Facciamo il punto sul principio di inerenza che governa il reddito d’impresa e sulla correlazione costi – ricavi, con riferimento alle principali pronunce della Corte di Cassazione sul tema. Ricordiamo che la mancata inerenza può portare al disconoscimento dei costi dedotti in fase di verifica fiscale, con le ovvie conseguenze.
Nell’articolo puntiamo il mouse anche sul complesso caso delle operazioni infragruppo.
Il principio di inerenza, come solitamente interpretato, stabilisce un collegamento tra i costi e i ricavi dell’esercizio / periodo di imposta, e più in generale tra i componenti reddituali negativi e quelli positivi riferibili a una determinata attività di impresa.
Solitamente il riferimento normativo di tale principio veniva individuato nella disposizione dell’art. 109 del TUIR, secondo la quale
“le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Un più recente orientamento giurisprudenziale ne ha ampliato la portata, estendendolo a ipotesi slegate dalla mera correlazione costi – ricavi.
Aspetti generali sul principio di inerenza
L’attività economica delle imprese presuppone, in senso lato, il sostenimento di “costi” nella prospettiva dell’ottenimento di “ricavi”.
Lo stesso funzionamento del conto economico, a monte, ben rappresenta i flussi economici misurati esercizio per esercizio, producendo un risultato (utile o perdita di esercizio) destinato ad assumere rilevanza anche ai fini fiscali.
Il reddito di impresa, infatti, discende dall’utile di bilancio, ma deve tenere conto delle variazioni in aumento e in diminuzione previste dalle norme fiscali.
Come si dirà, in epoca relativamente recente, sia per le imprese che adottano i principi contabili internazionali IAS/IFRS che per quelle che si conformano ai principi contabili nazionali OIC, il criterio di derivazione di cui all’art. 83 del TUIR opera in modo “rafforzato”.
L’inerenza può intendersi come:
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specifica (correla costi e ricavi dell’esercizio, rendendo deducibili i primi in quanto correlati a beni / attività che generano i secondi);
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(ovvero) “generale” (attribuisce rilevanza fiscale a tutti i fenomeni che caratterizzano la vita dell’impresa essendo collegati all’attività economica della stessa).
Un’interpretazione ampliativa dell’inerenza, secondo la quale il principio deve intendersi riferito all’intera attività dell’impresa anziché ai singoli beni e attività, si è affermata sia nella prassi interpretativa dell’amministrazione, sia nella giurisprudenza di legittimità (come si evince ad esempio dalla sentenza Cass. 01.08.2000, n. 10062).
Tale pronuncia ha fatto richiamo alla prassi ministeriale – in particolare alla circolare 07.07.1983, n. 30/9/944 – la quale aveva affermato che la “spesa inerente” doveva intendersi come legata non ai ricavi dell’impresa, bensì all’attività della stessa; in tale prospettiva, era stata ammessa la deducibilità delle spese sostenute per le “attività di certificazione, an