Approfondiamo il regime di deducibilità delle imposte sui redditi e di detraibilità ai fini dell’IVA delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande.
Le spese per prestazioni alberghiere e di somministrazione di cibi e bevande
Approfondiamo il regime di deducibilità ai fini delle imposte sui redditi e di detraibilità ai fini dell’IVA delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, con rilevanti conseguenze sia per le imprese, sia per i produttori di reddito di lavoro autonomo.
Le problematiche illustrate sono state oggetto della circolare Assonime n. 55 del 21.10.2008, che ha commentato la precedente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 53/E del 5.9.2008.
Detraibilità IVA sulle spese per prestazioni alberghiere e somministrazione di cibi e bevande
Il D.L. 25.6.2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6.8.2008, n. 133 (1), ha apportato importanti novità in materia, azzerando – nella sostanza – l’indetraibilità precedentemente prevista dal decreto IVA e integrando il D.P.R. n. 917/1986 per consentire la deducibilità delle spese in esame, anche se non collegate ad attività di partecipazione a convegni, congressi e simili.
Nel testo del D.L. convertito in legge si coglie infatti che l’art. 83, co. 28-bis, D.L. 112/1986, ha soppresso nell’art. 19-bis1, primo comma, lett. e), del D.P.R. n. 633/1972 la regola dell’indetraibilità dell’imposta relativa alle prestazioni alberghiere e alla somministrazione di alimenti e bevande, con l’esclusione di quelle inerenti – tra l’altro – alla partecipazione a convegni, congressi e simili.
Secondo la menzionata circolare n. 53/E del 2008, le modifiche introdotte non riguardano tuttavia le prestazioni alberghiere e di ristorazione qualificabili come spese di rappresentanza, per le quali continua a trovare applicazione la specifica previsione di indetraibilità di cui all’art. 19-bis1, co. 1, lett. h), del decreto IVA.
Tenendo conto delle peculiarità che contraddistinguono il sistema dell’IVA, si fa presente che la possibilità di fruire della detrazione è subordinata al ricevimento della fattura da parte del soggetto che acquista il servizio.
Non è quindi sufficiente lo scontrino fiscale «parlante» o la ricevuta fiscale integrata con i dati del cliente (utilizzabili per documentare tali spese ai soli fini reddituali).
Secondo quanto è stato precisato nella circolare n. 53/E del 2008, la fattura dev’essere espressamente richiesta non oltre il momento di effettuazione delle prestazioni alberghiere e di somministrazione [giacché queste sono menzionate tra le operazioni per le quali l’emissione del documento è obbligatoria solo se richiesta dal cliente, ex art. 22, co. 1, n. 2), D.P.R. 633/1972].
L’annotazione delle fatture nel registro degli acquisti può essere operata con modalità semplificate, se l’importo delle stesse non è superiore a 154,94 euro. In tale ipotesi, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. 9.12.1996, n. 695, in luogo delle singole fatture può essere registrato un documento riepilogativo nel quale sono indicati i numeri attribuiti alle singole fatture dal destinatario, l’ammontare complessivo delle operazioni e l’ammontare dell’imposta.
Se la prestazione alberghiera o di ristorazione è fruita da un soggetto diverso dall’effettivo committente del servizio, è necessario ai fini della detrazione che la fattura rechi anche l’intestazione di tale soggetto (può trattarsi, ad esempio, del dipendente in trasferta dell’imprenditore, se cointestatario della fattura, ovvero delle spese alberghiere e di ristorazione del professionista anticipate dal cliente).
Imposte sui redditi: la deducibilità delle spese per prestazioni alberghiere e somministrazione di cibi e bevande
Il comma 28-quater del medesimo art. 83 ha apportato al D.P.R. n. 917/1986 le seguenti modificazioni:
- al predetto art. 109, co. 5, è stato aggiunto, alla fine, il seguente periodo: «fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti, le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse da quelle di cui al comma 3 dell’articolo 95 (spese per vitto e alloggio sostenute per i lavoratori dipendenti e i collaboratori coordinati e continuativi, N.d.A.), sono deducibili nella misura del 75 per cento»;
- all’art. 54, co. 5, il primo periodo è stato sostituito dal seguente: «le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta».
Artisti, professionisti
Risultano quindi deducibili nella stessa misura percentuale le spese in parola, sia per le imprese, sia per i lavoratori autonomi, con un’opzione – la deducibilità limitata appunto – che rivela lo scrupolo del legislatore, presumibilmente orientato a disconoscere una «quota parte» forfetaria di spese attribuibili all’uso personale.
L’integrazione del solo primo periodo del co. 5 dell’art. 54 fa salvo il secondo periodo, e con esso la previsione che dette spese risultano integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista, e a questo addebitate in fattura.
