Esterovestizione: presunzioni normative

Fra le novità introdotte con il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, (c.d. “manovra bis”), particolare rilevanza assumono le modifiche apportate all’art. 73 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”), in materia di presunzione di residenza in Italia delle società ed enti cc.dd. “esterovestiti”.

La prima parte della circolare ASSONIME, 31ottobre 2007, numero 67, riepiloga le disposizioni di riferimento e l’ambito applicativo della norma.

La presunzione di esterovestizione: considerazioni generali

Come è noto, l’art. 73, comma 3, del TUIR, stabilisce che

si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

I predetti requisiti della sede legale, della sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale sono tra di loro alternativi, nel senso che è sufficiente il ricorso anche di uno solo di essi perchè il soggetto debba considerarsi fiscalmente residente in Italia.

L’art. 35, commi 13 e 14, del citato decreto n. 223, ha inserito nell’art. 73 del TUIR due nuovi commi (5–bis e 5–ter), i quali stabiliscono che la sede dell’amministrazione delle società o degli enti aventi sede legale all’estero, si presume, salvo prova contraria, esistente nel territorio dello Stato qualora tali soggetti posseggano partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali assimilati di cui al medesimo art. 73, comma 1, lett. a) e b), del TUIR, e a loro volta siano controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia, ovvero amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

La presunzione scatta, per espressa disposizione della medesima norma ove tali condizioni risultino sussistenti al momento della chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero.

Con la disciplina in commento si è inteso contrastare, come è evidente, il fenomeno della c.d. esterovestizione, e cioè la localizzazione all’estero (o delocalizzazione), da parte di soggetti nazionali, di partecipazioni in società residenti in Italia, al fine di sottrarre alla potestà impositiva dello Stato i redditi relativi a tali possessi partecipativi.

Meccanismo applicativo

E’ compito dell’Amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei presupposti su cui si basano le due fattispecie presuntive contemplate dalla disciplina in commento.

Controllo (attivo) della società estera da parte del soggetto residente

presupposti di esterovestizione societariaLa prima fattispecie  ricorre allorchè il soggetto estero detenga il controllo di società o enti di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell’art. 73 del TUIR (società di capitali o enti commerciali italiani), e sia a sua volta controllato da soggetti residenti.

La seconda fattispecie presuntiva, ricorre, invece, quando il soggetto estero, oltre a detenere l’anzidetto rapporto di controllo in società o enti commerciali italiani, sia amministrato da un organo composto in prevalenza da soggetti residenti.

Elemento comune ad entrambe le ipotesi, su cui  – a parere di Assonime – deve essere indirizzata preliminarmente l’indagine, è quindi quello del controllo c.d. “attivo” da parte della entità estera di società di capitali o enti commerciali residenti.

La nuova disposizione prevede che, per la sussistenza di tale elemento, deve farsi riferimento al concetto di controllo di cui all’art. 2359, comma 1, c.c. il quale, come è noto, contempla tre ipotesi:

  • la prima si configura nel caso in cui una società disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società (controllo di diritto);
  • la seconda si configura nel caso in cui una società disponga di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria dell’altra (controllo di fatto);
  • infine, la terza ipotesi di controllo ricorre quando una società si trovi sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Pur delimitando in questo modo l’ambito applicativo della norma, l’accertamento del presupposto del controllo del soggetto estero su quello italiano può presentare difficoltà.

Nulla quaestio per quanto concerne la prima ipotesi di controllo contemplata dall’art. 2359 c.c. comma 1, numero 1), che si configura, come accennato, quando la società controllante detiene la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria della società controllata (controllo di diritto).

In questo caso l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria non pone particolari problemi, sostanziandosi in una mera verifica di natura giuridica.

A conclusioni alquanto diverse si deve pervenire a proposito della seconda fattispecie contemplata dall’art. 2359, comma 1, c.c. nella quale il controllo, sempre derivando dalla detenzione di partecipazioni, viene esercitato in virtù di un’influenza dominante della società controllante sul soggetto controllato (controllo di fatto).

