La sentenza di appello non si deve limitare a richiamare la motivazione di quella di primo grado ma deve esaminare analiticamente i motivi del gravame, pena la sua nullità.
Può essere anche motivata per relationem, purché il giudice tenga conto delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione, in modo tale che da entrambe le sentenze possa ricavarsi un iter argomentativo esaustivo e coerente.
Sentenza motivata: riferimenti normativi
L’art. 36 del D Lgs n. 546/1992, recante “Il contenuto della sentenza” stabilisce, tra l’altro, che la sentenza deve contenere “la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto”.
La succinta/sommaria esposizione dei fatti e delle ragioni di diritto deve consentire, quindi, al difensore ed alla parte di comprendere la ratio decidendi del giudice, anche al fine di poter proporre i motivi di appello al giudice.
Si ritiene applicabile al giudizio tributario l’ultimo comma dell’art. 18 delle disp. Att. del Cpc., il quale prevede che in caso di domande manifestamente fondate o infondate la sentenza è succintamente motivata e la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.
Il giudice relatore della motivazione deve, in sostanza, indicare gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero ricostruire l’iter logico-giuridico che ha condotto il Collegio alla scelta delle prove e delle argomentazioni a base della decisione.
Il difetto di motivazione sussiste, pertanto, solo nel caso in cui quest’ultima si risolva in semplici affermazioni non suffragate da relativi ragionamenti o giustificazioni.
La motivazione deve essere comunque espressa, non essendo previsto un semplice rinvio alle motivazioni contenute in altri atti del processo (motivazione per relationem).
In tal senso è da ritenersi ammissibile tale tipo di motivazione, solo quando si accolga quella contenuta in atti in cui vi sia una esplicita ed esaustiva ricostruzione dell’iter logi