Spese di pubblicità: la contabilizzazione vincola anche la deduzione

Spese di pubblicità: l’agenzia delle entrate è intervenuta in merito, a mezzo la DRE Lombardia con la pronunzia n. 7798/05, affermando la dipendenza delle scelte fiscali da quelle civilistiche, per cui :
– in caso di capitalizzazione delle spese, esse non possono essere dedotte in un unico esercizio;
– in caso di imputazione a conto economico, le spese non possono essere dedotte in maniera frazionata in cinque anni.

Note sulla pronunzia della D.R.E. Lombardia 7798/05

Le norme

Come è noto, le spese di pubblicità sono deducibili nell’esercizio di competenza, oppure in cinque esercizi a partire dallo stesso. Infatti, l’articolo 108 comma 2 del Tuir prevede che

“le spese di pubblicità e di propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”;

l’utilizzo della congiunzione “e” basta ad escludere la possibilità di ammortizzare le spese in esercizi inferiori a cinque.

Esempio:

Nel caso in cui dunque una società sostenga nel corso dell’anno 2006 delle spese di pubblicità per € 10.000,00, avrà due possibilità:

  • dedurre interamente nell’esercizio 2006 l’importo di 10.000,00;
  • dedurre 2.000,00 euro ogni anno, dal 2006 al 2010.

Dal punto di vista civilistico, la regola è quella della iscrizione a conto economico, posto che l’articolo 2426 comma 1 n. 5) del Codice Civile così dispone :

“i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso del collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni.

Fino a che l’ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati.”

Sotto l’aspetto civilistico, dunque, in considerazione della suddetta tendenza a considerare i costi di pubblicità come spese d’esercizio, l’ammortamento in cinque anni è solo la durata massima, e non dunque l’unica ipotesi: in altre parole, nulla vieta alla società di cui all’esempio precedente, di “ammortizzare” le spese in tre esercizi, per un importo di € 3.333,33, semprechè ovviamente esse abbiano i requisiti previsti per la loro capitalizzazione.

Le condizioni per la capitalizzazione in bilancio

Infatti, a differenza del legislatore fiscale, che non prevede alcuna condizione per capitalizzare le spese di pubblicità, il Codice Civile la ammette solo se:

  1. tali costi assumono una utilità pluriennale,
  2. vi sia il consenso del collegio sindacale;
  3. finché l’ammortamento di tali spese non sia completato, esistano riserve “disponibili” di un importo sufficiente a coprire quello del costo residuo da ammortizzare.

In riferimento alla condizione di cui al punto 1) si ritiene che l’utilità pluriennale si riscontri solo se esistono ragionevoli aspettative di importanti e duraturi ritorni economici da esse derivanti.

In riferimento alla condizione di cui al punto 2), si evidenzia come la capitalizzazione debba essere avallata dal parere del collegio sindacale, se esistente, nella relazione al bilancio; per le imprese prive del collegio, il rispetto delle altre condizioni normative non può in nessun caso subire delle eccezioni.

La condizione di cui al punto 3) è invece dettata al fine di evitare che vengano distribuiti degli utili non ancora conseguiti, in quanto frutto di stima.

Le previsioni del Codice Civile sono state poi integrate dalle avvertenze del principio contabile n. 24, come integrato dall’ OIC n. 24.

Il principio contabile giustifica la rigorosità civilistica osservando come la capitalizzazione delle spese di pubblicità non sia prevista dalle norme comunitarie, né nelle prassi o regolamentazioni contabili o internazionali più diffuse, in considerazione del fatto che tali spese hanno di solito carattere ricorrente, che contrasta dunque con il principio alla base della capitalizzazione, e in considerazione altresì della loro natura, che fa sì che in caso di capitalizzazione si rischierebbe di snaturare il bilancio, facendogli esprimere risultati non veritieri.

Come corollario a tale tesi, il principio contabile afferma che l’aver incluso i costi di pubblicità insieme a quelli per ricerca e sviluppo (si legga la formulazione del punto 5 dell’articolo 2426 del Codice Civile suesposto) può allora essere interpretato come una volontà di permetterne la capitalizzazione solo se essi (cioè i costi di pubblicità) siano funzionali agli oneri pluriennali, primi tra tutti quelli di impianto e di ampliamento.