Secondo quanto è stato rilevato nella circolare dell’Agenzia, inoltre, la disposizione che limita al 75% la deducibilità dei costi in argomento assume carattere di regola generale, sicché essa deve trovare applicazione anche quando tali costi si configurino come spese di rappresentanza.
In tale ipotesi, relativamente alla situazione di artisti e professionisti, dev’essere rispettato anche l’ulteriore limite di deducibilità nella misura dell’1% dei compensi percepiti entro il periodo d’imposta (art. 54, co. 5, D.P.R. 917/1986).
Il momento di effettuazione dell’operazione
Secondo le precisazioni fornite dall’Agenzia, per determinare il momento di effettuazione dell’operazione va fatto riferimento alla regola di cui all’art. 6, D.P.R. 633/1972, che lo individua, per le prestazioni di servizi, all’atto del pagamento del corrispettivo o, se precedente, al momento di emissione della fattura e che collegano a tale momento l’esigibilità dell’imposta e la nascita del diritto alla detrazione (art. 19, co. 1, D.P.R. 633/1972).
Da ciò consegue che:
- per quanto attiene all’IVA, la regola della detraibilità delle spese relative a somministrazioni di cibi e bevande e a prestazioni alberghiere diviene applicabile già alle fatture relative alle prestazioni eseguite (con corrispettivo pagato) dal 1° settembre dell’anno in corso;
- relativamente alle imposte sui redditi, la deducibilità limitata al 75% diviene applicabile a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso il 31.12.2008 (generalmente coincidente con l’anno solare 2009), secondo i consueti criteri di cassa (per gli artisti e i professionisti) e di competenza (per le imprese).
Le osservazioni dell’Assonime
Nella predetta circolare n. 55 del 2008, l’Assonime ha evidenziato che le innovazioni del 2008 hanno comportato il passaggio da un regime previgente, nell’ambito del quale il legislatore presumeva l’utilizzo privato (con la conseguente irrilevanza ai fini fiscali) delle spese, al regime attuale, in seno al quale dev’essere valutata l’inerenza delle prestazioni all’attività esercitata.
A tale riguardo, è stato osservato nella circolare che le prestazioni potrebbero risultare in parte inerenti e in parte no (comportando ad esempio servizi «accessori estranei alle necessità dell’impresa o di carattere essenzialmente suntuario», benché rimasti a carico dell’impresa stessa e non riaddebitati al dipendente), ovvero
«di livello superiore a quello dei servizi normalmente utilizzati per le trasferte o missioni dei dipendenti».
In tali ipotesi, immaginando che la prestazione sia documentata da un’unica fattura, potrebbe risultare non agevole l’individuazione dell’imposta detraibile (nonché, ai fini delle imposte sui redditi, della parte di costo alla quale riconoscere l’inerenza).
Tale criticità potrebbe però essere superata, secondo l’Associazione, se venisse applicata l’imposta «a valle» – con l’aliquota del 10% – sulla prestazione fruita dall’imprenditore o dai suoi dipendenti, sicché la prestazione verrebbe a configurarsi come un’ipotesi di autoconsumo o di prestazione gratuita, a norma dell’art. 3, terzo comma, del decreto IVA (comunque non imponibile se di importo inferiore a 25,82 euro).
Tale soluzione potrebbe tuttavia risultare difficilmente attuabile a causa degli oneri, anche amministrativi, connessi all’applicazione dell’IVA e all’esercizio della rivalsa nei confronti dei beneficiari diretti della prestazione.
Se invece l’impresa committente esercitasse il regresso verso il dipendente per i costi relativi alle prestazioni non direttamente inerenti l’attività esercitata, tale addebito dovrebbe essere assoggettato ad IVA (sempre con l’aliquota del 10%), e la relativa imposta a monte potrebbe essere totalmente detratta.
In tale ipotesi, infatti – secondo l’Assonime -, le prestazioni dovrebbero considerarsi inerenti all’attività sia per la parte direttamente fruita nell’ambito dell’attività medesima, sia per la parte che costituisce oggetto di un’operazione a titolo oneroso nei confronti dei fruitori della prestazione.
Spese di rappresentanza
La detrazione dell’IVA non è possibile – e sul punto l’Assonime concorda con l’Agenzia delle Entrate – se le prestazioni possono essere qualificate come «spese di rappresentanza», secondo le disposizioni valevoli per le imposte sui redditi [art. 19-bis1, lett. h), D.P.R. n. 633/1972; art. 108, TUIR].
A tale riguardo, la circolare osserva che si qualificano come spese di rappresentanza quelle che i contribuenti sostengono per promuovere un’immagine positiva di sé stessi e della propria attività presso il pubblico, mentre non sono spese di rappresentanza – bensì pubblicitarie – quelle finalizzate a un incremento delle vendite.