Il concetto di influenza dominante è rimesso ad un non agevole apprezzamento di fatto, tanto che è stato oggetto di varie interpretazioni, in quanto denota la capacità di una società, pur priva della maggioranza dei voti richiesti dalla legge o dall’atto costitutivo per l’assemblea ordinaria di un’altra società, di condizionarne le decisioni.

A tal fine rileveranno, ad esempio, la particolare polverizzazione del capitale, l’assenteismo dei soci in assemblea e ogni altro elemento dal quale si possa desumere che una società è in grado di imporre la sua volontà nelle decisioni assembleari.

Il controllo in discussione, cioè il controllo c.d. attivo esercitato dalla società o ente estero su soggetti residenti, ha natura di controllo diretto.

In questo senso si esprime chiaramente l’Agenzia delle entrate nella circolare n. 28/E del 2006, nella quale si osserva che la presunzione

consente all’Amministrazione finanziaria di presumere (salvo prova contraria) l’esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti”.

Naturalmente, rientra nel concetto di controllo diretto anche l’ipotesi in cui le partecipazioni siano detenute per il tramite di società fiduciarie, le quali, come noto, operano quali mandatarie senza rappresentanza degli effettivi titolari degli asset di partecipazione.

 

Controllo (passivo) della società estera da parte del soggetto residente

presunzione di esterovestizioneLa prima fattispecie presuntiva contemplata dalla nuova disposizione si configura nel caso in cui il soggetto estero, oltre a detenere il controllo di società di capitali ed enti commerciali nazionali (art. 73, comma 1, lettere a) e b) del TUIR), sia a sua volta controllato da soggetti residenti.

Il concetto di controllo al quale occorre far riferimento nella verifica di tale ulteriore requisito – del requisito cioè del controllo della società o ente estero da parte di soggetti residenti (c.d. “controllo passivo”) – è anche in questo caso quello di cui all’art. 2359 c.c. in questo senso si esprime chiaramente la disposizione in esame.

E’ evidente, tuttavia, che poiché la norma non pone, a questi fini, alcun riferimento al possesso partecipativo tramite il quale si esplichi il controllo (a differenza di quanto abbiamo visto in relazione al cd. controllo attivo), il concetto di controllo risulta ancora più ampio di quello esaminato.

In altri termini, nel caso di specie occorre far riferimento a tutte le ipotesi di controllo contemplate nell’art. 2359 c.c. compresa la fattispecie di controllo di cui al n. 3 dell’art. 2359 c.c. che si configura quando una società subisce

l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”.

Anche in questo caso, dunque, l’Amministrazione finanziaria potrebbe incontrare non poche difficoltà nel riscontrare la sussistenza di tale ipotesi di controllo.

Infatti, la verifica di particolari vincoli contrattuali, tali da determinare un’influenza dominante di una società su di un’altra, richiede una serie di accertamenti di fatto da parte dell’organo accertatore; accertamenti che risultano di ancor più difficile realizzazione quando hanno ad oggetto soggetti esteri.

Preme altresì segnalare che il controllo in questione – il controllo cioè passivo della società o ente estero da parte del soggetto residente – per espressa previsione della norma può anche avere caratteristiche di controllo indiretto.

E’ lo stesso art. 73, comma 5-bis, lett. a) del TUIR che fornisce una espressa indicazione in questo senso, precisando che la presunzione opera, in presenza degli altri presupposti, nei confronti dei soggetti esteri che siano controllati “anche se indirettamente” ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c.

Sempre in relazione alla fattispecie di controllo indiretto, si è posto il problema di come potesse operare la presunzione in presenza di una catena societaria con più sub-holding estere.

L’Agenzia delle entrate, al riguardo, ha ritenuto che

anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub–holding estere”,

la presunzione è in grado di attrarre nell’alveo applicativo non solo la società estera che detiene direttamente partecipazioni nei soggetti italiani e risulta indirettamente controllata dal soggetto italiano posto al vertice della catena, ma anche tutte le altre società intermedie.

