L’appello incidentale nel processo tributario è contemplato dall’art. 54, comma secondo, del D.lgs. 546/92, il quale stabilisce che nello stesso atto con cui si costituiscono le parti delle diverse dall’appellante può essere proposto, a pena di inammissibilità, appello incidentale secondo le modalità ed i termini previsti per la costituzione in giudizio della parte resistente in primo grado ex art. 23 D.lgs. 546/92.
L’appello incidentale nel processo tributario
L’appello incidentale costituisce lo strumento processuale che l’ordinamento concede all’appellato, laddove quest’ultimo sia risultato, al termine del giudizio di primo grado, parzialmente soccombente.
In tal caso l’appellato proporrà appello incidentale al fine di ottenere la modifica di quei punti della sentenza, che disattendono le sue doglianze, o meglio di quegli effetti pregiudizievoli della sentenza stessa.
Presupposto dell’appello incidentale, dunque, (così come avviene per le impugnazioni in generale) è costituito dalla soccombenza. Essa costituisce l’essenza dell’interesse ad impugnare, dacché solo laddove la sentenza possa, in qualche modo, andare a pregiudicare le ragioni della parte, questa sarà legittimata ad agire al fine di conseguire un miglior risultato rivolgendosi al giudice di secondo grado.
Ebbene, fatte le suddette premesse, si può ora passare ad analizzare una questione particolare, che si è posta all’attenzione della giurisprudenza.
Si ponga il caso in cui il Giudice di prime cure accolga integralmente il ricorso del contribuente, ma ometta di pronunciarsi su alcuni dei motivi contenuti nel ricorso.
In questo caso, ci si chiede, il contribuente ha l’onere di proporre l’appello incidentale o è sufficiente che questi ponga semplicemente all’attenzione del giudice di secondo grado, dunque attraverso una mera riproposizione, i motivi esposti nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, al fine di ottenere una pronuncia, naturalmente favorevole su tali motivi?
La questione è di non poco momento se pensiamo allo sbarramento posto dall’art. 56 D.lgs. 546/92, disposizione dettata per l’appello principale, che pone una presunzione di rinuncia della parte a tutte le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della Commissione provinciale, laddove la parte stessa non si attivi per riproporle in seconda istanza.
Il problema, dunque, consiste nello stabilire se, nel concetto di questioni ed eccezioni non accolte rientrino anche le questioni sulle quali il giudice a quo non si è pronunciato.
In altri termini, ci si chiede se anche per le questioni non considerate dal giudice di prime cure valga quella presunzione di rinuncia ex art. 56 D.lgs. 546/92 ove non espressamente riproposte e, in caso di risposta affermativa, occorre stabilire quale è lo strumento processuale da utilizzare, se, cioè una mera riproposizione dei motivi oppure l’appello incidentale.
Sul punto, possiamo dire, la giurisprudenza è stata costante nel ritenere sufficiente una mera riproposizione dei motivi de quo, dunque senza utilizzare, tecnicamente, lo strumento dell’appello incidentale.
In effetti, la giurisprudenza, concordemente con la dottrina, parte dall’assunto che l’impugnazione incidentale è un rimedio concesso all’appellato al fine di rimuovere una situazione per lo stesso pregiudizievole, in ordine ad un diverso punto della decisione impugnata.
Ne deriva, come ha stabilito la Suprema Corte in una pronuncia oramai risalente, ma ancora oggi attuale (sentenza n. 1475 del 9/3/1979), che la parte completamente vittoriosa non ha l’onere di proporre impugnazione incidentale, ma può riproporre le sue difese in sede di impugnazione principale.
Più in particolare, la Corte ha stabilito che perché la parte vittoriosa sia tenuta a proporre l’impugnazione incidentale, occorre che essa sia rimasta soccombente in ordine ad un diverso punto della controversia che abbia formato oggetto di decisione, sia pure implicita: ciò non si verifica quando il giudice non solo non emetta su di esso alcuna pronuncia, ma invertendo erroneamente l’ordine logico delle questioni prospettate dalle parti, ometta di esaminare quella che avrebbe dovuto trattare per prima; in tal caso, mancando una pronuncia sfavorevole, sia pure implicita, la parte vittoriosa non ha l’onere di proporre alcuna impugnazione incidentale, ma deve limitarsi unicamente a riproporre la questione nei successivi gradi di giudizio.
La soluzione della questione in tal senso: proposizione, in secondo grado, della questione non esaminata dal Giudice di prime cure, senza necessità di proporre appello incidentale, è di notevole rilievo pratico.
Infatti, la mera riporoposizione della questione non esaminata avverrà ex art.54, comma 1, D.lgs.546/92, in seno alle controdeduzioni dell’appellato, e non già ai sensi del successivo secondo comma del medesimo articolo che prevede la proposizione dell’appello incidentale.
