Società estera in Italia: distinguere tra esterovestizione e stabile organizzazione | Parte 2

Continuiamo a trattare della distizione tra esterovestizione e stabile organizzazione.

Se non l’hai già fatto, leggi la 1a parte dell’intervento: Società estera in Italia: distinguere tra esterovestizione e stabile organizzazione | Parte 1

 

Concetto di Stabile Organizzazione

requisiti stabile organizzazioneSecondo il concetto di “stabile organizzazione”, allo Stato spetta l’esercizio del diritto impositivo su di una impresa estera solo qualora tale impresa abbia una stabile organizzazione all’interno del suo territorio; diversamente tale Stato non potrà esercitare  alcuna imposizione fiscale.

Si evidenzia che una stabile organizzazione non viene considerata come un contribuente “residente” nello Stato bensì identificata quale contribuente “non residente” cui compete l’obbligo fiscale per gli utili conseguiti nell’esercizio stesso della stabile organizzazione nel territorio nazionale.

E’ per questo che una società italiana non può essere considerata contemporaneamente  Esterovestita se ad essa gli viene imputato un reddito derivante dalla presenza di una stabile organizzazione nello stesso Stato.

In caso di Esterovestizione, la società si considera a tutti gli effetti residente in Italia in quanto nel medesimo territorio, per la maggior parte del periodo d’imposta è stata individuata una sede legale ovvero una sede amministrativa ovvero l’oggetto principale.

Invece, come detto in precedenza in caso di stabile organizzazione, il contribuente viene considerato “non residente”, quindi possiamo dire che l’una esclude l’altra anche se come abbiamo visto parlando di esterovestizione l’oggetto principale può realizzarsi attraverso una “stabile organizzazione materiale”, concetto quest’ultimo molto forte per dimostrare, come vedremo nel successivo caso pratico, l’esistenza in Italia di una Stabile organizzazione.

La definizione generale di stabile organizzazione è presente nell’art. 5 del modello citato OCSE.

In particolare, nell’ambito dell’art. 5, al paragrafo 1, viene data la seguente definizione di “stabile organizzazione materiale”:

“Ai fini della presente convenzione, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.

In presenza, quindi, di una sede fissa d’affari (fixed place of business) può verificarsi l’esistenza di una stabile organizzazione se per il mezzo di tale sede, l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.

Tale presupposto deve verificarsi nella sua interezza e, in particolare, devono presentarsi gli elementi caratterizzanti di:

  • una sede di affari;
  • permanenza della sede di affari;
  • svolgimento di una attività economica nel suo complesso o parzialmente;
  • svolgimento per mezzo della sede di affari.

 

Tali caratteristiche devono verificarsi contemporaneamente al fine di determinare la presenza o meno di una stabile organizzazione.

Nel modello OCSE, inoltre, al paragrafo 2 dell’art. 5, vengono elencate una serie di fattispecie che potrebbero configurare l’esistenza di una sede fissa di affari, tra le quali si evidenzia:

  • una sede di direzione;
  • una succursale;
  • un ufficio;
  • un officina;
  • un laboratorio

 

Le ipotesi “negative” di stabile organizzazione materiale secondo l’art. 5 del modello OCSE

L’art. 5 del modello OCSE, al paragrafo 4, stabilisce i presupposti secondo cui un attività svolta da una sede d’affari non può configurare l’esistenza di una stabile organizzazione. Tale paragrafo prevede, di fatto delle eccezioni alla definizione generale di stabile organizzazione dettata dal paragrafo 1 dell’art. 5. Si tratta in particolare, di quelle attività le cui caratteristiche principali sono la “ausiliarietà” e la “preparatorietà” rispetto all’attività principale propria dell’impresa.

 

La stabile organizzazione “personale”

Qualora non si verifichi  l’esistenza di una stabile organizzazione “materiale” secondo i presupposti sopra citati, un impresa straniera può vedersi accertare, comunque, l’esistenza di un tipo diverso di stabile organizzazione, denominata “stabile organizzazione personale”.

Nel caso di una stabile organizzazione personale l’impresa estera opera in uno Stato diverso da quello della propria residenza per mezzo di un agente dipendente, così come definito al paragrafo 5 dell’art. 5 del modello OCSE.

La persona che agisce come tale e pertanto configura in sé la stabile organizzazione deve presentare alcune caratteristiche come:

 

1) essere una persona secondo la definizione del trattato.

La definizione di persona deve essere intesa secondo l’art. 3 del modello OCSE che identifica come tali “le persone fisiche, le società e ogni altra associazione di persone”. In particolare è previsto che tali persone agiscono quali agenti dipendenti, da distinguere rispetto alla definizione di agente indipendente.