Nella fattispecie presuntiva in esame altresì, il controllo sul soggetto estero può essere esercitato anche da persone fisiche, tanto che il nuovo comma 5–ter dell’art. 73 del TUIR prevede che ai fini della verifica del controllo

per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’articolo 5, comma 5

del TUIR (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo). A differenza del controllo c.d. attivo su soggetti residenti in Italia, che può essere esercitato solo dalla società o ente esterovestito (e non da persone fisiche), il controllo passivo può pertanto scaturire, per espressa previsione della norma, anche da un controllo congiunto familiare.

 

La presenza di stabile organizzazione in Italia

Alla presunzione di residenza basata sul controllo, fin qui esaminata, rimane estranea la fattispecie in cui il soggetto estero non sia legato da rapporti di controllo con una società o ente italiano, bensì sia titolare di una stabile organizzazione in Italia, nelle sue varie forme oggi disciplinate dall’art. 162 del TUIR.

In tale fattispecie – prosegue Assonime – infatti, al soggetto estero non potrà certamente ascriversi un controllo attivo ai sensi dell’art. 2359 c.c. sull’entità italiana, in quanto la stabile organizzazione, non avrà – tipicamente – una autonomia soggettiva ai fini civilistici, ma solo ai fini fiscali.

L’esclusione dei soggetti esteri con stabili organizzazioni in Italia dall’operatività della presunzione ha una sua ratio in quanto tali soggetti, in realtà, sono già assoggettati a tassazione in Italia per i redditi attribuibili alla stessa stabile organizzazione, ed, in particolare, anche per le plusvalenze realizzabili in sede di cessione della stabile organizzazione.

Questione particolare è quella che si pone laddove il soggetto estero risulti titolare sia di partecipazioni di controllo in società italiane che di una stabile organizzazione, sempre collocata in Italia. Al riguardo la circolare n. 67 dello scorso ottobre ipotizza, alternativamente, che le partecipazioni siano detenute dal soggetto estero, ovvero siano state attribuite alla sua stabile organizzazione in Italia. Nel primo caso la presunzione di esterovestizione potrà senz’altro essere integrata.

Più dubbio è che altrettanto accada nella seconda ipotesi, ossia laddove il soggetto estero abbia già collocato in Italia, presso la sua stabile organizzazione, le partecipazioni di controllo italiane.

In questa ipotesi, un’applicazione della presunzione sarebbe contraria alla ratio stessa della novella legislativa che mira a contrastare la localizzazione all’estero delle componenti reddituali afferenti alle partecipazioni in società italiane. Qualora la partecipazione sia attribuita ad una stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero – come è evidente – la delocalizzazione manca in radice, in quanto le componenti reddituali sono comunque soggette ad imposizione in Italia e, dunque, non sembrerebbe giustificata una riqualificazione della residenza del soggetto estero.

 

Organo amministrativo composto prevalentemente da soggetti residenti

La peculiarità della seconda fattispecie risiede nella compresenza, accanto al rapporto di controllo attivo, della circostanza che l’organo amministrativo sia prevalentemente composto da soggetti residenti.

In questo caso, compito dell’Amministrazione è semplicemente quello di verificare la residenza degli amministratori ritualmente designati, nel senso che la presunzione viene ad operare qualora essi, in prevalenza, risultino residenti in Italia.

Non sembra, invece, necessario risalire all’identificazione degli eventuali amministratori di fatto.

Una simile verifica appare senz’altro importante ai fini dell’individuazione dell’effettiva sede dell’amministrazione, ma non sembra altrettanto rilevante in relazione alla disciplina presuntiva in commento. La logica del meccanismo presuntivo è infatti quella di imporre un’inversione dell’onere della prova in base alla sussistenza di elementi di facile ed immediata verificabilità. Il ruolo di amministratore di fatto di un soggetto estero, viceversa, non è un dato noto o di immediata percezione, né tantomeno di agevole accertamento sul piano probatorio, così non pare logico pensare che il legislatore abbia inteso fondare su di esso l’operatività della presunzione.

 

Arco temporale della verifica

L’analisi degli elementi presuntivi va compiuta alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato.

