Esaminiamo il contrasto interpretativo esistente tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e la prassi dell’Agenzia delle Entrate in materia di rinuncia ai crediti da parte dei soci, con particolare riferimento ai redditi assoggettati a tassazione secondo il principio di cassa. L’analisi si concentra, in particolare, sul superamento — ad opera del Legislatore nel 2015 — del concetto di “incasso giuridico” e sulla parallela, persistente applicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria di una fictio iuris ormai priva di fondamento normativo. Tale prassi amministrativa, infatti, genera effetti distorsivi e si pone in contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva.
La rinuncia al credito da parte del socio: inquadramento fiscale e interpretazioni contrapposte
Nella realtà aziendali delle società di capitali può accadere che i soci vantino dei crediti presso la propria società ai quali successivamente decidano di rinunziare per qualsiasi motivo.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate: l’incasso giuridico del reddito
A tale decisione l’Agenzia delle entrate fin dal 1994, con la circolare 73, ha attribuito una rilevanza di evasione, per sopperire alla quale ha affermato che l’atto di rinunzia costituisca – sebbene in determinati casi – un incasso giuridico del reddito da parte del creditore.
Il caso in mente all’Agenzia delle entrate è quello in cui una società ha dedotto un costo (ad esempio degli interessi passivi su finanziamento) e che il socio, con la rinunzia, non subisca alcuna imposizione, essendo tassato per cassa e non per competenza come la sua srl.
Da tale operazione (di rinunzia) quindi l’agenzia fa scaturire un reddito di capitale, con relativo obbligo di ritenuta a titolo di imposta oppure di dichiarazione, a seconda dei casi.
Il cambiamento normativo del 2015: il comma 4-bis dell’art. 88 TUIR
Ma arriviamo al punto. Con il D.Lgs. n. 147/2015 il legislatore ha introdotto nell’articolo 88 del TUIR, il comma 4 bis, in base al quale viene stabilito che la rinunzia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale.
Tale valore viene determinato dal socio mediante una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, in assenza della quale esso (il valore fiscale del credito) si assume pari a zero rendendo quindi tassabile l’intero ammontare in capo alla società.
L’intervento della Cassazione nel 2023: la fine dell’incasso giuridico
Nel 2023 è intervenuta la Cassazione, che con la sentenza 16595 ha affermato che la disciplina del 2015 appena esposta supera completamente le esigenze che avevano giustificato la tesi dell’incasso giuridico.
In particolare, la Corte ha affermato che le asimmetrie cui la regola dell’incasso giuridico intendeva porre rimedio sono state risolte dal legislatore mutando la disciplina dell’articolo 88 del TUIR (sul versante della società partecipata) e degli articoli 94 e 101 dello stesso TUIR (per quanto riguarda il socio creditore).
La questione dei dividendi: un’interpretazione fuorviante dell’Agenzia
Nonostante questo, l’Agenzia delle entrate continua a sostenere che la rinunzia al credito da dividendi, effettuato da parte di persone fisiche (non esercenti attività d’impresa) costituisca incasso, e quindi comporti l’obbligo di applicazione della ritenuta del 26%; si tratta – come è evidente – di una interpretazione concettualmente errata in quanto il credito da dividendo non deriva certo da una precedente deduzione in capo alla società, né gli utili societari sono già stati passati come reddito di impresa. Di conseguenza non sussiste alcun rischio di salto di imposta.
Rinuncia al dividendo: nessuna tassazione per socio e società
Quello che l’Agenzia delle entrate trascura è che se la rinuncia non è presupposto di un salto di imposta non è neppure presupposto per l’applicazione della disciplina dell’articolo 88 comma 4 bis citato e ciò implica che nei casi in cui il credito rinunciato non sia legato a costi dedotti dalla società – come nel caso dei dividendi – nessuna sopravvivenza attiva possa essere tassata e allo stesso modo il socio non debba subire alcuna tassazione trattandosi di un atto patrimoniale assimilabile alla revoca della delibera di distribuzione.
La rinuncia al dividendo non costituisce quindi sopravvenienza per la società e non determina alcun incremento del valore della partecipazione in capo al socio.
Conclusione: un’interpretazione basata sul gettito, non sul diritto
Si tratta in conclusione della ennesima tesi dell’Agenzia delle entrate basata sull’idea di fare cassa e non sul diritto.
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Mercoledì 26 marzo 2025