I buoni pasto e i buoni acquisto al centro delle attuali politiche aziendali e professionali

Nell’ottica di contribuire al benessere di dipendenti e collaboratori, sempre più provati dalla crisi post pandemica prima e da quella legata alla guerra in Ucraina dopo, molti operatori hanno introdotto nella propria realtà aziendale strumenti volti a sostenerne i bisogni.
Esaminiamo il caso dei buoni pasto e dei buoni di acquisto approfondendone i relativi vantaggi fiscali.

buoni pasto

L’odierno contesto economico e sociale, caratterizzato dalla crisi innescata dalla pandemia e, da ultimo, dal conflitto in Ucraina ha incentivato sempre più operatori economici a contribuire al benessere dei propri dipendenti e collaboratori, sfruttando le potenzialità e i vantaggi derivanti dall’utilizzo dei buoni pasto e dei buoni acquisto: due strumenti idonei a sostenere i bisogni dei beneficiari e che presentano rilevanti vantaggi fiscali per tutte le parti coinvolte.

I buoni pasto (D.M. n. 122/2017, cd. “Decreto buoni pasto) costituiscono lo strumento d’elezione prescelto da chi, nell’ambito della propria realtà aziendale o professionale, decida di riconoscere a dipendenti e collaboratori una prestazione di vitto.

I buoni pasto, infatti, rispetto ad altre modalità di erogazione di una prestazione di vitto (es. organizzazione di una mensa aziendale), consentono una gestione più semplice.

I buoni pasto sono documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.), in formato cartaceo o elettronico, che identificano gli aventi diritto alla prestazione di vitto, per un importo pari al valore facciale del buono pasto; la prestazione oggetto del buono pasto consiste nella somministrazione di alimenti e bevande o nella cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo e può essere fruita presso esercizi commerciali previamente convenzionati (ristoranti, supermercati, etc.).

Anche i buoni acquisto costituiscono dei documenti di legittimazione.

Essi consentono di attribuire ai beneficiari il diritto di ricevere beni e usufruire di servizi, sempre presso un network di esercizi commerciali preventivamente convenzionati.

I buoni acquisto sono uno strumento flessibile che dà accesso a una vasta gamma di benefit capaci di soddisfare le più varie esigenze, dalla salute, all’istruzione, all’estetica, etc. Si pensi, da ultimo, all’introduzione – attualmente limitata al 2022 – del cd. “bonus carburante” (art. 2, D.L. n. 21 del 2022), un voucher per l’acquisto di carburante – non imponibile nel limite di 200,00 euro annui per lavoratore – che i datori di lavoro privati hanno la possibilità di attribuire ai propri dipendenti per cercare di neutralizzare gli effetti negativi derivanti dall’aumento dei prezzi di gasolio e benzina.

È facile, dunque, comprendere perché l’utilizzo dei buoni acquisto sia largamente diffuso tra gli operatori economici di ogni settore: tali buoni si sono rivelati dei validi strumenti per l’attuazione di efficaci politiche di welfare aziendale.

Proprio per agevolare il ricorso ai buoni pasto e ai buoni acquisto, il legislatore ha riservato loro un regime fiscale di favore. Analizziamolo nel dettaglio.

 

I vantaggi fiscali dei buoni pasto per dipendenti e collaboratori

I buoni pasto possono essere riconosciuti dal datore di lavoro – imprenditore o libero professionista – non solo ai lavoratori dipendenti (full-time e part-time), ma anche a soggetti titolari di un rapporto di collaborazione non subordinato.

In base al regime agevolativo previsto (art. 51, comma 2, lett. c), TUIR), i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente (o assimilato) fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4 per la versione cartacea, fino a euro 8 nel caso in cui gli stessi siano resi in forma elettronica, se riconosciuti alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori (cfr. Circ. n. 326/E/1997).

L’esenzione delle prestazioni sostitutive di mensa rese mediante buoni pasto è, dunque, soggetta ad una specifica limitazione quantitativa. Il buono pasto non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente solamente se il suo valore non eccede i limiti indicati dal Legislatore; valore che, peraltro, è qualificato come “giornaliero”.

Nella platea di soggetti potenzialmente destinatari dei buoni pasto fiscalmente agevolati è compreso, altresì, l’amministratore di società.

Quest’ultimo, tuttavia, potrà accedere al regime di favore sopra descritto solo in una specifica ipotesi.