L’art. 1, comma 33, della Finanziaria 2008, modificando l’art. 108 del TUIR, ha previsto la subordinazione della deducibilità fiscale di tali spese a requisiti di inerenza e congruità da stabilirsi con un decreto ministeriale allo stato ancora non emanato.
Secondo quanto osservato dall’Assonime, la detraibilità dell’IVA è comunque preclusa per il solo fatto che la prestazione si qualifichi come spesa di rappresentanza, mentre non rilevano le «specifiche» accolte ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Fatturazione
Le prestazioni in esame rientrano tra le operazioni per le quali l’emissione della fattura non è obbligatoria se non richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, e cioè fino al momento del pagamento del corrispettivo [art. 22, primo comma, n. 2), D.P.R. n. 633/1972].
La possibilità di esercitare il diritto alla detrazione impone pertanto di richiedere ai prestatori la fattura concernente la prestazione ricevuta, per poter effettuare l’annotazione nel registro degli acquisti, computare l’imposta nella liquidazione periodica e riportare l’ammontare dell’imponibile e dell’imposta nel quadro VF della dichiarazione annuale.
Ciò premesso, la circolare riporta le seguenti indicazioni dell’Agenzia delle Entrate:
- l’avvento del nuovo regime esclude l’applicabilità delle norme di semplificazione di cui all’art. 6, settimo comma, del D.P.R. n. 695/1996, che consente di non annotare le fatture relative ad acquisti di beni e servizi per i quali è preclusa la detrazione dell’imposta in quanto se ne presume la destinazione al consumo privato;
- rimane ancora possibile avvalersi della norma contenuta nel sesto comma del medesimo art. 6, secondo cui l’annotazione delle singole fatture di importo non superiore a 154,94 euro può essere sostituita dall’annotazione in un documento riepilogativo nel quale devono essere indicati i numeri delle fatture, l’ammontare complessivo imponibile delle operazioni e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata.
Giacché le prestazioni possono essere rese a soggetti diversi da coloro che materialmente ne fruiscono (ciò che accade, all’esempio, nelle trasferte dei dipendenti), per operare la detrazione è necessario che la fattura risulti intestata all’impresa, effettivo committente della prestazione, mentre l’indicazione del nominativo del «fruitore materiale» della prestazione (dipendente, collaboratore, etc.) non costituisce una condizione per l’esercizio della detrazione.
In taluni casi, tuttavia, i fruitori materiali potrebbero essere sia soggetti collegati all’impresa (tipicamente, i dipendenti), sia «ospiti» esterni, nel qual caso potrebbe porsi un problema di inerenza, giacché parte delle prestazioni si qualificherebbe tra le spese di rappresentanza. Evidenziando a tale riguardo la mancanza di criteri oggettivi in base ai quali scindere la prestazione, l’Associazione ritiene auspicabile un futuro intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate.
Imposte sui redditi: le trasferte dei lavoratori
La limitazione al 75% della deducibilità delle spese in esame ai fini delle imposte sui redditi non si applica, per espressa previsione della norma, alle spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori del territorio comunale da lavoratori dipendenti o da collaboratori, per le quali continuano ad operare i soli limiti già previsti dall’art. 95, terzo comma, del TUIR (ammontare giornaliero non superiore ad euro 180,76).
Secondo quanto osservato dall’Assonime, la limitazione non dovrebbe applicarsi neppure alle trasferte intracomunali, giacché in tale ipotesi le indennità o i rimborsi corrisposti ai lavoratori concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente o di collaborazione e costituiscono, quindi, spese per prestazioni di lavoro del tutto inerenti alla produzione del reddito (e pertanto integralmente deducibili secondo i principi generali).
È evidenziata a tale riguardo una criticità interpretativa, giacché il disposto normativo estende la limitazione al 75% a tutte le spese diverse da quelle di cui al terzo comma dell’art. 95 (che, per l’appunto, considera le sole trasferte extracomunali), in conflitto con il principio generale orientato all’
«univocità delle qualificazioni degli elementi reddituali, intesa nel senso che un determinato fenomeno economico, scaturente da un rapporto contrattuale di tipo sinallagmatico, deve assumere eguale qualificazione per entrambe le parti che vi intervengono».
L’applicazione delle limitazioni alle trasferte intracomunali determinerebbe altresì, per l’Assonime, una disarmonia tra il trattamento delle spese di alloggio e ristorazione «coperte» mediante un’indennità forfetaria (non soggette a vincoli, a fronte dell’imponibilità in capo al dipendente/collaboratore) e quello delle spese rimborsate analiticamente (che pure concorrono al reddito del dipendente/collaboratore, ma senza garantire la piena deducibilità in capo all’impresa committente).