 

2) avere uno status di dipendenza:

La persona agente dipendente può essere sia un agente vincolato contrattualmente come tale ma anche una persona che agisce per conto dell’impresa non residente. Può essere tale anche un lavoratore alle dipendenze dell’impresa non residente che svolga la propria attività lavorativa in un altro Stato.

Si sottolinea che un ipotesi “negativa” di stabile organizzazione personale è configurata dalla qualificazione di “agente indipendente dal punto di vista sia economico che legale”; stabilire cosa non configura un agente come “indipendente” ci dà conseguentemente una qualificazione dell’agente “dipendente”.

L’indipendenza dal punto di vista legale di un agente si esplica quando il preponente non può esercitare un controllo generale sull’agente né impartire dettagliate istruzioni allo stesso. Altrettanto rilevante è l’indipendenza dell’agente dal punto di vista economico.

A tal riguardo, il commentario OCSE, secondo paragrafo 38.6 introdotto con la versione di gennaio 2003 prevede che è meno probabile che vi sia una indipendenza dell’agente quando il preponente sia l’unico cliente dell’agente (ad esempio in un tipo di rapporto monomandatario).

 

3) agire per conto dell’impresa esercitando regolarmente i poteri per la conclusione di contratti in nome e per conto dell’impresa.

L’agente dipendente dovrà esercitare abitualmente i poteri attribuitigli e non sporadicamente, in casi isolati. La verifica dell’esercizio abituale dei poteri dovrà essere effettuata tenendo conto della situazione commerciale, anche alla luce del tipo di attività imprenditoriale svolta dall’impresa estera. Infatti i poteri devono riferirsi alla conclusione di contratti relativi a operazioni proprie dell’attività imprenditoriale del soggetto non residente.

 

La Stabile Organizzazione secondo la normativa italiana

Fino al 1° gennaio 2004 la nostra legislazione fiscale non presentava una definizione di stabile organizzazione; tuttavia la fattispecie è stata più volte citata nelle norme di legge, ai fini sia delle imposte dirette che dell’IVA.

Ciò ha comportato un elaborazione del concetto sia da parte della prassi che della giurisprudenza, sulla scorta dei principi internazionalmente riconosciuti.

Con la riforma IRES (Imposta sul reddito delle società che ha sostituito l’Imposta sul reddito delle persone giuridiche – IRPEG), in vigore dal 1° gennaio 2004 è stata effettuata una inversione di rotta, in quanto il legislatore ha ritenuto opportuno introdurla, conformandosi quasi pienamente alla prassi convenzionale seguita fino ad oggi dall’Italia e ai principi internazionalmente stabiliti sulla base del modello OCSE. L’art. 162 del T.U.I.R. – Testo unico delle imposte sui redditi – approvato con D.P.R. nr. 917/86 – è stato aggiunto dall’art. 1, comma 1 del D.Lgs 344 del 12.12.2003, applicabile a decorrere dal periodo d’imposta che ha inizio successivamente al 1° gennaio 2004.

La legge delega ha stabilito che nella normativa fiscale italiana fosse introdotta una

“definizione della nozione di stabile organizzazione sulla base dei criteri desumibili dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni”.

L’Italia, nella sua prassi ministeriale ha in passato riconosciuto la rilevanza del modello OCSE con riferimento alla definizione di stabile organizzazione e del commentario per la sua interpretazione.

 

Stabile organizzazione “materiale” secondo il T.U.I.R.

La definizione di stabile organizzazione materiale contenuta nell’art. 162 TUIR, comma 1, riprende pienamente la definizione oggi presente nel modello OCSE all’art. 5 paragrafo 1:

“Fermo restando quanto previsto dall’art. 169, …..omissis ….. l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato”.

Relativamente alla frase di apertura del comma 1 dell’art. 162 che fa riferimento all’art. 169 TUIR, essa sta a significare che la norma interna definitoria della stabile organizzazione, sarà applicabile anche in presenza di trattato, qualora la prima sia più favorevole al contribuente.

 

Stabile organizzazione “personale” secondo il T.U.I.R.

La stabile organizzazione personale è stata introdotta con i commi 6 e 7 dell’art. 162 del T.U.I.R..

Le regole stabilite riproducono quasi sostanzialmente il contenuto, rispettivamente, dei paragrafi 5 e 6 dell’art. 5 del modello OCSE.

 

Giurisprudenza nella definizione di stabile organizzazione.

La giurisprudenza, sia della Suprema Corte di Cassazione che delle Commissioni tributarie, si è occupata da tempo di stabile organizzazione, analizzando sporadicamente i singoli casi di volta in volta presentatisi e cercando di trarne una definizione sulla base dei principi internazionali, in assenza di una norma  domestica definitoria.