I buoni pasto attribuiti all’amministratore non concorrono a formare il reddito dell’amministratore – nei limiti sopra indicati – solo se attribuiti all’amministratore che esegue il proprio ufficio a titolo di “collaborazione tipica”, il cui compenso sia, cioè, inquadrabile tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (artt. 50 e 52 TUIR). In tal caso, risulta applicabile l’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR.

Diversamente, sono esclusi dalla disciplina di favore i buoni pasto attribuiti all’amministratore che esegua il proprio ufficio a titolo di collaborazione professionale, ossia con l’impiego di conoscenze tecnico-giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo.

In questo caso, il compenso percepito dall’amministratore in possesso di partita IVA costituisce il corrispettivo della prestazione di servizi svolta e viene corrisposto a seguito dell’emissione di apposita fattura.

Esso ricade nella categoria dei redditi di lavoro autonomo (artt. 53 e 54 TUIR). Anche il trattamento fiscale dei buoni pasto segue le regole previste per la determinazione del reddito di lavoro autonomo. Se i buoni sono assegnati dalla società il relativo importo costituisce parte del compenso e deve essere indicato in fattura.

 

I vantaggi fiscali dei buoni pasto per imprese e partite IVA

Sebbene gli artt. 54 e 95 TUIR non disciplinino il trattamento fiscale, ai fini delle imposte dirette, delle spese sostenute da imprese e partite IVA per l’attribuzione dei buoni pasto a dipendenti e collaboratori, esso è ricavabile in via interpretativa, anche grazie alle indicazioni fornite dalla prassi.

L’art. 95, comma 2, TUIR, dopo aver sancito l’indeducibilità dei canoni di locazione e delle spese relative al funzionamento di strutture ricettive, esclude da tale regime le spese relative ai cd. “servizi di mensa”.

Il riferimento alla nozione di “servizi” potrebbe portare a estendere l’eccezione al regime di indeducibilità non solo alla spesa sostenuta per l’organizzazione di una mensa, ma anche alle ipotesi in cui il datore di lavoro sostenga delle spese per la predisposizione o l’acquisizione di un “servizio” comunque finalizzato a somministrare i pasti ai dipendenti, come i servizi sostitutivi di mensa mediante buoni pasto.

A ben vedere, difatti, alle spese sostenute dal datore di lavoro per l’acquisto dei buoni pasto non sembra potersi negare lo stesso carattere inerente – e il conseguente regime di totale deducibilità – che è positivamente riconosciuto dall’art. 95, comma 2, TUIR alle spese sostenute per organizzare il servizio di mensa o dall’art. 54, comma 1, TUIR alle spese sostenute nell’esercizio dell’arte o della professione.

Le spese per l’acquisto dei buoni pasto non sono, inoltre, soggette alla limitazione del 75 per cento della deducibilità, prevista dagli artt. 54, comma 5, e 109, comma 5, TUIR, i quali si riferiscono alle spese per “somministrazioni” di alimenti e bevande.

Il buono pasto rappresenta, difatti, un servizio sostitutivo di mensa e il suo costo è relativo all’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande; sia l’imprenditore, che il libero professionista potranno, dunque, dedurre integralmente tale costo (Circolare n. 6/E del 2009).

Tuttavia, ai fini della totale deducibilità di tali costi, i buoni pasto devono essere destinati alla generalità dei dipendenti o intere categorie omogenee di essi (Circ. n. 326/E del 1997).

Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, con riguardo al rapporto tra la società emittente i buoni pasto – utilizzabili presso esercizi convenzionati – e il datore di lavoro che li acquista, si configura una fornitura di servizio sostitutivo di mensa aziendale a mezzo di buoni pasto, a cui trova applicazione l’aliquota del 4% (art. 75, comma 3, L. 30 dicembre 1991, n. 413).

La base imponibile sulla quale applicare l’imposta è costituita dal prezzo convenuto tra le parti senza che abbia rilievo che tale prezzo sia parti, inferiore o superiore al valore facciale indicato sul buono.

 

I buoni acquisto: trattamento fiscale in capo a dipendenti e collaboratori

Anche i lavoratori dipendenti e i collaboratori assegnatari dei buoni acquisto accedono a un trattamento fiscale di favore.

Come accennato, i buoni acquisto concessi ai lavoratori quali integrazione del loro compenso sono da considerare “fringe benefit”, ossia veri e propri compensi in natura, accessori alla retribuzione ordinaria, a cui trova applicazione la disciplina contenuta nell’art. 51, comma 3, ultimo periodo, TUIR.

