La legittimità della presunzione di distribuzione di utili occulti

la legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria è ormai consolidata, pur se per le società di capitali vige la netta separazione tra la società e i singoli soci

distribuzione di utili in neroN.B. sull’argomento ti segnaliamo anche il recente Società di capitali a ristretta base associativa: presunzione di distribuzione di utili extracontabili e onere della prova
    

 

     La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria è ormai consolidata, pur se per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci.

          Gli uffici finanziari, nel corso di questi anni,  non hanno mancato di rilevare che la separazione tra la posizione della società di capitali e quella dei soci non può costituire un muro invalicabile, per le società a ristretta base azionaria e/o familiare, quando risulti acclarata l’esistenza di maggiori utili, derivanti magari da ricavi non contabilizzati, e percepiti fuori bilancio.

          La giurisprudenza della Corte di Cassazione si ormai consolidata, aderendo alle tesi degli uffici. Partendo dall’ultimo pronunciamento di questi giorni, offriamo al Lettore una carrellata delle sentenze più significative.

 

 

Il pronunciamento della Cassazione in tema di presunzione di distribuzione di utili extracontabili

          Con sentenza n. 17358 del 24 luglio 2009 (ud. del 5 febbraio 2009) della Corte di Cassazione, i giudici prendendo atto del dato oggettivo da cui è partito l’ufficio – riscontro di utili non contabilizzati, derivanti dall’attività di  impresa di una società a ristretta base sociale – ne hanno dedotto che tali utili si dovessero presumere distribuiti ai soci, cui incombeva semmai la prova della  loro diversa destinazione.

 

          A fronte di ciò, la Corte ha rilevato che tale impostazione trova riscontro nella giurisprudenza pregressa,

“secondo cui nel caso di una società di capitali, pur non sussistendo – a differenza di quanto previsto per le società di persone – una presunzione legale di distribuzione dell’utile ai soci, l’appartenenza della società  ad una stretta cerchia  familiare  può  costituire,  sul  piano  degli  indizi, elemento di prova  dell’avvenuta  distribuzione degli  utili  in  questione (Cassazione civile sezione 5^, n. 2390  del  3  marzo 2000,  cfr.  altresì Cassazione civile, sezione 5^, n. 3254 del 20 marzo 2000  secondo  cui,  in tema di accertamento delle imposte sui  redditi, nel caso di società  di capitali a ristrettissima base familiare, pur non sussistendo – a differenza delle società di persone – una presunzione legale di  distribuzione  degli utili  ai soci,  non può considerarsi  illogica –  tenuto conto della complicità, che  normalmente  avvince  un  gruppo  così  composto – la presunzione semplice di distribuzione degli utili  extracontabili ai soci)”.

 

  Pertanto, una volta stabilito che la titolarità delle azioni e l’organizzazione aziendale sono concentrate in una stretta cerchia familiare, il giudice di merito non può escludere la distribuzione ai soci di utili non contabilizzati, limitandosi ad enunciare l’inapplicabilità dell’art. 5 del T.U. n. 917/86 (cfr. Cassazione  civile,  sezione 5^, n. 4695 del 2 aprile 2002).

          Inoltre, nel caso specifico, la C.T.R. non attribuisce rilevanza risolutiva al giudicato formatosi nei confronti della società ma  ha riscontrato piuttosto che il contribuente non ha fornito una prova che potesse smentire la realizzazione di utili non contabilizzati da parte della  società né comprovare la diversa destinazione degli utili in questione in presenza di una ristrettezza della base sociale.

          Il diverso regime giuridico delle società di capitali comporta (cfr.  Cassazione civile, sezione 5^, n. 18640 dell’8 luglio 2008)  che, a fronte della   legittimità della presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati,  rimane 

“salva  la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati,  invece, accantonati  dalla società ovvero da  essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso  con  perdite  contabili   né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che  non  esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando né accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci”.

 

 

I precedenti giurisprudenziali

          La legittimità di tale interpretazione presuntiva – imputazione in capo ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società – in presenza di società a base familiare, o comunque a ristretto azionariato, è stata ritenuta legittima dalla Corte di Cassazione con sentenza 19.2.1990, n. 11785.

          La Corte di Cassazione ha affermato che la ristretta base azionaria costituisce, da sola, la prova presuntiva di distribuzione degli utili ai soci, capovolgendo così l’onere della prova.

          Fra le altre, la Cassazione con sentenza n. 4695 del 18.10.2001, depositata il 2.4.2002, ha confermato che la ristretta base familiare di una società di capitali può costituire il fatto noto che consente all’ufficio di risalire, in via di presunzione, a quello ignorato della distribuzione ai soci del maggior utile non contabilizzato.