Pertanto, in aggiunta alle condizioni esplicitamente previste dal codice civile, il redattore del bilancio dovrà annoverare anche le seguenti:

4) che le spese non abbiano carattere ricorrente;

5) che si tratti di spese che siano state essenziali al buon esito di un nuovo progetto, al punto tale da poter essere capitalizzate solo in presenza di correlati costi di impianto o di ampliamento (è il caso, ad esempio, del lancio di un prodotto innovativo, o di una nuova attività produttiva).

La questione

contabilità spese di pubblicità e di rappresentanzaLa differenza tra norma civile e norma fiscale, è, sotto tale aspetto, quanto mai evidente; e ciò è tutto sommato spiegabile, posto che non bisogna dimenticare che la norma fiscale persegue il fine della corretta determinazione del debito fiscale, e non quello della rappresentazione corretta della situazione dell’impresa, obiettivo che invece è alla base delle norme civilistiche.

Ma, analizzate le condizioni necessarie per poter capitalizzare tali spese, nonché il periodo di ammortamento che ne deriva, ed effettuato il raffronto con le possibilità di deduzione concesse dalla norma fiscale, il problema sta nel chiarire se la possibilità ammessa dalla norma fiscale prescinda dalle valutazioni espresse in sede di bilancio.

In altre parole, e tornando al nostro esempio, se la società decide, ricorrendone le condizioni, di capitalizzare le spese di pubblicità (da due a cinque anni che sia il periodo stimato da amministratori e avallato dai sindaci), ha la possibilità di dedurle tutte in un solo esercizio ai fini delle imposte dirette? O, al contrario, se si tratta di spese non capitalizzabili civilisticamente, e che quindi sono state imputate a conto economico, è possibile la deduzione in cinque anni dal punto di vista fiscale ?

La pronunzia ministeriale

L’agenzia delle entrate è intervenuta in merito, a mezzo la DRE Lombardia con la pronunzia n. 7798/05 (che ha confermato quanto già espresso dalla DRE Piemonte in un’altra Nota di qualche tempo prima), affermando la dipendenza delle scelte fiscali da quelle civilistiche, per cui :

  1. in caso di capitalizzazione delle spese, esse non possono essere dedotte in un unico esercizio;
  2. in caso di imputazione a conto economico, le spese non possono essere dedotte in maniera frazionata in cinque anni.

In altre parole, secondo il pensiero dell’Amministrazione, la norma fiscale non sarebbe autonoma, ma al contrario una norma che semplicemente consentirebbe di seguire il criterio adottato civilisticamente.

Le conseguenze

Riguardo a tale tesi dell’Amministrazione Finanziaria, sono d’obbligo alcune considerazioni.

Innanzitutto, si deve ricordare come le spese di pubblicità siano tra l’altro escluse dall’applicazione del regime delle deduzioni extracontabili di cui all’articolo 109, per cui in nessun caso la società potrebbe avvalersi di tale norma per poterle dedurre in maniera diversa da quella che deriva “automaticamente” dalla loro contabilizzazione ed esposizione in bilancio.

Inoltre, si rileva come tale interpretazione sia ancora più penalizzante per le società che sono obbligate ad utilizzare (o che vorranno utilizzare) i principi contabili IAS, posto che tali principi non prevedono la possibilità di imputare a conto economico tali spese.

Infine, la pronunzia non lascia intendere come debba comportarsi la società per dedurre tali spese se ne decide la capitalizzazione per un periodo diverso dai cinque esercizi; in tal caso, infatti, la società non potrebbe dedurre detti costi né in un unico esercizio, né in più esercizi, in quanto come detto la norma fiscale ne prevede la “rateizzazione” inderogabilmente in cinque esercizi. E’ evidente che per tale fattispecie sarebbe urgente un intervento dell’Amministrazione Finanziaria, posto che in caso contrario le società inevitabilmente stimerebbero il periodo di capitalizzazione sempre in cinque anni, eludendo così il problema.

Concludiamo con uno specchietto che sintetizza le affermazioni del Fisco.

Scelta di bilancio (civilistica)

Deduzione in cinque anni

Deduzione in un solo anno

Capitalizzazione in x anni (da due a cinque)

Nessuna soluzione, per effetto della pronunzia da parte dell’amministrazione finanziaria

Non ammessa

Imputazione a conto economico

Non ammessa

Ammessa

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Danilo Sciuto

Luglio 2006