La Cassazione ha affrontato (a quanto consta) per la prima volta, e risolto in modo più che condivisibile, la questione della natura della responsabilità e dell’ufficio territorialmente competente all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del professionista responsabile dell’assistenza fiscale dei CAF, il cd. RAF, che abbia apposto un visto di conformità infedele.
I fatti e le doglianze del contribuente
Si apprende dal “fatto” che un professionista con domicilio fiscale a Roma, incaricato da un CAAF, aveva apposto il proprio visto di conformità alla dichiarazione 730 di un contribuente residente nella provincia di Monza e Brianza; che la dichiarazione era stata rettificata a seguito di un controllo formale; che, in conseguenza di ciò, erano state iscritte a ruolo, a carico del professionista, l’imposta, la sanzione e gli interessi richiesti al contribuente.
Nel ricorso dinanzi alla C.T.P., accolto parzialmente (sul punto, purtroppo, la sentenza in commento eccede in sintesi), il professionista aveva chiesto sia l’annullamento dell’atto per incompetenza territoriale dell’ufficio, sia l’applicazione della sanzione più mite introdotta dal D.L. n. 4/2019.
Vistosi rigettare l’appello, il professionista ha proposto ricorso ribadendo i medesimi motivi in diritto: la Cassazione ha accolto il ricorso senza rinvio, con decisione nel merito, ritenendo assorbente e fondato il primo motivo.
Il quadro normativo
Nella sua formulazione vigente sino al D.lgs. n. 175/2014, la disposizione di riferimento, art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997, prevedeva, a carico dei soggetti che rilasciano il visto infedele, e in solido con il CAF, una sanzione da € 258 a € 2.582, innescata dall’esito positivo di controlli formali o automati