Intromissione di beni nell'impresa individuale

Se il titolare di un’impresa individuale decide di utilizzare taluni suoi beni posseduti come persona fisica, bisogna procedere all’intromissione dei beni nell’impresa, operazione mediante la quale i beni passano dalla sfera persona a quella imprenditoriale. Spieghiamo come funziona.

L’intromissione di beni nell’impresa

Nella prassi delle imprese individuali, capita che il titolare decida di utilizzare taluni beni posseduti come persona fisica (e non imprenditore).

Per far questo, è necessario procedere formalmente a quella che viene chiamata “intromissione” dei beni nell’impresa, così definita in quanto viene concettualmente a contrapporsi all’“estromissione”, ossia all’operazione opposta mediante la quale i beni passano dalla sfera imprenditoriale a quella personale.

 

Quali sono i “beni relativi all’impresa”

Il principale problema da risolvere in queste situazioni, e di cui tratteremo tra un attimo, è quello di dare un valore a tali beni; per affrontare correttamente la questione occorre tuttavia previamente individuare con certezza quali siano i beni che sono da comprendere nell’area imprenditoriale (e quindi, per esclusione, nell’area privata).

Al riguardo, soccorre l’art. 65 Tuir, intitolato “beni relativi all’impresa”, che individua alcuni criteri oggettivi per l’attribuzione dei beni al patrimonio aziendale.

La norma considera relativi all’impresa individuale:

  • i beni cosiddetti “merce”, ossia quelli la cui vendita genera ricavi, e che sono individuati dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 85 del Tuir (materie prime e sussidiarie, semilavorati, beni mobili acquistati per essere impiegati nella produzione)
  • i beni strumentali per l’esercizio dell’attività d’impresa stessa;
  • i crediti acquisiti nell’esercizio dell’impresa;
  • tutti i beni (mobili ed immobili) appartenenti all’imprenditore che siano indicati tra le attività relative all’impresa nell’inventario tenuto a norma dell’articolo 2217 Codice Civile.

 

La determinazione del valore dei beni “intromessi”

Evidentemente, l’imprenditore è libero di apportare nella sua impresa qualunque bene possa servire, ossia

  • beni strumentali ammortizzabili,
  • merci,
  • immobili,
  • terreni.

 

A ciascuno di questi tipi di beni la legge assegna un criterio particolare di determinazione del valore “di carico”.

Vediamo quali sono, distinguendo tra:

  • beni strumentali ammortizzabili,
  • beni mobili strumentali non iscritti in pubblici registri,
  • e beni non strumentali.

 

Per i beni strumentali ammortizzabili, la disposizione normativa contenuta nell’art. 65, comma 3-bis, del Tuir dispone che

“per i beni strumentali dell’impresa individuale provenienti dal patrimonio personale dell’imprenditore è riconosciuto, ai fini fiscali, il costo determinato in base alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 689”.

 

Tale D.P.R. prevede, all’art. 4, un criterio di valutazione per i beni immobili strumentali basato sul costo.

Il costo è rappresentato dal valore risultante ai fini delle imposte di registro o di successione.

Tuttavia, in mancanza di tali dati, si assume quale valore il prezzo indicato nell’atto di acquisto, maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione.

Per ciò che riguarda, invece, i beni costruiti in economia od in appalto si assume quale valore il costo di produzione documentato o da stimare con riferimento alla data di ultimazione della costruzione.

Si precisa che, sempre ai sensi dell’art. 4 citato, il valore ottenuto come sopra deve essere maggiorato, a titolo di spese incrementative, nella misura del tre per cento per ciascun anno o frazione d’anno superiore a sei mesi o nella maggior misura risultante dalla relativa documentazione.

Anche per ciò che attiene i beni mobili strumentali non iscritti in pubblici registri il  D.P.R. n. 689/1974, stavolta all’articolo 5, prevede che la valutazione debba essere fatta sulla base del costo di acquisizione maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione.

Qualora non sia possibile produrre la documentazione del costo, si dovrà assumere il valore normale alla data di acquisizione.

In riferimento a tale criterio, tuttavia, taluna dottrina non ha mancato di esporre delle critiche, sostenendo che l’adozione di un valore coincidente con il costo rappresenta una soluzione di comodo che ha il vantaggio di evitare agli uffici fiscali verifiche volte ad appurare la corretta determinazione del valore normale dei beni immessi nel regime di impresa.

