L’occultamento o distruzione di documenti contabili costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall’eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell’occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti, realizzata mediante il loro materiale nascondimento, configurandosi, in tale ultima ipotesi, un reato permanente.
Reato di occultamento o distruzione di documenti contabili: il fatto
Con sentenza della Corte di appello di Lecce è stata confermata la decisione del Tribunale di Taranto, che aveva condannato l’imputato alla pena di anni 1 di reclusione per il reato di cui all’art. 10 D.Lgs 74 del 2000, perché in qualità di amministratore unico di una società, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, occultava e/o distruggeva tutti i documenti contabili della stessa relativi all’anno di imposta 2011, in modo da non consentire la ricostruzione degli affari o del loro volume.
L’imputato ha proposto ricorso in cassazione, evidenziando l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato in accertamento, atteso che al momento dell’attività di ispezione della Guardia di Finanza non veniva fornita la documentazione contabile, non avendone a tale data il ricorrente la disponibilità; tuttavia, in seguito recuperata la documentazione la stessa veniva consegnata all’Agenzia delle Entrate, prima della definizione dell’accertamento tributario.
Il procedimento fiscale veniva definito con un accertamento con adesione, e i redditi erano ricostruiti esattamente in base alla documentazione consegnata, come espressamente riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate (“Non ha costituito ostacolo alla ricostruzione dei redditi e del volume di affari della stessa società“).
Il pensiero della Cassazione
Il ricorso risulta per la Corte di Cassazione inammissibile, perché i motivi addotti sono manifestamente infondati, generici, e ripetitivi dei motivi di appello, senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata.
“La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente per il r