La definizione delle liti pendenti in Cassazione

Proponiamo alcune valutazioni sulla possibilità di definire le liti tributarie pendenti in Cassazione: l’attuale previsione normativa sembra avere poco appeal per i contribuenti, vediamo perchè…

La definizione delle liti pendenti in Cassazione

Già nella relazione al DDL governativo si auspicava, in sede di commento all’art. 2, l’introduzione, pur se limitata «allo stretto necessario», di una definizione delle liti pendenti in Cassazione, quale strumento di «alleggerimento» delle pendenze tributarie.

Il minor carico di lavoro – questo era il ragionamento – avrebbe dovuto consentire di destinare parte delle risorse della Suprema Corte, umane e non, ai due nuovi istituti costituiti dal rinvio pregiudiziale e dall’enunciazione del principio di diritto su ricorso del Procuratore generale.

Sebbene le due misure siano poi state soppresse nell’iter della discussione, la definizione agevolata è stata confermata.

L’art. 5 prevede, per i giudizi di legittimità introdotti con ricorso per cassazione notificato entro il 16 settembre, e sempre che non sia intervenuta una sentenza definitiva entro il termine di adesione alla procedura (120 giorni dal 16 settembre 2022, ovvero 16 gennaio 2023, tenendo conto che il 14 è sabato), la possibilità di definire le liti:

  1. di valore non superiore a € 100.000, in cui l’Agenzia sia stata «integralmente» soccombente nei due gradi di merito, con il pagamento del 5% del valore della lite (comma 1);
     
  2. di valore non superiore a € 50.000, in cui l’Agenzia sia stata soccombente «in tutto o in parte» in uno dei due gradi di merito, con il pagamento del 20% del valore della lite (comma 2).

Il valore della lite è determinato ai sensi dell’art. 16, comma 3, della L. 289/02, ovvero con riferimento all’importo dell’imposta, o della sanzione non collegata al tributo se vi è solo la sanzione, «che ha formato oggetto di contestazione in primo grado»; in altri termini, il valore della lite non sarebbe quello attualmente controverso, per il quale vi è incertezza sull’esito, ma quello accertato.

definizione liti pendenti in cassazioneTuttavia, con riferimento alla L. 289/02 è necessario ricordare che, dopo un’iniziale mera presa d’atto della disposizione[1], l’Amministrazione Finanziaria chiarì, al § 1.13 della Circolare n. 17/E/2003, che «il tributo rilevante ai fini della determinazione del valore della lite sia solo quello riferibile all’atto o a quella parte dell’atto che, alla data della definizione, costituisca ancora oggetto di controversia», dovendosi considerare anche eventuali giudicati interni e provvedimenti di autotutela[2].

A tutt’oggi, la validità di tale ragionevole interpretazione non è stata ancora confermata dall’Agenzia, il cui Provvedimento applicativo dell’art. 5 e le cui istruzioni si conformano al tenore testuale dell’art. 16, comma 3, cit..

Le modalità di definizione, da cui sono esclusi risorse proprie dell’U.E., IVA all’importazione e somme dovute a titolo di recupero degli aiuti di Stato, sono così riassumibili: entro il 16 gennaio 2023 il contribuente dovrà aver provveduto alla presentazione della domanda (una per ciascun atto impugnato), da inviare tramite PEC all’Ufficio “controparte”, e al versamento in unica soluzione delle imposte dovute; le controversie sono sospese a semplice domanda, fino alla scadenza del termine per l’adesione alla procedura; l’eventuale diniego alla definizione va notificato entro trenta giorni dalla domanda ed è impugnabile nei successivi sessanta, dinanzi alla Corte di Cassazione, e il processo si estingue in assenza di istanza di trattazione della parte interessata (o di impugnazione del diniego).

Il Provvedimento applicativo direttoriale, prot. n. 356446/22 del 16 settembre, esclude la possibilità di avvalersi della compensazione; il limite però è illegittimo e sarà suscettibile di disapplicazione, posto che la norma di legge non reca tale preclusione, come avviene ad esempio in tema di riversamento del credito “ricerca e sviluppo”[3].

Una previsione che riduce fortemente l’appeal della misura è quella, contenuta nel secondo periodo del comma 9, secondo cui la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme versate in pendenza di giudizio, ancorché eccedenti quanto dovuto per la definizione stessa: si immagini, infatti, il caso di un contribuente che, dopo aver vinto in primo grado e perso in appello, abbia versato (ex art. 68, comma 1 lett. c del D.Lgs. n. 546/92) tutti gli importi di cui all’avviso di accertamento.

Singolare, infine, ma non costituzionalmente irragionevole, l’esclusione dalla possibilità di definizione del contribuente che sia risultato soccombente in entrambi i gradi di giudizio.

Continua…

 

[N.d.R.: quanto riportato rappresenta parte dell’approfondimento in tema di “Riforma del Processo Tributario” la cui trattazione integrale è contenuta nel n. 7 del Magazine Diellepì, predisposto dallo Studio Deotto Lovecchio & Partners.
E’ possibile ottenere la rivista solo attraverso l’acquisto dell’N.F.T. (che comporta anche altri ulteriori vantaggi),  scaricabile dalla piattaforma Rarible]

 

Argomenti trattati nel Diellepì Magazine n. 7:
  1. La riforma del processo tributario di cui alla L. 130/22: le novità e le relative decorrenze.
  2. La definizione delle liti pendenti in Cassazione.
  3. Alcuni cenni ai profili ordinamentali della riforma.
  4. Modifiche al rito: il giudice monocratico.
  5. (segue) Il rinvio pregiudiziale.
  6. (segue) La conciliazione per iniziativa del giudice, la disciplina delle spese e le modifiche in tema di sospensione dell’esecutività degli atti impugnati.
  7. (segue) La testimonianza scritta.
  8. La nuova norma sull’onere della prova.

 

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NOTE

[1] Circ. 12/E/2003, § 1.8: «anche in caso di giudicato interno il valore della lite è dato dall’imposta contestata con l’atto introduttivo del giudizio in primo grado».

[2] Quanto alla definizione di cui al D.L. n. 119/18, nella quale il valore della lite è quello individuato in via generale dall’art. 12 comma 2 del D.Lgs. n. 546/92, la Circ. n. 6/E/2019, al § 5, impone di tener conto di contestazione parziale dell’atto impugnato e, dall’altro lato, di un giudicato interno.

[3] V. l’art. 5, comma 10, del D.L. n. 146/2021.

 

A cura del Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

www.deottolovecchio.it

Martedì 8 novembre 2022