Una recente sentenza della Cassazione mette fine ad una annosa diatriba sul comportamento del socio nelle more che venga deciso il giudizio sulla impugnazione del bilancio: chi impugna un bilancio deve impugnare anche quelli successivi.
Nel pieno della stagione dei bilanci ci proponiamo di affrontare un aspetto legato a momenti che si dimostrano perlomeno difficili nella vita di una società e soprattutto dei suoi organi amministrativo e di controllo, ossia quello in cui vi sia dissidio tra i soci e uno o più di essi decidano di impugnare la delibera di approvazione del bilancio stesso, come previsto dagli artt. 2377 e 2379 codice civile.
Il giudizio instaurato con l’impugnazione del bilancio fa ovviamente il suo corso, che troppo spesso è lento e copre più anni.
Impugnare un bilancio comporta l’impugnazione anche di quelli successivi?
Il dubbio che si pone è se il socio che ha impugnato la delibera sia anche tenuto ad impugnare le successive, fin quando non si abbia una pronuncia in merito alla prima impugnazione.
La giurisprudenza di merito ha prodotto due filoni diversi.
Da un lato, si è affermato che, in assenza di impugnazione dei bilanci successivi, la domanda avente a oggetto la declaratoria di invalidità del bilancio “precedente” doveva essere respinta per il venir meno dell’interesse ad agire del socio impugnante.
Dall’altro, invece, si afferma che non sarebbe necessario che il socio impugni di tutti i bilanci approvati successivamente (a quello impugnato), posto l’onere degli amministratori di provvedere a emendare anche tutti i bilanci successivi che riproducano i vizi inizialmente lamentati. Di più, non solo non vi sarebbe questo onere, ma non esisterebbe neppure il diritto di farlo.
Non occorre impugnare ogni bilancio successivo: l’ordinanza della Cassazione
La parola fine a questa diatriba arriva da una recentissima ordinanza della Cassazione, la n. 14338/2023, che ha stabilito che non occorre che il socio che abbia impugnato la delibera di approvazione di un bilancio provveda a impugnare anche tutti quelli successivamente approvati nel corso del giudizio, fino alla pronuncia che lo definisce.
La soluzione si ritrova invero nella norma, laddove l’art. 2434-bis comma 3 codice civile (“Il bilancio dell’esercizio nel corso del quale viene dichiarata l’invalidità di cui al comma precedente tiene conto delle ragioni di questa”) impone all’amministratore di tenere conto delle ragioni dell’intervenuta dichiarazione giudiziale di invalidità della delibera di approvazione del bilancio solo con riguardo al bilancio dell’esercizio nel corso del quale tale invalidità viene dichiarata.
In forza della norma citata, tale onere di adeguamento non è condizionato, in senso assoluto, all’impugnazione anche di tale bilancio e di quelli eventualmente intervenuti tra l’impugnazione proposta e la sentenza che l’ha accolta.
A contorno, l’affermazione della Corte in base alla quale l’obbligo degli amministratori di correggere sia il bilancio con riferimento al quale è stata dichiarata l’invalidità della delibera di approvazione, sia quelli successivi (posto che le rettifiche operate sul bilancio impugnato per primo manifestino i loro effetti anche sul contenuto dei bilanci successivi), sorge dalla sentenza che dichiara tale invalidità e non dalle eventuali ulteriori impugnazioni proposte dal socio nei confronti delle delibere successive, che, dunque, sono da considerarsi ininfluenti.
Non è dunque ipotizzabile una sopravvenuta carenza di interesse a far valere la nullità del bilancio nel caso in cui vi sia la mancata impugnazione da parte del socio dei bilanci approvati successivamente a quello originariamente impugnato.
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Martedì 30 maggio 2023