Nel caso di cui trattiamo, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l'appello principale proposto da un centro ippico nonchè l'appello incidentale della Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto solo in parte il ricorso presentato dal contribuente contro l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate per l'anno 2007, avendo disconosciuto la qualifica di ente non commerciale dell'associazione dilettantistica.
La contestazione di svolgere attività commerciale per clienti terzi
In particolare, il giudice d'appello evidenziava, per quanto ancora qui rileva, che l'Agenzia aveva riscontrato, tramite processo verbale di constatazione, la presenza nel centro ippico di un elevato numero di cavalli (n. 294), con ingenti spese sostenute per il loro mantenimento giornaliero, oltre a due istruttori federali per lo svolgimento delle lezioni.
Inoltre, la custodia di cavalli di proprietà di terzi, anche se associati, non rientrava nei fini istituzionali dell'associazione, sicchè i corrispettivi ricevuti dovevano essere fatturati.
Confermava, però, la rideterminazione operata dai giudici di prime cure in relazione ai ricavi, in quanto non potevano essere considerati ricavi le quote associative e le lezioni di equitazione rese in favore degli associati, mentre vi rientravano, ma in misura ridotta rispetto a quanto stabilito dall'Ufficio, le remunerazioni richieste per il mantenimento dei cavalli di proprietà per la quota ricalcolata di Euro 390,00 mensili.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, in quanto il giudice d'appello, confermando la sentenza di primo grado, pur ritenendo prevalente l'attività commerciale rispetto a quello istituzionale, nella misura, rispettivamente, del 52 e del 48%, ha ritenuto, però, che anche il recupero a tassazione dei relativi ricavi dovesse avvenire nella medesima percentuale, escludendo quindi dalla tassazione i ricavi derivanti dall'attività istituzionale.
Tuttavia, proprio in ragione della condivisione di quanto già accertato dal giudice di prime cure, in ordine alla prevalenza dell'attività commerciale rispetto a quello istituzionale, il giudice d'appello avrebbe dovuto applicare correttamente il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 149, che prevede che:
"indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta di imposta".
Inoltre, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81 stabilisce il principio per cui tutti i redditi percepiti dagli enti commerciali residenti si considerano redditi di impresa.
Pertanto, ogni provento conseguito dalla contribuente avrebbe dovuto essere assoggettato a tassazione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, come correttamente emergeva dall'avviso di accertamento.
Al contrario, la Commissione regionale ha effettuato una vera e propria ripartizione tra costi e ricavi dell'attività istituzionale e commerciale, sottoponendo a tassazione solo quelli afferenti alla seconda tipologia; ma se, come accertato in concreto, l'attività prevalente esercitata dal Centro Ippico, non era quella associativa ma quella commerciale, tutte le remunerazioni ricevute, comprese le quote associative e le lezioni rese in favore degli associati, dovevano essere sottoposta a tassazione.
Associazione sportiva dilettantistica e qualifica di qualifica di ente non commerciale - Il pensiero della Cassazione
Per la Corte, il motivo è fondato.
Trova applicazione, anzitutto, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 149, comma 1 (perdita della