          A distanza di pochi anni (1) – sempre la Cassazione – sentenza n. 21573 del 23 giugno 2005 (dep. il 7 novembre 2005) – ha affermato che qualora il socio di una società a  ristretta  base  azionariadeduca di aver presentato denuncia penale contro l’amministratore, sul  cuiconto personale sono stati rinvenuti gli utili  occultati,  il  giudice  dimerito deve valutare se questi elementi indiziari siano tali da vincere  lapresunzione secondo cui gli utili occulti di una società a  ristretta  baseazionaria vengono percepiti dai soci.

 

          Per la Corte, l’imputazione si basa su di una regola di esperienza secondo  cui nelle società di capitali in cui  i  partecipanti  costituiscono  ungruppo ristretto, spesso legato da vincoli più o meno stretti disolidarietà familiare, nella normalità  dei  casi, si può ragionevolmenteritenere che gli utili occultati siano stati distribuiti proporzionalmenteai singoli soci così come avviene per tutti gli utili nelle società dipersone, per i quali il principio dell’imputabilità dei profitti ai sociindipendentemente dalla loro effettiva percezione è sancitolegislativamente.

          La Corte si sofferma pure sul peso della quota in rapporto ai vincoli di parentela, così che non appare corretta la valutazione del contribuente secondo cui un socio che detenga il 12,5 % del capitale sociale non poteva essere considerato socio di una compagine a ristretta base sociale, dal momento che in realtà i soci erano cinque in tutto, e due  fratelli  insieme detenevano il 25 per cento del capitale.

In ordine al procedimento presuntivo utilizzato, gli estensori della sentenza evidenziano che siamo in presenza di una presunzione semplice, provvista certo di una propria validità di fondo, ma basata sostanzialmente sull’id quod plerumque accidit.

E la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli  utili non contabilizzati di una società di capitali, a ristretta base azionaria (nel caso di specie, con due soci: marito e moglie), non viene meno per  il fatto che, in sede penale, sia stato accertato che il  socio di minoranza (la moglie)  non  aveva  partecipato  alla gestione aziendale, semmai avrebbe potuto assumere rilievo una controversia civile promossa contro l’amministratore ex art. art. 2392 del codice civile (così si esprime la Cassazione con la sentenza 26.10.2005,  n.  20851).

 

 

 

          Ulteriori sentenze emesse:

