L’IVA antieconomica è indetraibile

La Corte di Cassazione ritorna ad affrontare i controversi rapporti fra antieconomicità ed IVA. Il caso tratta di concessione in uso di spazi commerciali ad una s.r.l. in cambio di un canone quasi gratuito, operazione ritenuta antieconomica.

Il caso di Cassazione

Il rilievo: concessione in uso di spazi commerciali ad una s.r.l. in cambio di un canone quasi gratuito, operazione ritenuta antieconomica per la quale si deve presumere l’onerosità, anche avendo riguardo ai rapporti fra le due società coinvolte, di medesima compagine sociale e medesimo amministratore. 

 

Il pensiero della Cassazione su antieconomicità ed IVA

iva antieconomica indetraibileSpecificamente in ordine al tributo armonizzato:

il Collegio osserva che non pare nemmeno violato il principio di neutralità del tributo armonizzato.

E’ vero che ciò che rileva ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ai fini della detraibilità di un costo sono in primo luogo il suo effettivo sostenimento, e in secondo luogo la sua inerenza rispetto all’attività d’impresa.

Ma è proprio questo il punto, l’Agenzia contesta l’inerenza facendo valere, quale indizio, l’antieconomicità manifesta dell’operazione”.

In tema di IVA:

il diritto alla detrazione dell’imposta – in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente, ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l’IVA può detrarla dai costi sostenuti ed interrompendosi il meccanismo allorché il bene o il servizio siano resi al consumatore finale – va escluso, ferma la non immediata applicazione dei principi espressi con riguardo all’imposizione diretta, se l’Amministrazione finanziaria dimostri l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all’attività svolta (Cass., sez. 5, sentenza n. 22130 del 27/09/2013, Rv. 629125 – 01; conforme Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27961 del 14/10/2021, Rv. 662456 – 01)”.

 

Brevi note sui poteri di valutazione della congruità dei costi

Se rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, si ritiene che i medesimi principi non possano essere traslati in maniera automatica ai fini Iva, tranne che per le ipotesi in cui l’antieconomicità celi la falsità dell’operazione o del prezzo o l’inesistenza dell’inerenza, ovvero in presenza di una antieconomicità manifesta e macroscopica.

La centralità del diritto di detrazione nel meccanismo dell’IVA è un diritto che, in linea di principio, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche.

La Corte Europea ha affermato che:

la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante[1]”.

E si è precisato che:

“qualora beni e servizi siano forniti a un prezzo artificialmente basso o elevato fra parti che godono entrambe interamente del diritto a detrazione dell’IVA, non può sussistere, in tale fase, alcuna elusione o evasione fiscale.

E’ solo a livello del consumatore finale che un prezzo artificialmente basso o elevato può comportare una perdita di gettito fiscale[2]“.

Inoltre, il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’IVA, e pertanto:

non può ritenersi che una soluzione a livello di normativa sull’IVA diversa da quella espressa per i tributi diretti crei un vulnus ai principio di non discriminazione”[3].

 

Un po’ di giurisprudenza in materia di IVA

Sul versante interno, la Corte di Cassazione già con la pronuncia n. 22130 del 27 settembre 2013 aveva sostenuto che non sia possibile:

applicare direttamente ed automaticamente i principi espressi in tema di imposizione diretta con riguardo al tema dell’antieconomicità all’interno dell’IVA, a ciò ostando la particolare natura del tributo da ultimo descritto, tutto correlato al principio di neutralità che si esprime attraverso il riconoscimento ad ogni fornitore o prestatore di servizio che ha corrisposto l’IVA per l’acquisto di beni o servizi di detrarre l’IVA relativa ai costi sostenuti secondo il noto meccanismo della detrazione.

Infatti, il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche.

Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purchè queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’IVA”.

E con l’ordinanza n. 10041 dell’8 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato che:

in caso di contestazione di operazioni antieconomiche, l’amministrazione non può rettificare l’Iva detratta sugli acquisti, a meno che si tratti di operazioni inesistenti, di sovrafatturazioni o di un più ampio contesto di abuso del diritto.

Ciò perché la regola sull’antieconomicità è propria dell’imposizione diretta e può estendersi anche all’Iva solo nell’osservanza di tutti i principi enunciati in materia dalla Corte di Giustizia, a tenore dei quali, in via generale, non è consentita alcuna limitazione al diritto di detrazione – Cass. n. 22130/2013”.

E con la sentenza n. 12502 del 4 giugno 2014, gli Ermellini, pur ribadendo la legittima applicazione del valore normale nelle operazioni infragruppo, hanno ritenuto che la sola antieconomicità non sia sufficiente ai fini del rilievo Iva, essendo esclusa l’applicazione automatica dei…

…“ medesimi principi in materia di detraibilità dell’IVA, …………..dovendosi mantenere fermo il principio per cui, d’ordinario e per tale tributo, il diritto alla citata detrazione – in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente – resta ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l’IVA può dettarla dai costi sostenuti ed interrompendosi il meccanismo solo allorché il bene o il servizio siano resi al consumatore finale”.

