Primi passi nell’abisso della Contabilità Analitica

Spiegazione e differenze tra contabilità analitica e contabilità generale.

A fronte di analisi di flussi finanziari che, per un periodo, o peggio, per l’intero anno, mostrano disavanzi fra entrate ed uscite, diventa di estrema urgenza risalire ai dati economici di competenza e valutare se, per ogni mese, i ricavi sono maggiori dei costi.

Per effettuare tale valutazione si utilizzano i dati di Contabilita’ Generale.

In particolare, alcune riclassificazioni del Conto economico possono far luce con immediatezza sull’andamento del Margine operativo lordo e dell’ Utile/perdita di periodo.

Se il risultato economico è negativo, l’Imprenditore procederà generalmente ad una revisione immediata della propria strategia. Infatti la piccola impresa non puo’ sostenersi in perdita in attesa di un miglioramento del mercato: non appena avrà la certezza della crisi in atti, ridimensionerà immediatamente le aspettative di profitto e quindi gli investimenti e le spese. L’alternativa sarebbe quella di finanziare con capitale proprio i disavanzi, ma questo appare ragionevole solo se può essere prevista la durata della crisi e l’entità del capitale necessario, più realisticamente si pone il problema di contenere i costi.

Ma dove intervenire? L’analisi dei costi effettuata in base al documento di Contabilità Generale, non sempre è sufficiente per rispondere a questo quesito.

La riclassificazione del Conto economico può fornire un risultato di periodo positivo, ma non sempre questa circostanza “tranquillizza” l’Imprenditore.

Il calcolo del margine ottenuto dal confronto fra fatturato e utile conseguito potrebbe essere positivo, ma esiguo rispetto alle aspettative. “Lavoro fino a notte fonda, il fatturato è alto e sta aumentando, ma perché mi rimane così poco? “ Anche per rispondere a tale quesito non basta l’analisi della Contabilità Generale, occorre scendere nell’abisso della Contabilità Analitica.

Chiariamo subito un presupposto,  i dati di base della Contabilita’ Analitica (Che di seguito chiameremo CO.AN.) sono sempre quelli della Contabilita’ Generale (tranne alcune rilevazioni extra contabili), cio’ che cambia è principalmente il modo di disaggregarli e la filosofia di fondo.

La Contabilita’ Generale nasce come documento di sintesi che certifica i risultati conseguiti dall’Azienda nei confronti dell’esterno, i dati sono rilevati a consuntivo e vengono resi ufficiali con molto ritardo.

La CO.AN è invece un documento che, pur nascendo dalla Contabilità generale,  viene redatto ad uso interno aziendale a cadenza infra-annuale e dunque senza attendere la certificazione  finale del bilancio.

Lo scopo è di conoscere costi/ ricavi e il loro andamento nei punti dove essi vengono generati. E’ dunque necessario scendere nel dettaglio e soprattutto essere tempestivi nelle elaborazioni.

In una piccola impresa la CO.AN si realizza enucleando i centri di ricavo.

Successivamente a ciascuno di essi si associano i costi diretti e per finire si ripartiscono e si imputano i costi comuni.

Al termine il lavoro potrà considerarsi significativo se, fra costi indiretti e costi comuni, saranno imputati almeno il 95% dei costi presenti nella Contabilità Generale. I Costi diretti di solito necessitano di una rilevazione parallela a quella contabile.

Infatti in Contabilita’ Generale si tende generalmente ad aggregare voci di costo più che a distinguerle. A regime, tuttavia, l’Azienda che adotta un sistema di monitoraggio periodico basato sulla  CO.AN. può rivedere il Piano dei Conti e rendere meno sintetica la propria Contabilita’ Generale, in modo da renderla più funzionale per le rilevazioni di CO.AN.

I Costi Comuni devono essere ripartiti sui centri di costo/ricavo in base a criteri concordati.

Qui si apre una disputa che forse merita di essere affrontata in un altro articolo.

Ciò che conta al momento è che di certo attribuire i costi comuni in base ad un criterio può non rispecchiare l’effettivo utilizzo della risorsa da parte del centro di costo, quindi creare una sorta di “ingiustizia”. Allo stesso tempo, tuttavia, non effettuare tale ripartizione impedisce di valutare i centri di ricavo e confrontarli con i costi.

Se infatti al centro di ricavo si associano solo i costi diretti, al massimo si arriverà ad imputare il 20 o il 30% dei costi.

E gli altri? Si possono considerare nel loro complesso, ma questo non soddisfa l’esigenza di dettaglio dell’Imprenditore.

La ripartizione può contenere qualche margine di arbitrarietà, ma se i criteri sono logici e concordati, fornisce un’analisi dei centri di ricavo e il monitoraggio delle performance di essi nel tempo.

L’esperienza al momento ci porta a dire che è meglio un risultato più approssimato che però fa chiarezza nei dettagli, piuttosto che un risultato, magari positivo e certo al 100% che però non riesce a fare luce sul comportamento delle singole aree aziendali e dei centri di profitto.

 

Leggi l’approfondimento: Una nuova opportunità: la contabilità analitica del cliente

 

Novembre 2004

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