Vediamo quali prospetti apre sul mercato del lavoro e sulla gestione del rapporto di lavoro la cancellazione della norma che limitava a 6 mensilità il risarcimento in caso di risarcimento illegittimo nelle PMI
Con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, la Corte costituzionale è tornata in maniera risolutiva sull’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015, noto come “Jobs Act”, dichiarandone l’illegittimità costituzionale nella parte in cui fissava un tetto massimo di sei mensilità per l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore illegittimamente licenziato da un datore di lavoro sottosoglia (aziende fino a 15 dipendenti o fino a 5 in agricoltura), cioè non rientrante nei parametri dimensionali dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Si tratta di una decisione destinata a incidere profondamente sul regime dei licenziamenti nelle piccole e medie imprese italiane (cuore pulsante dell’economia italiana), già da anni al centro di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Ad onor del vero va sottolineato che questa pronuncia non riguarda solo le aziende ma anche i datori di lavoro non imprenditori quali enti religiosi, associazioni culturali, sindacati…
Tutela dai licenziamenti: storia normativa
Il passaggio dalla tutela reale a quella meramente risarcitoria, iniziato con la riforma Fornero del 2012 e proseguito con il Jobs Act del 2015, ha infatti introdotto un sistema duale che continua a fondare su una distinzione meramente quantitativa, quella del numero dei dipendenti occupati, una disciplina che incide su diritti fondamentali della persona del lavoratore. In tale sistema, i datori di lavoro sot