Particolarmente interessante è la sentenza n. 2875 del 3 febbraio 2017, dove la Suprema Corte, nel fissare i paletti per l’applicazione dell’antieconomicità ai fini Iva, ha affermato che il diritto alla detrazione dell’Iva può essere negato dall’Amministrazione Finanziaria nelle ipotesi in cui la riscontrata antieconomicità dell’operazione commerciale rilevi quale indizio di non verità della fattura/operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza, e in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta.

Sempre la Cassazione – sentenza n. 16010 del 2019 – ha definito il concetto di inerenza e il suo rapporto con il giudizio di congruità ed economicità, sia ai fini della deducibilità dei costi che ai fini della detraibilità dell’iva.

In particolare, ai fini iva, ai fini della valutazione dell’inerenza:

il giudizio di congruità ha una diversa incidenza, di per sè non idonea ad escludere il diritto alla detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione sia tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni soggette ad Iva“.

Segnaliamo ancora che gli stessi giudici di Piazza Cavour, con l’ordinanza n. 3414 del 12 febbraio 2020, hanno ritenuto che la manifesta e ingiustificata antieconomicità di un’operazione possa costituire valido indizio per contestare la veridicità di una fattura, con la conseguente indetraibilità dell’Iva relativa.

La circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante, e non condiziona, né esclude il diritto a detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione sia tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva[4].

 

E con l’ordinanza n. 19212 del 7 luglio 2021 la Corte di Cassazione ha affermato che:

In condizioni normali non è consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico.

Tale verifica l’amministrazione potrà solamente fare allorché la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA.

In materia di I.V.A., ai fini della valutazione dell’inerenza, il giudizio di congruità ha una diversa incidenza, di per sè non idonea ad escludere il diritto a detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione sia “tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad I.V.A.”.

Con riguardo all’I.V.A., pertanto, proseguono i giudici di vertice:

il giudizio di congruità non investe il giudizio di inerenza, ma la contestazione dell’Ufficio e, in particolare, i contenuti della prova posta a suo carico, che non può essere soddisfatta adducendo la mera antieconomicità dell’operazione, di per sè priva di rilievo”.

Ciò significa che, in materia di I.V.A.:

l‘inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa” (Cass. 18904/2018; Cass. 16010/2019).

 

Fonte: Corte di Cassazione, Sentenza n. 10422 del 19 aprile 2023.

 

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NOTE

[1] Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C- 412/03, Hotel Scandio Gasaback, punto 22.

[2] Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C- 621/10 e C-129/11, Balkan p. 47.

[3] Corte giust. 17 marzo 2007, causa C- 35/05.

[4] Nel caso di specie, la questione di fondo investe la valutazione della inerenza dei costi (nella specie, il compenso professionale riconosciuto al rag. B. per l’attività prestata) e del correlato regime di detraibilità dell’Iva, alla luce, in particolare, di una dedotta connotazione di antieconomicità degli stessi. Nella motivazione, difatti, il giudice regionale non si è limitato a valutare l’incongruità dell’operazione, ma, con accertamento in fatto, ha apprezzato che essa era macroscopicamente antieconomica (“partendo dall’incasso percepito dalla vendita del complesso immobiliare, € 5.528.088,25, sono stati detratti i costi sostenuti per l’operazione… pari a complessivi Euro 4.324.280,27, nonché il compenso versato al rag. B. (come detto, Euro 1.168.000). La differenza ottenuta di Euro 35.807,98 è effettivamente irrisoria se confrontato con l’intera operazione immobiliare ed appare palesemente antieconomica”).

A conforto di questa valutazione, inoltre, la CTR ha pure considerato, quale termine di comparazione, i corrispettivi che sarebbero spettati se fosse stata applicata la tariffa professionale che sarebbe ammontata, con applicazione dei massimi tariffari, “ad € 84.329,00, oltre Iva”, sì da sottolineare che “è evidente il divario, ingiustificabile con quanto pattuito fra le parti”.

Correttamente, dunque, la CTR ha concluso che “l’operazione economica… di fatto non ha portato alcun beneficio alla società”, da cui la fondatezza della ripresa per carenza di inerenza del compenso, che, nella sua concreta determinazione, era evidentemente diretto, invece, a realizzare “una distribuzione indiretta di utili” allo stesso rag. B. quale “socio e amministratore della società” (tra l’altro “a ristretta base familiare”).

 

A cura di Gianfranco Antico

Lunedì 15 maggio 2023