  • con la sentenza n. 11724 del 6.4.2006, dep. il 18.5.2006, la Suprema Corte ha affermato che costituisce ius receptum, nella giurisprudenza   di legittimità, il principio secondo il quale nell’accertamento di  maggior base imponibile a carico di una società di capitali  a  ristretta base azionaria non occorre una prova specifica dell’attribuzione al socio degli utili non contabilizzati, operando una presunzione relativa di ripartizione pro quota superabile dal contribuente tramite prova  contraria e con la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati   accantonati  ovvero reinvestiti; secondo la Corte, ‹‹non vi è motivo per discostarsi da tale orientamento giurisprudenziale nel caso di specie, così che la sentenza impugnata, che  ad esso non si è  uniformato  senza  convincente motivazione, deve essere cassata, con rinvio della controversia ad altra Sezione  della  Commissione tributaria regionale del Lazio,  affinché  la  lite  sia  decisa  facendosi corretta applicazione del principio di diritto innanzi ribadito ››;
  • con la sentenza n. 25689 del 26.10.2006 (dep. il 4.12.2006) la Corte di Cassazione, nel riconfermare l’indirizzo, lo estende – di fatto – anche in relazione ai proventi illeciti.Per la Cassazione, ‹‹gli accertamenti  tributari  di  cui  è  causa traggono origine da evasione di imposta su vendite di prodotti petroliferi effettuati dalla società partecipata senza contabilizzazione nei libri sociali e dunque di attività di occultamento di ricavi messi in atto dalla stessa società.Non è perciò pertinente il  richiamo a redditi che deriverebbero dall’attività  delittuosa  compiuta  solo  da  taluni  soci che non si rifletterebbe sulla posizione degli altri ››;
  • con la sentenza n. 10982 del 3.4.2007, dep. il 14.5.2007, la Corte, una volta acclarata la presunzione secondo cui nelle  società  di capitali a ristretta base sociale i redditi occulti siano stati  distribuiti fra i soci, ne discende l’obbligo per la società di provvedere  anche  alle ritenute alla fonte su tali redditi. Del resto, prosegue la Corte, ‹‹ex art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 597/1973 i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita  semplice, che  hanno nel territorio dello stato la  sede  legale  o  amministrativa o  l’oggetto principale dell’attività, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione,   proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. E nella  specie  si  tratta  appunto di redditi accertati nei confronti  della  società  resistente a seguito di maggior redditi accertati in capo a società in accomandita semplice  di  cui  la  F. resistente era compartecipe in varia misura››”; la Corte richiama precedenti pronunce – tra le quali la n. 16885/2003 –  in cui si è osservato che in tema  di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria ovvero a base familiare, pur non  sussistendo – a differenza  di  una  società  di persone – una presunzione   legale   di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi  illogica – tenuto conto della complicità che normalmente avvince un gruppo così composto – la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci. Lo stesso principio è affermato dalla Cassazione nella sentenza del 16.5.2002, n. 7174, la quale, nel caso di società a ristretta base azionaria, ha ritenuto ammissibile la presunzione  di  distribuzione ai  soci degli utili non contabilizzati, presunzione che non  viola, in ogni caso, il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti  della  società,  ma dalla ristrettezza della base sociale e dal  vincolo  di  solidarietà e di reciproco controllo dei soci.  Nello stesso senso, Cass. 3.3.2000, n. 2390. Può quindi dirsi ius receptum il principio secondo  il  quale,  nel caso di  società  di  capitali  a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non  contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova  contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o  reinvestiti  (nello  stesso senso vd. anche Cass. n. 20851/2005), con il conseguente obbligo di effettuazione della ritenuta. Del resto, prosegue la Corte, ‹‹ex art. 5, comma 1, del D.P.R. n.  597/1973 i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, che hanno nel territorio dello stato la  sede  legale  o amministrativa o l’oggetto principale dell’attività, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione,   proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. E nella  specie  si  tratta  appunto  di  redditi accertati nei confronti della  società  resistente a seguito di maggior redditi accertati in capo a società in accomandita semplice di cui la F. resistente era compartecipe in varia misura ››;
  • con la sentenza n. 7910 del 5.3.2007 (dep. il 30.3.2007) la Cassazione ha ritenuto legittima la pretesa erariale per il pagamento dell’Irpef evasa e delle conseguenti sanzioni rivolta al socio  accomandatario di  una società in accomandita semplice, in conseguenza  dell’accertamento a suo carico di un maggior reddito, stante la  presunzione legale di avvenuta percezione dei maggiori utili (salva la prova del  contrario  da  parte  del contribuente), a prescindere  dalle  circostanze (ininfluenti rispetto all’obbligo di pagamento dell’Irpef) relative al carattere reale o fittizio della società od anche alla sua ammissibilità o inammissibilità, in base alle norme regolanti l’esercizio delle libere professioni;
  • in presenza di società di capitali a ristretta base sociale  è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili né ricorre il divieto di presunzione di secondo grado. E’ questa, in estrema sintesi, la massima della sentenza della Cassazione n. 21415 del 28.9.2007, dep. l’11.10.2007. La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia è fondato, ‹‹ atteso che  la  sentenza impugnata è stata resa in violazione del principio elaborato da questa Corte (sentenza n. 7174/2002) e secondo il quale, nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la  presunzione  di  distribuzione  ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto  di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori  redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale  e  dal  vincolo  di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso,  normalmente caratterizza la gestione sociale ››. Pertanto, ove, come nella specie, si versi dinanzi ad una  società di capitali a ristretta base sociale,  è  legittima  la  presunzione  di distribuzione ai soci degli  utili  extracontabili,  attesa  la  mancanza  – trattandosi  di utili  occulti – di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (dopo la quale soltanto può essere  effettuata  la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione si presume  avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati  conseguiti (Cass. n. 7564/2003);
  • con sentenza n. 3972 del 19 febbraio 2009, udienza del 19 novembre 2008, è stata confermata – anche alla luce anche della sentenza n. 6197 del 16 marzo 2007 – la legittimità della “presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti”;
  • con sentenza n. 9519 del 22 aprile 2009 (ud. del 20 marzo 2009) la Corte di Cassazione ha osservato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali  utili  extracontabili  accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la  prova  del  fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti  oggetto  di  distribuzione,  ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia  concluso con perdite contabili (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10/2005, n. 16885 del 2003)”. Inoltre, nota la Corte, che ciò “non viola il  divieto di  presunzione  di  secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, …, ma  dalla  ristrettezza  della  base  sociale e  dal  vincolo  di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso,  normalmente caratterizza la gestione sociale”;
  • con sentenza n. 13338 del 10 giugno 2009 (ud. del 20 marzo 2009) la Corte di Cassazione ha affermato che la personalità giuridica attribuita agli enti societari non costituisceostacolo all’operatività della  presunzione dell’imputazione degli utiliextra contabili ai soci di  società di capitali a ristretta basepartecipativa. In ossequio ai   principi di uguaglianza, capacità contributiva e divieto di abuso del diritto, tale presunzione è applicabile anche  in  ipotesi di  sussistenza   di una partecipazione mediata dall’intermediazione di altra persona giuridica.

 

Gianfranco Antico

1 Ottobre 2009


NOTE

(1) Si segnalano, comunque, altri precedenti: Cass.  25.7.2002, n. 10951; Cass. 15.5.2003, n. 7564