Esterovestizione: gli effetti delle presunzioni legali relative

L’intento è quello di arginare il cosiddetto fenomeno della “esterovestizione”, con una presunzione di residenza in Italia a carico delle società o enti con sede legale o amministrativa all’estero.

esterovestizione e presunzioni legali sempliciIl comma 13 dell’art. 35 del Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223 (manovra bis Visco – Bersani) convertito nella Legge 4 luglio 2006 n. 248, ha introdotto una presunzione legale relativa che di fatto inverte l’onere della prova in relazione alla residenza di determinati soggetti giuridici esteri che, con effetto dal periodo d’imposta 2006, le società o enti con sede legale o amministrativa all’estero, si considerano residenti in Italia.

In particolare, il legislatore nazionale con il comma 13 del prefato art. 35, ha integrato l’art. 73 del Testo unico delle Imposte sui redditi d.p.r. n. 917/86 con i commi 5/bis e 5/ter, con l’intento di arginare il cosiddetto fenomeno della “esterovestizione”, introducendo appunto una presunzione di residenza in Italia a carico delle società o enti con sede legale o amministrativa all’estero quando quest’ultime:

a) detengono direttamente partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359 in una società di capitali ed enti commerciali residenti in Italia, ovvero sono controllate, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1 del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano;

ovvero

b) sono amministrate da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

 

Inoltre il successivo comma 5/ter dell’art. 73 del D.P.R. n. 917/76, introdotto dal comma 13 dell’art. 35 D.L. n. 223/06, prevede che:

“”” Ai fini della sussistenza del controllo di cui al comma 5/bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art. 5, comma 5 del medesimo D.P.R. n. 917/86”””.

 

Tale presunzione fa si che una società con sede legale all’estero, si considera fiscalmente residente in Italia, quando la stessa presenta alternativamente due elementi di collegamento con il territorio. Tali requisiti sono appunto dati:

  •  dal possesso di una partecipazione di controllo almeno del 50,1% in una società italiana ovvero quando la società estera è controllata dal 50,1%, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

oppure

  •  dalla prevalenza, nel consiglio di amministrazione della società estera, di soggetti residenti in Italia.

 

Pertanto, tutte le società o enti esteri anche di nazionalità lussemburghese o sanmarinese che:

1. appartengono a gruppi italiani e, nel contempo, possiedono una partecipazione del 51% in una società italiana;

oppure

2. appartengono a gruppi esteri e, nel contempo possiedono una partecipazione del 50,1% in una società italiana ovvero abbiano nel CdA una prevalenza di soggetti residenti in Italia (esempio 3 membri italiani su cinque),

dovranno presentare la dichiarazione dei redditi in Italia ed assoggettare ad Ires le plusvalenze eventualmente realizzate con la cessione di partecipazioni ovvero dividendi percepiti da partecipate residenti in paesi off-shore.

Pertanto, il legislatore nazionale, con tale correzione legislativa, ha di fatto invertito l’onere della prova a carico delle società estere che, in presenza degli elementi di collegamento con il territorio italiano, dovranno dimostrare il concreto radicamento ovvero che la direzione effettiva della società avviene nello Stato estero.

Per meglio comprendere quanto in precedenza detto, si riporta ad esergo, una rappresentazione schematica, ove, in caso di presenza dei suddetti criteri di collegamento, si applicheranno, salvo prova contraria, le presunzioni di residenza fiscale nel territorio dello Stato italiano a carico delle società estere:

 

presunzione di residenza fiscale

 

Va notato che l’art. 35 del D. Legge n. 223/2006 convertito nella Legge n. 248/2006, è entrato in vigore a far data 4 luglio 2006 e, quindi, tutte le società estere che presentano dal periodo d’imposta 2006, gli elementi di collegamento che fanno presumere la residenza fiscale nel territorio dello Stato, dovranno presentare la dichiarazione in Italia e versare la relativa Ires già dal giugno 2007.

E’ chiaro quindi l’intento dello Stato Italiano, di attrarre a tassazione in Italia i dividendi, le plusvalenze e i capital gain, realizzati dalle società presunte esterovestite.

Inoltre tale norma, pur entrando in vigore dal 4 luglio 2006 (data in cui il d.l. n. 223/2006 è stato convertito nella legge n 248/2006) ha già effetto dal periodo d’imposta 2006 (annualità non ancora scaduta ai fini della presentazione della dichiarazione); pertanto alcune società estere, si sono già attivate apportando (entro il 31.12.2006) le opportune modifiche nei vari collegamenti societari, al fine di non incorrere nei criteri presuntivi di esterovestizione contenuti nella novella normativa.

Tale norma ha avuto quale effetto, quello di permettere (in intinere) a tutte le società estere, di ricorrere ai ripari, ovvero di riorganizzare i propri assetti societari per non incorrere nei criteri di applicazione della presunzione di esterovestizione, attraverso appunto la “spacchettamento” delle partecipazioni detenute in una società italiana.

Infatti se per esempio una società estera, deteneva una partecipazione di controllo di almeno il 51% in una società italiana, la stessa cedendo interamente la partecipazione di controllo prima del 31.12.2006, rendeva la presunzione inapplicabile, in quanto al termine di tale esercizio la società estera non detenendo più il controllo della società italiana non poteva più incorrere nei criteri di applicazione della presunzione di esterovestizione e, quindi, non più soggetta alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia già dal giugno 2007.

Analizzando a fondo la norma introdotta dal legislatore, quest’ultimo pur introducendo una presunzione relativa che di fatto ribalta l’onere della prova a carico del contribuente circa la localizzazione fiscale della sede dell’amministrazione della società, attraverso appunto l’individuazione di due criteri di collegamento, lo stesso legislatore ha perso un’occasione per favorire l’Amministrazione finanziaria a dimostrare anche il “requisito temporale”; infatti nessuna indicazione è stata fornita agli addetti ai lavori di come poter dimostrare la presenza della sede in Italia per il maggior periodo d’imposta, come appunto recita l’art. 73 – comma 3 del D.P.R. n. 917/86.

Quindi la novella presunzione non si estende al requisito temporale.

In ultimo, si può rilevare un effetto indesiderato con l’introduzione della presunzione di esterovestizione a carico del contribuente. Per esempio, se una società straniera con significative esposizioni debitorie di bilancio, facesse parte di una Capogruppo italiana e, nel contempo, deterrebbe partecipazioni in una società italiana, essa si presumerebbe in virtù dei criteri di collegamento, residente in Italia.

Tale situazione permetterebbe però alla capo gruppo italiana, di utilizzare i criteri di collegamento per attrarre fiscalmente in Italia la consociata estera (in perdita), con l’intento elusivo, di abbattere gli utili prodotti dal gruppo in Italia attraverso la richiesta di adesione al consolidato nazionale della consociata estera, considerata appunto fiscalmente residente in Italia grazie ai criteri presuntivi della novella normativa.

 

Paolo Giovannetti

 

Marzo 2007

 

Sull’argomento vedi anche: Esterovestizione: presunzioni normative

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