In particolare, i fringe benefit, anche se assegnati mediante buoni acquisto (art. 51, comma 3-bis, TUIR) non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente se il valore dei beni e servizi non è complessivamente superiore, nel periodo d’imposta, a euro 258,23; peraltro, se tale limite viene superato, l’importo dovrà considerarsi interamente imponibile.

Richiamando il già menzionato bonus carburante, occorre precisare che, relativamente al periodo d’imposta 2022, si è assistito a un sostanziale raddoppio del limite di esenzione indicato.

Il bonus carburante, difatti, non concorre alla formazione del reddito di lavoro nel limite di 200 euro annui per lavoratore; tale agevolazione non è alternativa, ma si aggiunge all’esenzione dal reddito di lavoro per i beni ceduti e i servizi prestati dal datore di lavoro ai propri dipendenti nel limite annuo di 258,23 euro.

Di conseguenza, per il solo anno 2022 e per espressa previsione di legge, il lavoratore potrà ricevere dal datore buoni benzina non imponibili fino a 200 euro, nonché usufruire, sempre tramite buoni acquisto, di altri beni o servizi, non tassati sino al limite della franchigia di 258,23 euro come fringe benefit esenti.

 

Il trattamento fiscale dei buoni acquisto riservato a imprese e liberi professionisti

Come i buoni pasto, anche i buoni acquisto attribuiti ai propri dipendenti e collaboratori quali utilità integrative del compenso, non costituiscono un onere fiscale per i datori di lavoro, imprenditori o liberi professionisti.

Ai fini delle imposte dirette, i costi sostenuti per l’acquisto dei buoni erogati dai titola di partita IVA ai propri dipendenti e collaboratori, sono interamente deducibili (artt. 54, comma 1 e 95, comma 1 del T.U.I.R.), in quanto spese per prestazioni di lavoro di dipendenti e collaboratori.

Ai fini IVA, invece, è necessario precisare che la cessione dei buoni acquisto effettuata dall’emittente a favore del libero professionista o dell’imprenditore individuale, il quale, a sua volta, lo attribuisce al proprio dipendente, non assume rilevanza ai fini dell’IVA.

Difatti, la circolazione del buono acquisto non integra alcuna cessione di beni o prestazione di servizi (art. 6-quater, D.P.R. n. 633 del 1972).

Assume, invece, rilevanza, il servizio (l’emissione del buono) prestato dall’emittente in favore del proprio cliente – ossia il libero professionista o l’imprenditore individuale – verso pagamento di un corrispettivo (cd. fee o commissione); tale prestazione di servizi costituisce, invece, operazione imponibile, con applicazione dell’IVA secondo l’aliquota ordinaria.

È escluso dalla prassi (Risp. n. 338/2020) il diritto del datore di lavoro alla detrazione dell’IVA assolta a monte, ossia per l’acquisto dei buoni erogati gratuitamente ai propri dipendenti e collaboratori, in quanto tali costi non avrebbero un nesso con il complesso delle attività economiche del professionista, risolvendosi nell’acquisizione di prestazioni accessorie rispetto alle esigenze lavorative dello stesso.

 

Buoni pasto e buoni acquisto: ulteriori ipotesi di attribuzione

Si rileva, infine, che, nella prassi, gli imprenditori e i liberi professionisti erogano i buoni pasto e i buoni acquisto anche per finalità diverse dall’integrazione del compenso di dipendenti e collaboratori.

Ad esempio, possono essere attribuiti ai soci a titolo di distribuzione di utili – in questo caso il regime di tassazione del buono pasto sarà quello individuato dall’art. 47, comma 3, TUIR per gli utili in natura, assumendo rilevanza fiscale -, a seguito di ripartizione di riserve o di fondi assimilati al capitale sociale o, ancora, a titolo di liberalità – in questo caso, invece, l’assegnazione del buono ha, rispettivamente, valore patrimoniale e matrice retributiva, non risulta rilevante sul piano impositivo.

I buoni vengono spesso utilizzati come regali (per esempio, in occasione di ricorrenze o per festeggiare un evento) a clienti, partner e così via, anche per promuovere presso tali soggetti la propria attività.

In questi casi, gli oneri sostenuti sia dall’imprenditore, che dal libero professionista per l’acquisto di buoni da regalare rientrano nella categoria delle spese di rappresentanza (Risposta n. 519/2019) e seguono il relativo regime fiscale (artt. 54, comma 5 e art. 108, comma 2, TUIR).

 

Redazione

Martedì 19 luglio 2022