Servizi sostitutivi di mensa
La possibilità di limitare la parte di spesa deducibile al 75% viene altresì esclusa dall’Assonime per le prestazioni sostitutive della mensa aziendale, rese mediante «buoni pasto», le quali non concorrono al reddito del beneficiario entro il limite giornaliero di euro 5,29.
In tale ipotesi, l’applicazione della norma imitatrice produrrebbe infatti effetti «singolari», consentendo la deduzione del 75% per la sola parte del costo della prestazione compresa entro il suddetto limite di euro 5,29, mentre l’eventuale eccedenza dovrebbe risultare integralmente deducibile, essendo interamente tassabile per i dipendenti.
È inoltre ritenuta ingiustificabile – sotto il profilo sistematico – l’eventuale assimilazione delle spese per mense aziendali (motivate più dall’interesse del datore di lavoro che da quello dei dipendenti) ai costi parzialmente inerenti.
Le ulteriori limitazioni applicabili ai professionisti
Secondo l’art. 54, co. 1, D.P.R. 917/1986, nel testo anteriore alle modifiche del D.L. 4.7.2006, n. 223,
«il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazioni agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde».
Il nuovo art. 54, quinto comma, del TUIR, dispone che le spese in esame sono deducibili nella misura del 75% e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Secondo quanto è stato osservato dall’Assonime, i due vincoli (75% e 2%) devono applicarsi congiuntamente, cosicché, ad esempio, se i compensi del periodo d’imposta sono pari a 1000 e le spese alberghiere e di ristorazione ammontano a 100, la deduzione ammessa nella misura di 20 (pari al 2% di 1000) soddisfa anche al limite del 75% delle spese effettivamente sostenute.
Inoltre, secondo le osservazioni dell’Agenzia, la riduzione al 75% della quota deducibile deve concorrere con il limite già previsto per le spese di rappresentanza (1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta), e analoghe considerazioni devono farsi per le spese alberghiere e di ristorazione sostenute nell’esercizio di arti o professioni per la partecipazioni a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, deducibili nella misura del 50% del relativo ammontare.
Per queste ultime, occorrerebbe pertanto calcolare il 50% del 75%, sicché la soglia di deducibilità si ridurrebbe al 37,50%.
Inoltre, la circolare dell’Agenzia – richiamata dall’Assonime – contiene la precisazione che i nuovi limiti alla deducibilità delle spese non interessano le spese di vitto e alloggio sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura, integralmente deducibili a norma dell’art. 54, quinto comma, secondo periodo, del TUIR.
Prestazioni non documentate con fattura
In determinate ipotesi menzionate nella circolare Assonime, l’indetraibilità dell’IVA origina non da una preclusione disposta dalla legge, bensì dall’inidoneità del documento contabile che attesta il sostenimento delle spese (conseguendo alla semplice scelta dell’impresa di non richiedere la fattura al prestatore del servizio).
L’Associazione ha evidenziato al riguardo alcune perplessità, alla luce dei principi generali sulla deducibilità / detraibilità dei costi, che richiedono solo l’inerenza degli stessi all’attività esercitata (a prescindere dalla modalità utilizzata per dimostrare tale inerenza).
In tale contesto, è stato quindi affermato che dovrebbe valutarsi l’inerenza dell’IVA che, in difetto di fatturazione, resta a carico dell’impresa nell’acquisizione di prestazioni alberghiere e di ristorazione, con la possibilità di riconoscere fiscalmente l’operazione
«… ove sia dimostrabile che il comportamento adottato dall’impresa in relazione a spese non supportate da fattura è frutto di una scelta di convenienza economicamente valida (di regola quando i costi amministrativi del rilascio delle fatture risultino superiori all’IVA indetraibile)» (2).
Leggi anche: Spese di rappresentanza, alberghi e ristoranti: alcuni casi pratici
Fabio Carrirolo
19 Novembre 2008
(1) Le integrazioni commentate – di cui ai commi da 28-bis a 28-quinquies dell’art. 83 del decreto-legge – sono state inserite nel corso dell’esame in sede referente, con l’emendamento del Governo 60.02.
(2) A tale riguardo si evidenzia che ogni discorso sull’inerenza riferita all’IVA non può prescindere da un previo esame della direttiva CEE n. 112 del 28.11.2006, la quale ha integralmente sostituito la Sesta direttiva nel disciplinare il sistema dell’imposta a livello europeo. In particolare, l’art. 1, secondo comma, della nuova direttiva afferma che «il principio del sistema comune d’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d’imposizione. A ciascuna operazione, l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo».