L’accertamento del Fisco può fondarsi su documenti, cioè su un riscontro cartolare, che non incontra limitazioni di sorta quanto alla sua utilizzabilità anche in sede contenziosa, in grado di comprovare i fatti contestati (brogliacci e scritture varie rivelatrici di una separata contabilità in nero…).
Come affermato dalla migliore dottrina
“l’accertamento dell’ufficio può fondarsi su documenti, cioè su un riscontro cartolare, che non incontra limitazioni di sorta quanto alla sua utilizzabilità anche in sede contenziosa, in grado di comprovare i fatti contestati (brogliacci e scritture varie rivelatrici di una separata contabilità in nero; matrici di assegni a favore di determinati soggetti; contratti, accordi, etc.; verbali di assemblee societarie, di riunioni di collegi sindacali, etc)” (1).
La Cassazione, con recente sentenza – n. 2217/06 depositata in data 1° febbraio 2006 (e confermata dalla sentenza n. 2218/06, depositata in pari data) – ha affermato che
“…la documentazione extracontabile legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, quand’anche risolventesi in annotazioni personali, costituisce elemento probatorio, ancorché meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento IVA, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e di inadempimenti di obblighi di legge”.
In senso conforme si è attestata la stessa Cassazione – sentenza n. 3222 del 14 febbraio 2007 – affermando che
“il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, oltre che agende-calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari, costituisce un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportanti nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo”.
Sempre la Cassazione – sentenza n. 14218 del 9 maggio 2007, dep. il 19 giugno 2007 – ha ritenuto che costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes, costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo).
Con specifico riferimento all’accertamento delle imposte sui redditi, la cd. contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e seguenti del codice civile tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (cfr. Cass. n. 25610/2006).
E con sentenza n. 6949 del 30.1.2006 (dep. il 27.3.2006), la Corte richiama la precedente giurisprudenza che ha ritenuto piena l’attendibilità di un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari) per l’accertamento induttivo dell’imponibile ai fini Iva (Cass., 15.5.1992, n. 5786) ed ha affermato che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale ed autorizza l’Amministrazione finanziaria a procedere induttivamente (Cass., 17.12.1992, n. 13331). In senso conforme proprio in questi giorni sé è espressa la Cassazione con la sentenza n. 7701 del 7 febbraio 2008, dep. il 7 febbraio 2008.
Ed ancora la Cassazione, con la sentenza n. 27059 del 6.11.2006, dep. il 18.12.2006 ha affermato che il mero ritrovamento di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta, legittima di per sé, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cd. accertamento induttivo, ed è onere del contribuente dimostrare che le indicazioni dei registri irregolari non hanno alcun rapporto con l’attività di commercio (nel caso di specie di gioielleria) da lui esercitata.
Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1400 dell’8.11.2007 (dep. il 23.1.2008) ha consolidato l’orientamento della giurisprudenza della Corte
«secondo il quale, in tema di IVA, alla luce delle previsioni del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, co. 4, e art. 54, co. 2, la documentazione extracontabile reperita presso la sede dell’impresa, ancorché consistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità (ex plurimis, Cass. nn. 2217, 6949 e 19329 del 2006) ».
In tema di Iva, mentre l’art. 52, co. 4, del D.P.R. n. 633/1972 dispone che l’ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, dal successivo art. 54, co. 2, si ricava che l’infedeltà della dichiarazione, può anche essere accertata mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie legittimamente raccolti dall’ufficio e ciò anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
Il valore delle presunzioni risiede nella capacità di riassumere in sé in requisiti della gravità, intesa come manifesta capacità dimostrativa, precisione quale esatto confine di delimitazione e concordanza quale convergenza e univocità.
E i riportati dati normativi rivelano che la documentazione extracontabile legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, quand’anche risolventesi in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, ancorché meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento Iva, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e di inadempimenti di obblighi di legge.
Ne consegue che, qualora, a seguito di ispezione, venga rinvenuta presso la sede di un’impresa documentazione non obbligatoria, astrattamente idonea ad evidenziare l’esistenza di operazioni non contabilizzate, tale documentazione è legittimamente utilizzata dall’ufficio, ai fini dell’accertamento ai sensi dell’art. 54, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, in raffronto con la documentazione ufficiale.
Ne consegue, altresì, che, in tal caso, detta documentazione, pur in assenza di irregolarità contabili ed inadempimenti di obblighi di legge, non può essere ritenuta dal giudice di per sé probatoriamente irrilevante, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni dalla stessa promananti e la comparazione di queste con gli altri dati acquisiti e quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente (cfr., anche, Cass. n. 2217/2006 e n. 1349/1999).
E ciò tenendo, peraltro, conto del fatto che, ai fini del riconoscimento dell’efficacia probatoria della presunzione, non occorre che i fatti sui quali essa si basa siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati, bastando, al riguardo, che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza sia verificabile secondo le comuni regole di esperienza (vd. Cass. n. 8016/2002, n. 15238/2001 e n. 2700/1997) (2).
Da ultimo la Corte, con sentenza n. 8856 del 29 gennaio 2008 (dep. il 7 aprile 2008) ha affermato che la sussistenza della documentazione extracontabile impone al il giudice di merito, che accolga il ricorso del contribuente, di procedere ad una esame dell’insieme di tale contabilità, e non può limitarsi ad un esame parziale di essa.
“In presenza infatti di una copiosa documentazione extracontabile palesemente occultata e di un conto corrente intestato ad uno dei soci sul quale transitavano somme attinenti l’attività della Società, la Commissione Regionale ha disatteso le conclusioni della Guardia di Finanza in base ad un confronto fra la prima nota e la contabilità ufficiale, senza spiegare perché il raffronto non si è svolto con la documentazione extracontabile, invece che con la prima nota, che era in contestazione, e comunque rispetto ad importi singoli evidenziati con evidenziatore dalla stessa contribuente; e perché, pur ammettendo la presenza di differenze contabili (presumibilmente anche rispetto alla prima nota) analiticamente indicate dai verbalizzanti (verbale 6.4.99), si sia ritenuta regolare una contabilità perché trentotto posizioni sulle 65 esaminate (cioè poco più della metà) in relazione ad una quantità molto maggiore, non controllata (682), aveva mostrato registrazioni di pagamenti non coincidenti con quelli portati dagli assegni postdatati, ma riconducibili, secondo la Commissione, alle scritturazioni ufficiali, sebbene le date e gli importi fossero differenti”.
I giudici d’appello, nel ritenere sostanzialmente legittima la confusa gestione degli assegni postdatati effettuata dalla società (“…è chiaro che tali schede non possono costituire elemento scatenante dell’Ufficio…”), non hanno neppure spiegato i motivi per cui,
“se la Società riteneva corretto il proprio modo di agire, aveva ritenuto necessario occultare i dati extracontabili e addirittura far transitare somme sul conto personale di un socio. Il contenuto delle perizie – così come riportato nella sentenza impugnata – appare del tutto parziale, perché non relativo all’intera posizione contabile della società, ed effettuato soltanto su importi evidenziati dalla contribuente, con un insignificante riferimento alla prima nota; non offre quindi un valido supporto alla motivazione della sentenza, la quale deve essere dunque cassata”.
Sintesi finale
Questa breve ma interessante carrellata non può che concludersi così: il contribuente risponde del suo brogliaccio e la Corte di Cassazione ci crede.
Francesco Buetto
19 Aprile 2008
NOTE
(1) ANTICO – CARRIROLO – FUSCONI – TUCCI – ZAPPI, L’accertamento fiscale. Il sole24ore. Milano, 2007.
(2) Cfr. Cass. sent. n. 19329 del 7 giugno 2006 (dep. l’8 settembre 2006).