agisce sul piano degli effetti dell’emersione, disciplinati dal comma 4 dell’articolo 13-bis del decreto e in precedenza esaminati, ma che mira ad evitare che lo scudo possa essere utilizzato a sfavore del contribuente ai fini dell’accertamento di violazioni tributarie per le quali non valgono gli effetti dello scudo stesso.

11 ottobre 2009

Roberta De Marchi