Solo per la proposizione dell’appello incidentale l’osservanza dei modi e dei termini per la costituzione in giudizio, ex art 23 Dlgs 546/92 (entro 60 gg. dal giorno in cui l’appello è stato notificato o consegnato o ricevuto a mezzo posta), è prevista a pena di inammissibilità.
Di contro, l’osservanza dei termini previsti per la presentazione delle controdeduzioni dell’appellato non è prevista (art. 54, comma 2, D.lgs.546/92) a pena di inammissibilità.
Tale assunto è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14196 del 27/10/2000, la quale ha evidenziato che l’art. 56 D.lgs. 546/92, occupandosi delle deduzioni dell’appellato e dell’appellante incidentale, non pone deroghe al canone generale in base al quale anche l’impugnazione in generale postula una situazione di soccombenza, di modo che tale impugnazione incidentale non deve e non può essere avanzata dalla parte integralmente vittoriosa, quando intenda riproporre questioni assorbite dal giudice a quo, richiedendosi solo la volontà di reinserire le questioni medesime nel dibattito processuale riaperto dall’impugnazione dell’avversario.
Il presupposto della soccombenza, valevole ad escludere la necessità di proporre appello incidentale nella situazione in esame, è stato evidenziato anche dal Ministero delle Finanze con la circolare del 23/4/1996 n. 93/E, nella quale si è affermato che l’impugnazione incidentale, ovviamente, può essere proposta soltanto da chi vi abbia interesse e tale interesse sussiste se e nei limiti in cui la parte sia rimasta soccombente.
Di conseguenza, prosegue la circolare, non deve proporre appello incidentale la parte che abbia interesse non alla riforma, ma alla conferma della sentenza impugnata. Ma il fatto che la parte totalmente vittoriosa in primo grado non debba procedere a proporre appello incidentale, nel caso in esame, non vuol dire che la stessa sia esentata dal riproporre le questioni non considerate dal giudice di prime cure.
Ciò in quanto, se così non fosse, ovvero se non fossero riproposti in appello i motivi non considerati dal giudice di primo grado, sarebbe precluso il ricorso in cassazione relativamente a questi motivi.
Infatti, la Suprema Corte, con la sentenza n. 15641 del 12/8/2004 ha stabilito che, se è vero che la parte totalmente vittoriosa non è tenuta a proporre appello incidentale avverso la sentenza impugnata dalla controparte, relativamente alle eccezioni disattese, (essendo, sul punto, carente di interesse), è altrettanto vero, tuttavia, che la parte stessa ha l’onere di riproporre, in base alle disposizioni normative di cui all’art. 346 c.p.c. e 56 D.lgs. 546/92, le questioni da essa proposte nel precedente giudizio.
Pertanto, l’omessa riproposizione in appello di tali eccezioni preclude il ricorso per Cassazione avverso detta sentenza. D’altra parte, prosegue la Corte, è noto che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (cfr Cass. n. 4852/99, 2905/1996 e 5106/1994).
Infine, la Suprema Corte, con la sentenza del 4/6/1999, n. 5495 ha evidenziato che al fine di riproporre, in sede di appello, domande ed eccezioni non accolte in primo grado, la parte totalmente vittoriosa non è tenuta a proporre appello incidentale, ma è sufficiente che la volontà di chiederne il riesame emerga in modo chiaro e preciso in qualsiasi atto processuale.
L’affermazione si spiega bene se consideriamo che l’omessa pronuncia non è suscettibile di formare giudicato, con la conseguenza che lo strumento dell’appello incidentale risulterebbe superfluo, dato che non vi sarebbe nulla da criticare.
Concludendo, dunque, ove la Commissione tributaria di primo grado avesse omesso di pronunciarsi su una delle questioni ad essa prospettate dal contribuente, vittorioso, è da escludersi che, non avendo quest’ultimo riproposto in appello tale questione, essa sia da intendere come rinunciata ex art. 346 c.p.c., con conseguente formazione del giudicato interno, posto che la parte anzidetta, essendo rimasta vittoriosa in prima istanza, non ha alcun onere di proporre sul punto appello incidentale, dato che né può considerarsi rinunciante alla questione per mancata sua riproposizione, in quanto nella memoria difensiva presentata ai giudici tributari di secondo grado nella sua qualità di resistere all’appello dell’ufficio, ha avuto cura di richiamare le precedenti censure e di ribadire tutti i motivi già esposti in prime cure, onde è legittimo che la questione de qua sia nuovamente formulata alla commissione tributaria centrale
Avv. Maria LEO
www.studiotributarioleo.it
15 Maggio 2008