Così dispone espressamente il nuovo comma 5–ter dell’art. 73 del TUIR, con riferimento alla sussistenza dei presupposti del controllo di cui al comma 5–bis.

Sull’interpretazione di tale riferimento puntuale non vi è però uniformità di opinioni.

Secondo una prima tesi – cui anche l’Agenzia delle entrate sembra aderire nella sua circolare n. 28/E del 2006 – poiché il comma 5-bis è disposizione che contempla sia il controllo attivo che il controllo passivo, tali elementi dovrebbero essere entrambi sussistenti alla data di chiusura dell’esercizio del soggetto estero.

In quest’ottica – parrebbe logico ritenere – la presunzione di residenza avrebbe una valenza estesa anche ai successivi periodi di imposta: il soggetto estero, una volta riqualificato presuntivamente come residente in Italia per effetto della coesistenza, a fine esercizio, del controllo attivo e passivo, permarrebbe in tale status finchè perdurano i rapporti partecipativi di controllo; ossia fino a quando il controllo da parte di soggetti residenti nei confronti del soggetto esterovestito e/o quello del soggetto esterovestito verso soggetti italiani non vengano meno.

Ne consegue, in altre parole, che se, al termine di un periodo di imposta, vengano a sussistere gli anzidetti legami partecipativi (di controllo attivo e passivo) del soggetto “esterovestito” e in un periodo di imposta successivo tale soggetto dismetta la partecipazione di controllo verso la società (o le società) residente in Italia, esso cesserebbe evidentemente di ricadere nella presunzione di residenza, ma il realizzo della partecipazione sconterebbe il prelievo in Italia in quanto ascrivibile ad un soggetto fino a quel momento da considerarsi residente nel territorio dello Stato (semprechè, naturalmente, la presunzione di residenza non venga contrastata efficacemente tramite la prova contraria).

In dottrina è stato per contro osservato che una simile ricostruzione – ossia la tesi della valenza intertemporale della presunzione di residenza – sarebbe eccessiva ed in contrasto con il principio comunitario di proporzionalità, dal momento che la residenza è requisito che, sul piano sostanziale, va verificato in relazione al singolo periodo di imposta e non in un arco temporale pluriennale, non essendo una caratteristica soggettiva permanente.

In questa diversa prospettiva – per cui la presunzione di residenza avrebbe una valenza limitata a ciascun periodo di imposta in cui se ne verificano i presupposti – si osserva che la corretta interpretazione dovrebbe essere quella di considerare la situazione esistente a fine esercizio solo con riferimento al controllo passivo e non anche al controllo attivo, in quanto, diversamente, la presunzione risulterebbe inoperante proprio nel periodo di imposta in cui il soggetto cede la partecipazione di controllo e, quindi, non la possieda più alla data di chiusura del proprio esercizio: il controllo attivo, dunque, – per rendere operativa la presunzione – dovrebbe sussistere per la maggior parte del periodo di imposta.

Anzi, più precisamente, si prospetta che anche il controllo passivo, per integrare i presupposti della presunzione, dovrebbe permanere per la più parte del periodo di imposta e dovrebbe altresì sussistere, per espressa disposizione (esso solo, però, e non anche il controllo attivo) a fine periodo. A sostegno di questa tesi viene, altresì, invocato il secondo periodo del comma 5-ter che concerne, pacificamente, il controllo passivo esercitato da parte di persone fisiche italiane sul soggetto estero, da ciò desumendone che anche il primo periodo dovrebbe vertere sulla stessa tipologia di controllo.

Si tratta di due posizioni molto discordanti che dovranno trovare un adeguato chiarimento.

Considerazioni analoghe a quelle fin qui svolte si possono formulare con riferimento all’accertamento dei presupposti della fattispecie presuntiva basata, oltre che sul controllo, sulla presenza, in prevalenza, di amministratori residenti in Italia.