Tale dottrina ritiene dunque più verosimile consentire ai beni immessi nel regime d’impresa l’iscrizione al valore corrente anziché al costo.

È evidente, tuttavia, che non è possibile derogare al criterio sancito dall’articolo 65, comma 3-bis del Tuir, sicché attualmente l’unico criterio possibile è quello del costo storico. In tal modo l’immissione di beni strumentali ammortizzabili nel regime d’impresa non genera alcun fenomeno impositivo né costituisce realizzo di plusvalenze in capo al soggetto che conferisce i beni.

Lo stesso comma 3-bis stabilisce poi che tale valore deve essere iscritto nel libro degli inventari, se tenuto, o, in alternativa, nel registro cespiti ammortizzabili, e sarà oggetto di ammortamento a partire dall’esercizio in cui viene immesso nella sfera imprenditoriale, sulla base dei coefficienti ormai noti.

Per quanto riguarda il criterio da applicare ai beni non strumentali, la questione risulta più complessa, in quanto allo stato attuale nessuna disposizione normativa disciplina il passaggio al regime d’impresa dei beni non strumentali provenienti dalla sfera privata.

D’altronde, una indicazione “in negativo” si rinviene nella risoluzione 19 luglio 2002, n. 242/E, nella quale l’Agenzia delle Entrate, trattando il tema del trasferimento di partecipazioni dalla sfera istituzionale alla sfera commerciale di un ente ecclesiastico, ha avuto modo di precisare come l’ambito di applicazione del comma 3-bis dell’art. 65 del Tuir sia limitato ai beni strumentali suscettibili di ammortamento, come espressamente  indicato dalla norma, lasciando intendere l’impossibilità di applicare per analogia tale disposto alla fattispecie dei beni non strumentali (nel caso trattato dalla risoluzione, come detto si trattava di partecipazioni).

L’Agenzia delle Entrate ha poi continuato motivando la propria affermazione in considerazione del fatto che l’articolo citato esprimesse una norma dal carattere di eccezionalità, ciò che, come noto, rende inapplicabile l’estensione per analogia.

In presenza di tale lacuna, la dottrina ha esposto alcune soluzioni.

Una prima tesi ritiene che nel silenzio della norma la soluzione meno criticabile da parte dell’Amministrazione finanziaria possa consistere nella valutazione al costo storico dei beni non strumentali immessi nel regime d’impresa poiché l’utilizzo per analogia delle disposizioni previste dal D.P.R. n. 689/1974 sembra essere attualmente il sistema caratterizzato da maggiore coerenza rispetto alla disciplina vigente.

In maniera conforme, altra dottrina sostiene che, nonostante l’incertezza domini la questione, vi sono argomentazioni sufficienti per ritenere che la valutazione non possa essere svincolata dal costo storico d’acquisizione.

È il caso di far notare come, comunque, l’adozione del costo storico riverberi i suoi effetti soprattutto al momento della eventuale dismissione, che genererà una plusvalenza o una minusvalenza, parte della quale si è originata nel periodo in cui il bene è appartenuto alla sfera personale dell’imprenditore, e quindi genererà una plusvalenza o una minusvalenza che si sono originate al di fuori della sfera imprenditoriale, e la cui tassazione o deduzione è senz’altro anacronistica.

Minore dottrina ha invece sostenuto che il criterio valido sia quello del valore normale.

In mancanza di una norma specifica, ed in considerazione dell’indirizzo fornito dall’Agenzia delle Entrate, si ritiene comunque di concordare con la dottrina minoritaria appena esposta, posto che il valore normale esprime molto più realisticamente il valore del bene.

 

Scritture contabili dell’intromissione di beni

Quale che sia il valore attribuibile, la scrittura contabile con cui un bene viene attratto nella sfera imprenditoriale è la seguente (ipotizzando la intromissione di un’autovettura e di un quantitativo di merci):

 

Tipo

Numero

Denominazione

D/A

SP

B II

Autovettura

D

SP

C I

Merci

D

SP

A

Titolare c/versamenti

A

 

 

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Marzo 2006

Danilo Sciuto