Il conflitto di interessi in sede assembleare si colloca tra autonomia privata e limiti inderogabili posti alla tutela dell’interesse collettivo. La dialettica tra libertà di voto e necessità di salvaguardare la funzione istituzionale della società impone di interrogarsi sulla natura del vincolo societario, contratto di organizzazione finalizzato alla realizzazione di uno scopo comune, ma esposto al rischio di deviazioni opportunistiche. In questa prospettiva, il conflitto non è un mero accidente patologico, bensì una componente fisiologica della vita societaria, che il diritto positivo disciplina non già attraverso divieti assoluti, ma mediante un sistema di controlli e rimedi calibrati sull’effettiva incidenza del voto in assemblea.
Conflitto d’interessi nelle società
L’annullabilità delle delibere assembleari per conflitto di interessi costituisce uno dei terreni più complessi del diritto societario, nel quale si intrecciano profili di legittimazione, tutela dell’interesse sociale e garanzia dei diritti dei soci. La regola di base è contenuta nell’art. 2373 c.c., secondo cui la delibera è impugnabile quando sia stata approvata con il voto determinante di un socio in conflitto e sia idonea a recare danno alla società. Analoga disposizione è dettata per le società a responsabilità limitata dall’art. 2479-ter, co. 2, c.c., che recepisce lo stesso paradigma: conflitto qualificato, voto determinante e dannosità.
Non ogni divergenza di interessi rileva, ma solo il conflitto che si traduce in un pregiudizio, anche solo potenziale ma concreto, all’interesse sociale. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che il vizio ricorre quando la deliberazione, lungi dal perseguire lo scopo comune, è volta a soddisfare interessi “extra-sociali” e quindi estranei alla corretta gestione dell’impresa collettiva. In tal senso, la Cassazione ha ribadito che non è sufficiente il vantaggio individuale del socio, occorrendo la prova che la delibera arrechi o sia idonea ad arrecare un danno patrimoniale o funzionale alla società.
Il principio ha trovato ulteriore conferma in relazione ai compensi degli amministratori deliberati con il voto del medesimo socio-amministratore, la Suprema Corte ha escluso che l’invalidità derivi automaticamente dalla partecipazione al voto del soggetto interessato, precisando che l’annullamento può essere pronunciato solo ove sia dimostrato il pregiudizio all’interesse sociale (Cass. sent. ord. n. 10889/2024). Sul piano sistematico, emerge così un “test a tre requisiti” – conflitto, voto determinante, dannosità – che costituisce il perno dell’impugnabilità, tanto nelle S.p.A. quanto nelle S.r.l.
La disciplina si completa con gli strumenti processuali: l’azione di annullamento ex art. 2377 c.c. (90 giorni di decadenza, legittimazione di soci assenti, dissenzienti e astenuti, nonché degli amministratori e degli organi di controllo) e la sospensione cautelare (art. 2378 c.c.), che consente di neutralizzare gli effetti pregiudizievoli della deliberazione in presenza di fumus e periculum.
In siffatto contesto, il conflitto di interessi assume una duplice funzione: presid