Ammesse le nuove prove in appello anche per i ricorsi di primo grado notificati dal 5 gennaio 2024

La Corte Costituzionale interviene sul nuovo regime delle prove in appello nei giudizi tributari, dichiarando l’illegittimità della irretroattività. Ecco cosa cambia per i ricorrenti nei processi pendenti al 5 gennaio 2024.

La Corte Costituzionale è intervenuta nei giorni scorsi con una quanto mai opportuna sentenza, la n. 36, a ristabilire i diritti dei ricorrenti nei giudizi iniziati nel vigore della normativa precedente il 5/1/2024 e ancora in corso. Il problema esaminato riguarda le nuove prove in sede di appello.

 

La Riforma del Contenzioso Tributario: il regime delle prove in appello

nuove prove in appelloIl D. Lgs. n. 220/2023 ha riformato il regime probatorio del grado di appello. L’art. 58 del D.Lgs. n. 546/92 stabilisce oggi che:

  • nuovi mezzi di prova e nuovi documenti sono ammissibili nel solo caso in cui il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa
  • ovvero che la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa a essa non imputabile;
  • possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati.

Tuttavia, e qui arriviamo al problema oggetto del contributo odierno, l’art. 4 comma 2 dello stesso D. Lgs. 220/2023 prevede che la novità si applichi  solo ai giudizi instaurati a decorrere dal 5 gennaio 2024.

 

Nuove prove e motivi aggiunti in appello

Nella versione precedente, l’art. 58 faceva in ogni caso salva la facoltà per le parti di produrre nuovi documenti, a prescindere dal fatto che essi fossero stati prodotti, tempestivamente o meno, in primo grado, e dal motivo della mancata produzione. Pertanto, è senz’altro possibile che la parte del giudizio possa aver fatto affidamento sulla possibilità di depositare ulteriori documenti in appello, mentre invece tale possibilità è stata eliminata, a posteriori, dal legislatore.

Inevitabile la richiesta di pronunzia della Corte Costituzionale, che è arrivata puntuale ad affermare che (sentenza n. 36 di pochissimi giorni fa), è illegittimo l’art. 4 suddetto nella parte in cui prevede che il nuovo regime delle prove in appello decorra dai ricorsi in appello notificati dal 5 gennaio 2024, avendo quindi un effetto sui processi pendenti a danno della difesa delle parti.

In particolare, la Corte Costituzionale ha affermato che

nei casi in cui, al momento dell’entrata in vigore della novella, i termini per le deduzioni istruttorie ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 siano già spirati, le parti non hanno la possibilità di prevenire le conseguenze dei sopravvenuti divieti probatori – e in special modo di quello assoluto ex art. 58, comma 3 – mediante un tempestivo deposito nel giudizio di primo grado”.

E ancora,

“in questo modo, lo ius superveniens, sebbene formalmente operi per il futuro, nella sostanza incide sugli effetti giuridici di situazioni processuali verificatesi nei giudizi iniziati nel vigore della precedente normativa e ancora in corso”.

 

E ora cosa accadrà?

A fronte di questa quanto mai opportuna sentenza, la situazione sarà la seguente:

  • se, in riferimento a un ricorso in appello notificato dal 5 gennaio 2024 sono stati depositati documenti, questi dovranno senz’altro essere esaminati;
  • se invece fosse già stata depositata la sentenza, la Corte di Cassazione, in ragione della sentenza della Corte Costituzionale, potrebbe cassare la sentenza con rinvio al secondo grado in modo che si tenga conto del documento non esaminato.

 

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Danilo Sciuto

Venerdì 4 aprile 2025