Con un’ordinanza che non ha mancato di destare perplessità è stata rimessa alla Corte Costituzionale la norma che attualmente vieta di depositare alle parti pubbliche in sede di appello le deleghe, le procure e gli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, le notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità. La rimessione è dovuta anche al fatto che la norma è applicabile anche ai processi in appello in corso alla data del 4 gennaio 2024.
La norma sotto esame sul deposito delle deleghe di firma
L’art.58, comma 3, attualmente prevede che “Non è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo 14 comma 6-bis”. La norma è applicabile anche ai giudizi di appello instaurati dopo il 4 gennaio 2024.
Essa recentemente è stata rimessa al vaglio della Corte Costituzionale per contrarietà agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma, della Costituzione.
Le ragioni di critica all’ordinanza
La rimessione è stata disposta dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania con l’ordinanza 9 luglio 2024, n. 1658. Secondo la Corte la norma esprime, si legge in ordinanza,
“una scelta legislativa arbitraria che ineluttabilmente perturba il canone dell’eguaglianza”.
Nel novellare l’art. 58 Dlgs 546/92, inserendo comma 3, sarebbe incorso in un’evidente contraddizione: priva il giudice del potere di delibazione sui indispensabilità dei documenti che il primo comma gli concede; il che costituisce un indice sintomatico di irragionevolezza e illogicità intrinseca della disposizione, che, peraltro, si traduce in un trattamento differenziato delle parti in lite privo di una valida ragione giustificativa.
Quanto esposto dai giudici remittenti non convince
In primo luogo, si deve ricordare che i documenti di cui si discute sono nella pronta ed immediata disponibilità dell’Agenzia delle Entrate o dell’Agenzia Entrate Riscossione.
Non si tratta di documenti di terzi, o da richiedere a terzi, ma di documenti che legittimano l’agire della Pubblica Amministrazione.
Ed allora la domanda sorge spontanea: se è vero che questi documenti sono indispensabili perché non vengono depositati in primo grado?
L’appello è l’unico mezzo di gravame a cognizione piena, inteso come mezzo di impugnazione che consente, tendenzialmente, il riesame di tutta la materia del contendere dibattuta in primo grado, anche se l’effetto devolutivo è limitato dal divieto di ius novorum e di nuove prove -tranne i casi espressamente previsti- dove si valuta non solo l’indispensabilità, ma anche che gli stessi non siano stati prodotti in primo grado per causa non imputabile alla parte, per cui l’ambito di tale effetto è circoscritto alle questioni di fatto e di diritto censurate. Il giudizio, quindi, presenta i caratteri di una revisio prioris istantiae, anziché di un novum iudicium.
Nel caso dei documenti previsti dall’art. 58, comma 3, DLgs 546/92, se è pur vero che essi possono essere indispensabili (ma questo è evidente sin dal primo grado), non sono di certo nuovi, non sono chiesti a terzi (si ricorda tra l’altro che l’Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate Riscossione hanno stretti rapporti, di continuo flusso telematico oltre ad avere il medesimo Direttore), come si diceva, infatti, costituendo i presupposti sostanziali per la liceità dell’agire della parte pubblica sono nell’immediata disponibilità della stessa.
Consentire il deposito in sede di appello di questi documenti significa non solo, sia consentita l’espressione “fare inutilmente un grado di giudizio”, con quanto ne consegue in termini di spesa pubblica ed aumento del contenzioso, ma anche falsare la natura dell’appello, che diventa così un nuovo giudizio.
Si dubita fortemente che la norma possa avere un carattere discriminatorio e irrazionale, poiché mira a far tenere alle parti pubbliche un comportamento conforme ai principi di legalità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione in coerenza con l’art. 97 Costituzione.
Sui procedimenti in corso al 4 Gennaio 2024
Sull’applicazione della norma anche ai procedimenti in corso in quanto instaurati dopo il 4 gennaio 2024, si ricorda che contrariamente a quanto ritiene il collegio questo rientra nella discrezionalità del legislatore; la Corte Costituzionale non ha giudicato irrazionale la scelta nel caso della novella dell’art. 12, comma 4 bis, DPR 602/1973 sulle impugnazioni dell’estratto di ruolo (segnaliamo qui una delle ultime decisione della Cassazione sul tema), una norma giustificata per l’aumento del contenzioso che aveva comportato.
Per la Corte Campana, invece, si assisterebbe violazione del principio della parità delle parti nel processo, che trova una chiara copertura costituzionale nell’art. 111, primo e secondo comma Cost. e nell’art. 24, secondo comma Cost. dal momento che i poteri processuali delle parti in sede di gravame risultano disomogenei mentre il privato può produrre nuovi documenti, sia pure negli attuali limiti fissati dall’art. 58, commi 1 e 2, la parte pubblica non può produrre i documenti di cui al comma 3 in presenza dei medesimi presupposti.
Tuttavia, si deve rilevare che la Corte non coglie, e non vuol coglie una differenza di fondo: mentre il contribuente in appello deposita documenti provenienti da terzi (es. banche) che non rispondo alle richieste di documentazione, le relate di notifica e le deleghe di firma, al contrario, lo si ripete, sono sin da subito nelle disponibilità degli enti.
D’altro canto, nel momento in cui viene notificato un ricorso in cui si eccepisce l’omessa notifica dell’atto sottostante, l’Agenzia sa immediatamente che documenti ricercare per contrastare l’eccezione in sede di controdeduzioni in primo grado, non vi è motivo per attendere il secondo grado.
Depositarli in primo grado o non depositarli è una scelta della parte pubblica, che ne deve poi patire le conseguenti preclusioni processuali. In questo non vi è alcuna discriminazione, ma anzi un’equità di trattamento tra le parti.
Sui meriti della Riforma in vigore dal 2024
A parere di chi scrive la norma così come novellata ha abolito una pessima prassi processuale che creava un immotivato favor fisci, non in linea con i valori di cui all’art. 97 Cost..
Non si condivide quindi l’impostazione della Corte secondo cui nel caso in esame ci sarebbe una violazione dell’art. 111, primo e secondo comma, Cost., secondo la declinazione, di recente, offerta dalla sentenza n. 96 del 2024 per cui il “giusto processo”, nel quale si attua la giurisdizione e si realizza il diritto inviolabile di difesa, comporta necessariamente che esso “si svolga nel contraddittorio tra le parti”, nonché – prescrive ulteriormente l’art. 111, secondo comma, Cost. – “in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”.
Le parti, in realtà, sono in condizioni parità e se i documenti non vengono prodotti in primo grado, essendo gli stessi nella piena disponibilità delle parti pubbliche è o per scelta o per mal funzionamento, ma in nessuno dei due casi può invocarsi una condizione di disparità, posto che l’appello come detto non è mai stato inteso come “un nuovo giudizio”.
Al contrario, consentire il deposito di tale documentazione in secondo grado, significa vanificare un grado di giudizio, falsare la natura del processo d’appello, che diviene un sostituto del primo grado, e premiare scelte e comportamenti non in linea con i valori di correttezza e buona fede, nonché con i valori costituzionali che sono alla base dell’agire della Pubblica Amministrazione.
Effetti e rischi della remissione
Un bilanciamento di valori che la Corte Costituzionale non potrà non tenere in considerazione.
Si teme, piuttosto, che le parti pubbliche potranno fare un uso strumentale di questa ordinanza, chiedendo la sospensione dei processi: un comportamento che non gioverà ai numeri ed alla celerità del processo tributario.
Martedì 16 Luglio 2024
Valeria Nicoletti