Peraltro, l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007, in relazione alla fattispecie presuntiva fondata sulla residenza degli amministratori del soggetto estero, ha ritenuto necessaria la permanenza di tale requisito per la maggior parte del periodo di imposta. E’ probabile che l’Agenzia sia addivenuta a questa conclusione poiché, come detto, la disciplina normativa testualmente ricollega la verifica della situazione esistente al termine dell’esercizio al solo requisito del controllo, ovvero dando rilievo al fatto che la residenza degli amministratori è un dato che, di per sé, si desume in base al perdurare di uno status e non in base ad un riferimento temporale puntuale. Non possiamo però nasconderci che questa soluzione finisce per riservare alle due fattispecie presuntive meccanismi di funzionamento diversi.

Quale che sia l’impostazione prescelta – quella cioè di assumere il termine dell’esercizio come momento per verificare sia il controllo che la residenza degli amministratori ovvero il solo controllo – l’applicazione della presunzione con un riferimento temporale puntuale da un lato facilita il funzionamento della presunzione, dall’altro introduce elementi di rigidità che possono dar luogo a problematiche di varia natura.

La rigidità può essere, in primo luogo, a danno del contribuente. Caso tipico è l’ipotesi – ove si aderisca alla tesi dell’Agenzia delle entrate sulla rilevanza della situazione esistente a fine esercizio – di una società residente che acquisti una partecipazione di controllo in un soggetto estero (a sua volta controllante di una società residente) in un momento immediatamente antecedente alla chiusura dell’esercizio.

La stessa cosa può accadere – sempre aderendo alla posizione dell’Agenzia – anche laddove sia il soggetto estero ad acquisire il controllo della società o ente italiano in prossimità della chiusura dell’esercizio (controllo attivo). In questi casi, vi è un rimedio, come vedremo nel paragrafo successivo, sul piano della prova contraria per carenza di significatività dei presupposti della presunzione (con riguardo, naturalmente, al solo periodo di imposta in cui è avvenuto l’evento; non ai periodi successivi, per i quali eventualmente si protrae la situazione di doppio controllo).

L’acquisto recente, in particolare, dovrebbe poter costituire un elemento atto ad assolvere all’onere della prova posto a carico del contribuente e a dimostrare che il controllo si è protratto per una durata insufficiente ad instaurare un attendibile legame territoriale con l’Italia. La presunzione può, cioè, essere validamente contrastata facendo valere l’insussistenza, in concreto, del requisito della permanenza per la maggior parte del periodo di imposta della sede dell’amministrazione; requisito che è anch’esso implicitamente presunto, in base alla disciplina in commento, ritenendolo sussistente nella normalità dei casi .

La rigidità, può, però, operare anche in senso contrario alle ragioni del fisco. A causa del riferimento temporale puntuale, il contribuente ha infatti la possibilità di liberarsi agevolmente della presunzione cedendo la partecipazione di controllo in prossimità della chiusura dell’esercizio per ricomprarla successivamente.

Analoghi effetti si producono laddove il contribuente ceda definitivamente la partecipazione di controllo a terzi a ridosso della chiusura dell’esercizio, dopo aver esercitato il controllo per la quasi totalità del periodo di imposta. Qui il problema è più complesso in quanto l’Amministrazione finanziaria, per continuare ad applicare la presunzione, dovrebbe dimostrare la fittizietà della cessione, ossia che ricorrono gli estremi di una simulazione assoluta.

Qualora, ad esempio, la cessione ravvicinata alla chiusura dell’esercizio dissimuli l’intento, condiviso dalle parti, di conservare la titolarità della partecipazione al cedente (apparente), si può pensare che il riferimento temporale della norma al momento di chiusura dell’esercizio della controllata non sia di ostacolo all’operatività della presunzione, fermi restando i problemi di prova della simulazione che saranno senz’altro di più agevole soluzione laddove la cessione apparente sia seguita da una retrocessione ravvicinata al primo cedente.

Più in generale, conclude Assonime, che, al di là di delle questioni relative alla rigidità del riferimento temporale per la verifica dei presupposti della presunzione, le modalità per sottrarsi all’operatività della disciplina presuntiva potrebbero essere molteplici.

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Antonino Romano

20 Novembre 2007