La Brexit ha portato con sé effetti di varia natura. Le prime questioni su cui si sono concentrati gli operatori sono quelle in materia iva e doganale. Tuttavia, non mancano effetti nemmeno in tema di fiscalità diretta.
Attraverso l’esame della Direttiva sulla cooperazione amministrativa (DAC) esaminiamo gli effetti della Brexit sullo scambio di informazioni.
Effetti fiscali della Brexit: introduzione
Quanto agli effetti della Brexit sulla fiscalità diretta dobbiamo ricordare come vi siano tre categorie di norme.
Vi sono in primo luogo norme legate alle direttive comunitarie.
Si pensi, per fare un esempio, agli articoli del DPR 600/1973 che prevedono, nel rispetto di determinati requisiti, la non applicazione di ritenute su dividendi, interessi e canoni.
Si tratta di previsioni inserite nel nostro ordinamento a seguito del recepimento della direttiva Madre-figlia e della direttiva interessi e canoni.
E’ evidente che la Brexit porta con sé il venir meno di queste previsioni.
Non resterà che valutare l’applicazione della Convenzione tra Italia e Regno Unito volta a contrastare la doppia imposizione.
Vi sono poi normative che legano il presupposto per la loro applicazione alla natura non paradisiaca del Paese estero.
Un caso è rappresentato dall’art. 166 bis del Tuir in tema di trasferimento dell’impresa estera in Italia.
In questi casi si devono considerare come valori fiscali di ingresso quelli determinati secondo i principi del transfer price.
Ciò, tuttavia, a condizione che il soggetto, prima del trasferimento di residenza, avesse la propria residenza fiscale in uno Stato appartenente all’Unione europea oppure in uno Stato incluso nella lista, prevista dall’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, degli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni.
In sostanza, il fatto che il Paese di provenienza sia extracomunitario non appare preclusivo all’applicazione della norma che interesserà ancora il Regno Unito in quanto inserito nella white list.
Vi sono, infine, norme interne legate alle libertà unionali che dovrebbero di primo acchito venire meno, ma forse rimarranno operative.
Si allude, ad esempio, all’art. 27 comma 3 ter DPR 600/73 secondo cui è prevista l’applicazione di una “micro” ritenuta dell’1,20% sui dividendi corrisposti a società di capitali ed enti commerciali residenti in Stati UE/SEE, se non soddisfano tutte le condizioni per rientrare nel regime “madre-figlia”.
Ebbene, Il Regno Unito non è né UE né Spazio Economico Europeo per cui la norma dovrebbe venir meno.
Sul punto, tuttavia, si deve segnalare l’Articolo Servin.2.3 dell’accordo tra Regno Unito ed Unione Europea, in base al quale:
“Ciascuna parte accorda agli investitori dell’altra parte e alle imprese disciplinate, per quanto riguarda lo stabilimento e l’esercizio nel proprio territorio, un trattamento non meno favorevole di quello accordato in situazioni analoghe ai propri investitori e alle proprie imprese”.
La previsione è chiara nel far intendere che una società inglese che detiene una partecipazione nel capitale di una persona giuridica italiana non dovrebbe essere discriminata rispetto una società italiana che detenga un analogo investimento in una persona giuridica italiana.
La micro ritenuta del 1.2% dovrebbe quindi continuare ad essere applicabile.
Di seguito esamineremo la sorte delle norme legate allo scambio di informazioni.
NdR: Sulla Brexit abbiamo pubblicato interessanti articoli…per esempio…
Brexit 2021: le prestazioni di servizi generiche ai fini IVA
e Brexit e operatori nel Regno Unito, identificazione diretta o nomina di un rappresentante fiscale
Brexit: le norme in tema di scambio di informazioni
Nel corso degli anni l’Unione Europea ha approvato una serie di direttive denominate con l’acronimo DAC (Direttiva sulla cooperazione amministrativa) seguite da un numero progressivo.
Attualmente le DAC in vigore sono 6 e sono sintetizzate nella successiva tabella.
E’ prevista per il 2021 l’emanazione della settima direttiva DAC.
Si veda la successiva tabella di sintesi.