Il punto di svolta nell’attività giurisprudenziale italiana è stato stabilito dal caso “Philip Morris” in quanto la Cassazione ha posto una diversa e più analitica attenzione all’argomento, elaborando i principi che internazionalmente definiscono la stabile organizzazione.

Con riferimento alla posizione adottata dalla giurisprudenza italiana in materia di stabile organizzazione negli anni post riforma fino alla vicenda Philip Morris, la stessa è stata caratterizzata  da una lenta e graduale evoluzione, volta ad assimilare i principi propri della fiscalità internazionale in materia.

La Corte di Cassazione con sentenza nr. 2584 del 30 novembre 1967 e nr. 2672 del 9 luglio 1975 ha, in prima istanza, fatto coincidere la fattispecie fiscale della stabile organizzazione con la definizione civilistica di “sede secondaria con rappresentanza stabile”, di cui all’art. 2506 c.c. che recita

“Le società costituite all’estero, le quali stabiliscono nel territorio dello Stato una o più sedi secondarie con rappresentanza stabile, sono soggette, per ciascuna sede alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali”.

Successivamente si è verificata la tendenza a distinguere i due concetti, rilevando che la definizione civilistica può essere coincidente ma non esaurire la definizione di stabile organizzazione.

Tale posizione è chiaramente riscontrabile nella sentenza nr. 8820 del 27 novembre 1987 emessa dalla Corte di Cassazione, in cui si intravede il chiaro tentativo di uniformare la definizione di stabile organizzazione data ai fini fiscali con quella internazionalmente riconosciuta del modello OCSE.

 

La stabile organizzazione deve evidenziare le seguenti caratteristiche:
  • una organizzazione strumentale all’attività svolta dall’ente non residente in Italia;
  • una organizzazione stabile, tale da poter essere utilizzata in maniera durevole;
  • irrilevanza della dimensione e assetto di tale organizzazione;
  • irrilevanza del tipo di attività svolta.

 

Alla luce della posizione assunta dalla Cassazione, resta ininfluente il fatto che la stabile organizzazione svolga un attività secondaria rispetto a quella dell’ente estero, né è richiesto che la stessa sia produttiva di reddito o dotata di autonomia gestionale o contabile.

La Corte di Cassazione ha concluso sostenendo che il requisito della stabile organizzazione in Italia doveva essere ritenuto esistente

“quando l’ente straniero svolgesse abitualmente attività nel territorio nazionale avvalendosi di una struttura organizzativa materiale e/o personale, qualunque ne fosse la dimensione, purché non avesse carattere precario o temporaneo e costituisse, quindi, un centro di imputazioni di rapporti e situazioni giuridiche riferibili al soggetto straniero”

Relativamente alla posizione assunta, la Cassazione ha tenuto a rilevare la sostanziale corrispondenza tra la definizione di stabile organizzazione data in tale sede e la definizione data dal modello OCSE.

La sentenza, quindi, per la prima volta ha tentato di analizzare in dettaglio gli elementi che possono condurre all’accertamento dell’esistenza della stabile organizzazione conformemente ai principi internazionali, affrancandosi dalla definizione domestica di sede secondaria con rappresentanza stabile di cui al Codice civile.

La Corte di Cassazione si è inoltre pronunciata in materia di stabile organizzazione in applicazione della normativa IVA con sentenza n. 9580 del 19 settembre 1990 (Sez. I civ.).

In tale sede la suprema Corte ha fornito una ulteriore definizione di stabile organizzazione che prescindesse dal concetto civilistico di sede secondaria con rappresentanza stabile, sottolineando come la verifica della esistenza di una stabile organizzazione non sia da ricollegare agli adempimenti posti a carico di una società non residente che denunci l’esistenza di una sede secondaria ai sensi dell’art. 2506 del C.c., ma a situazioni di fatto che dimostrino il fine attribuibile ai soggetti non residenti di

“esercitare nello Stato attività imprenditoriale e siano caratterizzate, oltre che dal collegamento non occasionale con luoghi del territorio nazionale e persone qui operanti, dall’effettivo impiego di beni ed attività lavorative, coordinati per la produzione e/o lo scambio di beni e servizi e da un effettiva, anche se limitata autonomia funzionale”

Una diversa sentenza (Cassazione Sez. I civ. 2229 del 16 marzo 1996) ha esplicitato il concetto secondo cui

“la nozione di stabile organizzazione in Italia … omissis ….postula necessariamente un quid pluris rispetto alla mera estrinsecazione delle energie fisiche od intellettuali della persona fisica, cioè un apporto di capitale e di lavoro altrui, od almeno di un apprezzabile  sostrato patrimoniale in cui dette energie si estrinsecano”.

 

Paolo Giovanetti

Novembre 2006