Uno degli aspetti più interessanti del concordato preventivo è la (limitata) protezione da verifiche fiscali per chi aderisce. Attenzione, però: questa protezione non si estende alle indagini finanziarie o agli accertamenti bancari, che possono comunque essere utilizzati, esponendo i contribuenti a controlli più approfonditi e invertendo l’onere della prova.
La circolare dell’Agenzia Entrate, del 17 settembre 2024, sul concordato preventivo, al paragrafo 2.5 (rubricato “Effetti derivanti dalla adesione al CPB”) precisa:
“Nei confronti di tutti coloro che aderiscono al CPB non possono essere effettuati gli accertamenti di cui all’art. 39 del DPR 600/1973, salvo che in esito all’attività istruttoria dell’Amministrazione Finanziaria non ricorrano cause di decadenza dal CPB”.
Il fondamento causale di tali ostruzioni accertative va raccordato a dire della stessa Agenzia delle Entrate alla stabilità e certezza che in ordine alle annualità oggetto del concordato assumono i rapporti tra fisco e contribuente.
All’Amministrazione Finanziaria viene quindi interdetto l’uso delle presunzioni e con esse lo strumento su cui ordinariamente si fondano le verifiche nei confronti dei contribuenti con obbligo di tenuta delle scritture contabili. Sembra, quindi, del tutto paralizzata l’azione di verifica.
Tuttavia, rimane da verificare la possibilità del ricorso all’accertamento bancario che, come noto, secondo lo scrutinio consolidato della Corte di Cassazione, basa le sue dinamiche di verifica su presunzioni legali relative con l’effetto di invertire l’onere della prova a carico del contribuente.
Trattasi di una metodologia di accertamento molto più insidiosa delle ordinarie verifiche basate sulle presunzioni semplici sulla cui logica indiziaria il giudice tributario dispone del proprio libero convincimento.